Monica Ricci Sargentini per il "Corriere della Sera"
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La Danimarca, nell'immaginario comune, è tra i Paesi che ha raggiunto la parità tra i sessi. Il governo è guidato da una donna, e non è la prima volta, chi fa figli può godere di generosi congedi parentali, gli asili nido funzionano e nel mercato del lavoro il genere femminile è ben rappresentato. Ma dietro quest' immagine patinata si cela una realtà ben diversa.
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A scoperchiare il vaso di Pandora è stata una conduttrice televisiva di lungo corso che dal 2018 anima la trasmissione X Factor. Il 6 settembre Sofie Linde, 31 anni, chiamata a presentare la cerimonia degli Zulu Awards, in cui vengono premiate le migliori trasmissioni televisive, ha confessato le numerose molestie sessuali subite durante la sua vita professionale.
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La prima a 18 anni quando, durante una festa di Natale, un potente manager televisivo le chiese un rapporto orale minacciando, in caso di rifiuto, «di rovinarle la carriera». Capelli biondi, un vestito blu luccicante che mette in evidenza la sua seconda gravidanza, Linde ha avuto il coraggio di rompere il tabù: «Non si può dire che le donne e gli uomini sono uguali in Danimarca semplicemente perché non è vero» ha detto in diretta tv. Una doccia fredda per il pubblico in sala che, dopo un momento d'esitazione, ha applaudito convinto.
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Il giorno dopo, però, sono cominciati gli attacchi sessisti: la donna mente, si vuole solo mettere in mostra, tiri fuori i nomi e poi vediamo. Accuse trite e ritrite che hanno ottenuto l'effetto di mobilitare quelle che finora avevano taciuto. Una lettera appello sul quotidiano Politiken ha ottenuto in pochi giorni 1.600 firme. «Tutte noi abbiamo subito, nel corso della nostra carriera, commenti inappropriati sul nostro modo di vestire, messaggi allusivi, contatti fisici al di là del consentito - si legge nel testo -. Non sono pochi gli uomini da evitare alle feste di Natale.
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È successo in passato, succede ancora». Da allora è stato tutto un susseguirsi di testimonianze. Giornaliste, politiche, mediche, docenti universitarie. In Danimarca il MeToo è arrivato con tre anni di ritardo. Un cambio di clima subito colto dalla premier Mette Frederiksen che, su Facebook, si è schierata: «Vi sostengo - ha scritto -. Dobbiamo fare qualcosa per cambiare questa situazione e dobbiamo farlo ora». E altri leader politici hanno promesso altrettanto. Il governo danese, però, ha un problema: è il ministro degli Esteri Jeppe Kofod che nel 2008, quando aveva 34 anni ed era il portavoce dei socialdemocratici, ha avuto un rapporto sessuale con una quindicenne.
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Niente di illegale perché in Danimarca l'età del consenso è proprio 15 anni, ma un comportamento stigmatizzabile tanto che Kofod è stato costretto a scusarsi: «Vorrei poter cambiare quello che è successo, non posso - ha detto venerdì scorso -. Però posso imparare da questo e l'ho fatto». Non è abbastanza per alcune deputate che chiedono la rimozione del ministro anche se la premier lo difende: «È successo tanti anni fa, Jeppe Kofod ha mostrato pentimento e si è scusato. Tanto mi basta».
Jeppe Kofod
Che la Danimarca fosse indietro nel raggiungimento della parità di genere era già emerso lo scorso anno quando, in un sondaggio condotto da YouGov-Cambridge Globalism Project, soltanto un danese su sei si era dichiarato femminista e un terzo della popolazione aveva giudicato accettabile fischiare una donna per strada. D'altra parte i numeri parlano chiaro: la metà delle aziende danesi non ha nemmeno una donna nel consiglio di amministrazione.
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La strada da fare è tanta ma il ministro per la parità di genere Mogens Jensen promette tolleranza zero: «Molestie, scherzi, battute sessiste non sono accettabili. E ci saranno conseguenze».
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