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    C’È CHI DICE NO - C'È UNA RUSSIA CHE NON SI ARRENDE E CONTINUA A MANIFESTARE CONTRO LA GUERRA E PUTIN: SOLO IERI SI SONO CONTATI 4.468 ARRESTI IN 56 CITTÀ, PER UN TOTALE DI 13.053, IN 121 CITTÀ. PROTESTE CHE VENGONO REPRESSE CON LA FORZA: SI CONTANO TRE TESTE SPACCATE DA MANGANELLI A SAN PIETROBURGO, UNA DONNA PRESA PER I CAPELLI E A IRKUTSK UN RIDER IN GIACCA GIALLA E ZAINO AZZURRO E' STATO FERMATO PERCHÉ INDOSSAVA I COLORI DELLA BANDIERA UCRAINA – E DOPO LE DIMISSIONI DEL DIRETTORE DEL BOLSHOI TUGAN SOKHIEV…


     
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    1 - MOSCA SE NE VA IL DIRETTORE DEL BOLSHOI CREPE NEL MURO DEGLI ARTISTI DI REGIME

    Simona Antonucci per “il Messaggero”

     

    TUGAN SOKHIEV TUGAN SOKHIEV

    «Noi musicisti siamo lì per ricordare attraverso le note di Shostakovich gli orrori della guerra. Siamo gli ambasciatori della pace». Lacerato da «una scelta obbligata ma impossibile, fra i miei musicisti russi e quelli francesi, ho deciso di dimettermi da entrambe le cariche». Tugan Sokhiev, direttore del Bolshoi di Mosca, una delle figure più rappresentative della vita culturale della città, alza la voce contro la guerra e rimette il suo mandato, in Russia e a Tolosa, dove dirige dal 2008 l'Orchestre National du Capitole.

     

    «Sono sempre stato contrario a qualsiasi conflitto e in qualsiasi forma, e sempre lo sarò», spiega aggiungendo che le sue dimissioni hanno effetto immediato sia in Russia sia in Francia. Sottoposto a diverse pressioni in questi giorni, Sokhiev posa la sua coraggiosa bacchetta e rompe il fronte del silenzio che ha visto schierati artisti di fama, come il maestro russo Valery Gergiev.

     

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    Dal 2014 alla guida del prestigioso teatro russo, Sokhiev, 44 anni, in cartellone anche all'Accademia di Santa Cecilia di Roma a maggio, aveva appena 26 anni quando diresse il primo concerto a Tolosa. E saluta il pubblico di entrambi i teatri con un lungo post, prendendo una decisione netta, a differenza del collega Gergiev e del soprano Anna Netrebko che hanno scelto di non rilasciare dichiarazioni contro la guerra in corso tra Russia e Ucraina, nonostante le richieste del Teatro alla Scala dove avrebbero dovuto esibirsi. I concerti di Gergiev sono stati cancellati dalle sale più prestigiose al mondo, mentre Netrebko ha preferito ritirarsi «momentaneamente».

     

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    «COSTRETTO A SCEGLIERE» «Durante gli ultimi giorni», scrive Sokhiev in un post sui social«ho assistito a qualcosa che pensavo non avrei mai visto in vita mia. In Europa oggi sono costretto a fare una scelta. Tra un artista piuttosto che un altro. Presto mi chiederanno di scegliere fra ajkovsky, Stravinsky, Shostakovich e Beethoven, Brahms, Debussy. Questo accade già in Polonia, un paese europeo, dove la musica russa è vietata. Non riesco a capire come i miei colleghi, artisti, attori, cantanti, ballerini, registi possano essere minacciati, trattati irrispettosamente e siano vittime della cosiddetta cancel culture. Invece di usare noi e la nostra musica per unire nazioni e popoli ci stanno dividendo e ostracizzando».

     

    La decisione di Sokhiev arriva pochi giorni dopo quella di Laurent Hilaire, che ha lasciato la direzione della compagnia di balletto del Teatro Stanislavski di Mosca, e di Elena Kovalskaya, direttrice del teatro statale Meyerhold Center di San Pietroburgo. E se al San Carlo è scoppiata la pace tra il soprano ucraino Liudmyla Monastyska e il mezzo soprano russo Ekaterina Gubanova che al termine della recita di Aida si sono abbracciate di fronte agli applausi del pubblico, nel resto del mondo le posizioni degli artisti nei confronti del conflitto cominciano a farsi più nette.

     

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    LA DANZA Il coreografo Alexei Ratmansky, ex direttore artistico del Teatro Bolshoi di Mosca e attualmente artista in residenza presso l'American Ballet di New York, ha deciso di lasciare Mosca e di tornare a New York, via Varsavia, con tutto il suo team artistico, mentre stava creando una nuova produzione per il Bolshoi. «Fino a quando Putin resterà presidente non tornerò a lavorare in Russia», ha spiegato il ballerino e coreografo russo che sta raccogliendo, in queste ore, sulla sua pagina facebook le dichiarazioni di colleghi e star del mondo della danza, da Baryshnikov a Alessandra Ferri, da Natalia Osipova a Iana Salenko e Isabelle Guerin per dire ancora una volta no alla guerra e all'invasione della Russia in Ucraina.

     

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    2 - CORTEI IN 56 CITTÀ RUSSE MIGLIAIA DI ARRESTI

    Irene Soave per il “Corriere della Sera”

     

    C'è una Russia che si ostina - nonostante arresti di bambini e ottuagenari, e leggi sui media sempre più dure - a manifestare contro la guerra e Putin. Come ogni giorno da che il presidente Putin ha annunciato l'ingresso militare in Ucraina, in decine di città russe è stata una domenica di proteste. Solo ieri si sono contati 4.468 arresti in 56 città, di cui alcuni con la violenza; dal 24 febbraio, giorno dell'invasione, gli arresti sono stati 13.053, in 121 città di tutto il Paese, da San Pietroburgo a Novosibirsk.

     

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    Il conto degli arresti - chi è fermato a una manifestazione rischia multe da 20 a 950 euro, e fino a un mese in cella - lo tiene l'osservatorio Ovd-Info, «agente straniero» secondo la legge. «Molti sono stati eseguiti con un uso eccessivo della forza», comunicano gli avvocati del sito, che raccoglie da Telegram i video della protesta: tre teste spaccate da manganelli a San Pietroburgo; una donna presa per i capelli; i più violenti sono i poliziotti in borghese, armati di taser. A Irkutsk il furore censorio colpisce persino un rider in giacca gialla, con lo zaino azzurro di Deliveroo, fermato perché i colori che indossa - quelli della bandiera ucraina - sono segno di protesta. E poi video di pestaggi da Tomsk, Ekaterinburg, Krasnodar, Novosibirsk, Kostroma, Petrozavodsk.

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    Sui caschi dei poliziotti, spesso, una «Z» disegnata in bianchetto: è il segno che i carri armati russi usano per distinguersi, in Ucraina, ma è sempre di più - anche sui social - un simbolo della Russia in guerra, come una nuova svastica. Solo a Mosca gli arresti sono stati, ieri, 2.500. Tra loro il biologo dissidente Oleg Orlov, tra gli attivisti principali della rete Memorial, che difende i diritti umani e custodisce il più grande archivio di documenti sulla storia dei gulag, e che una legge dello Stato ha sciolto a dicembre.

     

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    Gli uffici moscoviti dell'associazione sono stati perquisiti e messi a soqquadro due giorni fa. Orlov, 69 anni, è stato fermato sulla Piazza del Maneggio mentre faceva un picchetto per la pace. Come lui è stata arrestata anche l'attivista Svetlana Gannushkina, matematica, che proprio ieri compiva ottant' anni. Tra i fondatori di Memorial e del partito di opposizione Yabloko, Gannushkina è stata più volte nominata al Nobel per la pace. Un camioncino di polizia con dentro 24 detenuti si rovescia a Mosca; in 14 finiscono in ospedale (cinque poliziotti). In centro, vicino allo storico negozio di giocattoli Detsky Mir, la polizia ferma i passanti, a campione: controlla loro il cellulare, legge i loro messaggi.

     

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    Può farlo, per legge? No, ma chi lo chiede viene trattenuto. Chi si oppone viene trattenuto. Chi ha chat che contengano termini come attacco», «invasione» o «guerra», viene trattenuto. Le parole bandite sono le stesse della nuova legge sulla stampa, annunciata il 26 febbraio e approvata venerdì dalla Duma: fino a 15 anni di carcere per i giornalisti che le usano, anziché «operazione difensiva». Tra gli arrestati di ieri ci sono anche 13 giornalisti. La stretta sulla stampa degli ultimi giorni è totale. «Non c'ero, ma tutti i colleghi più anziani concordano: è peggio che ai tempi dell'Urss», spiega al telefono da Istanbul la giornalista del Moscow Times Samantha Berkhead. Come molti colleghi ha lasciato il Paese sabato.

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    «Informare a queste condizioni è impossibile», e senza un lavoro i giornalisti rimasti a Mosca sarebbero praticamente bersagli mobili. «Scriverò di Russia dalla Germania», twitta Natalia Smolentceva di Deutsche Welle . Alexei Kovalev, reporter del sito di controinformazione Meduza , twitta di aver «attraversato il confine a piedi, nella notte, con il cane in braccio». «Non restano più voci se non la propaganda governativa, e Telegram», spiega Berkhead. I media indipendenti russi sono bloccati dal governo (l'ultimo, ieri, Mediazona); quelli stranieri come la Bbc lavorano dall'estero. Tra le multinazionali in fuga, ieri anche Netflix ha «sospeso i servizi in Russia». Ha sospeso ieri «la produzione di nuovi video dalla Russia» anche la piattaforma TikTok, «in risposta alla legge sulle fake news».

     

     

    Da sabato anche Facebook e Twitter sono bloccati. Il messaggio dell'oppositore Navalny, che dalla cella invita a «protestare ogni giorno feriale alle 19, e nei weekend alle 14», arriva meno forte. «Presto non saprete che quello che io ne so qui in prigione, cioè nulla. I media indipendenti sono tutti chiusi», ha scritto ieri sui suoi social, a cui ha accesso, ultimamente, grazie a un permesso del giudice. Invita a disobbedire, «informare usando le parole guerra e invasione». Finora ai suoi inviti hanno risposto in migliaia: il prezzo però sembra sempre più caro.

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