Stefano Folli per ''la Repubblica'' - estratto
referendum taglio parlamentari
A meno di due settimane dal voto colpiscono due aspetti della campagna. Il primo è la costante ripresa del No, testimoniata da autorevoli sondaggisti e soprattutto da uno stato d’animo indefinibile che si coglie in giro per il Paese, trasversale a quasi tutte le forze politiche.
Nessuno può dire oggi se la risalita del No sarà sufficiente a ribaltare le previsioni quasi unanimi che fino a dieci giorni fa consideravano verosimile solo lo scenario plebiscitario di una vittoria a valanga del Sì. Ma è già sufficiente che oggi si discuta di una possibile rimonta, o di un risultato più equilibrato, per comprendere che la vicenda è meno scontata di quanto qualcuno pretendesse.
referendum taglio parlamentari
Il secondo punto è la sensazione che il referendum sul taglio dei parlamentari stia diventando sempre più politico, tanto che il merito del quesito si attenua a favore di una posta in gioco più ampia e insidiosa.
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referendum taglio parlamentari
A pochi giorni dal 20 settembre — anniversario di qualche rilevanza nella storia d’Italia — il referendum è quindi un braccio di ferro sul futuro del Parlamento e di fatto sull’equilibrio costituzionale del Paese. Ma è un braccio di ferro alquanto bizzarro.
Per il Sì fa campagna quasi soltanto il M5S, a conferma di quel che si è detto: il movimento ha un obiettivo politico e lo persegue a viso aperto, anche per nascondere il calo dei consensi e le lotte intestine. Gli altri partiti del Sì tendono a defilarsi. Non si può dire che la destra cosiddetta populista, da Salvini a Giorgia Meloni, si stia impegnando molto.
referendum taglio parlamentari
Hanno compreso che il dividendo referendario, se vincerà il taglio, sarà incassato dai Cinquestelle e solo da loro. Al contrario, un successo totale o parziale del No potrebbe essere presentato come un atto di sfiducia verso il governo Conte: esattamente quel che teme Zingaretti con il suo Sì impacciato e poco convinto.
Infatti qui è l’altro corno del dilemma. Se i 5S s’immaginano di tornare ai giorni felici dell’anti-politica (ma hanno trascorso oltre due anni nel governo), il Pd si preoccupa della stabilità dell’esecutivo.
RADICALI PER IL NO AL REFERENDUM
Ecco il tema dei prossimi dieci giorni: se il No si avvicina al 50 per cento e soprattutto se lo supera, come è ovvio, il centrosinistra teme la caduta del castello di carta. Per evitarlo, asseconda il piano “grillino” tentando di annacquarlo, anziché contrastarlo. A difendere la centralità del Parlamento dallo “scempio” sono rimasti in pochi, come il drappello di “PiùEuropa”. Il confronto in atto è politico, ma le parti in commedia non sono ben distribuite.