Andrea Greco per “la Repubblica”
SPREAD 17 MAGGIO - 13 GIUGNO 2022
Quattrocento miliardi di euro. È la cifra da tenere a mente ogni volta che, per una grana o l'altra, le Borse tremano e le banche italiane soffrono come venerdì scorso, con ribassi anche del 10%.
Da 15 anni quota 400 miliardi sale o scende (gli ultimi dati Bankitalia di marzo dicono 407 miliardi), magari si sposta in tasche che risentono meno delle turbolenze di mercato. Ma la sostanza, come percepita da chi investe, muta poco. È l'eterno circolo, e non virtuoso, tra debito pubblico e portafogli creditizi, dove Btp, Bot, Cct, Ctz pesano per due terzi dei titoli totali e superano il patrimonio netto degli istituti.
THE ECONOMIST SULLE BANCHE ITALIANE
Ogni volta che lo spread sovrano risale li fanno tremare, cortocircuitando il rischio Italia con quello del sistema finanziario. Avviene anche ora. «Sempre più clienti ci chiamano per chiedere l'impatto dello spread sui Btp delle banche, ora che la Bce smetterà di comprarli», scriveva giovedì Ubs. E ha un bel concludere, la banca svizzera, che «il rialzo dei tassi di 100 punti base aumenterà gli utili bancari», fino a un quarto in più nel 2024.
O che, quando la Bce avrà alzato i tassi dello stesso 1%, gli ammanchi di capitale bancario «saranno gestibili, attorno a 30-40 punti base». Il mercato pensa come quei pessimisti che vogliono prima spurgare gli scenari peggiori, poi ragionare.
BTP ITALIANI
E 400 miliardi di debito pubblico italiano, un quarto di un totale che dal 2020 cresce per reagire alla pandemia e oggi non pare già più supportato da un Pil brillante e da prezzi stabili, contengono sempre uno "scenario peggiore".
Purtroppo il nodo non è stato sciolto negli otto anni da cui è partita l'Unione bancaria europea, che hanno coinciso - chissà se è un caso - con una terapia d'urto delle attività bancarie italiane. Più capitale per tutti, molti meno crediti malandati, qualche fusione per rafforzare il settore, un modello più vocato alla vendita di prodotti finanziari (dove le perdite sono dei clienti, non della banca come nei prestiti).
MARIO DRAGHI DANIELE FRANCO
Ma i 400 miliardi sono ancora lì: e il Tesoro si è avvalso in più passaggi, spesso i più incerti come dopo il Covid, degli affezionati sottoscrittori bancari alle aste. Purtroppo questo implica "sbandate" in Borsa e negli indici patrimoniali ogni volta che lo spread e il tasso dei Btp partono al rialzo, decurtando all'istante, e per converso, il valore dei titoli di Stato che gli istituti hanno nei portafogli "pronti per la vendita".
E poco importa pure se, guardando i primi 10 operatori, titolari di quasi 250 miliardi di euro di Btp, sempre Ubs nota che negli ultimi anni quote crescenti sono state spostate tra i titoli da portare a scadenza, dove stanno ormai due terzi dei Btp totali, al riparo quindi dalle svalutazioni del mercato. Dal «whatever it takes» di Draghi in poi, cioè dal 2012, la Bce si è affiancata alle banche come compratore preferenziale dei Btp, e ha ormai ha raggiunto gli istituti italiani come primo detentore di circa un quarto del debito totale.
BTP ITALIA
Ma altri Paesi dal debito fragile come Spagna e Portogallo, hanno usato il tempo recente per ridurre la quota di debito pubblico locale nei forzieri bancari a poco più di un 10%. In Italia non è avvenuto.
E non può stupire che, preparando l'Eurogruppo del 16 giugno, sia in atto dietro le quinte l'ennesimo scontro con Germania, Olanda, Finlandia e altri frugali che vincolano l'avvio delle regole uniche di risoluzione e di garanzia ai depositanti in Europa a forme di controllo e limiti sui titoli sovrani degli istituti. Così da completare, chissà quando, l'Unione bancaria nata orba nel 2014.
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