Marco Bonarrigo e Andrea Priante per corriere.it
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«Spero che trovino quel Tir, spero davvero che chi lo guidava non si sia accorto di nulla. Sarebbe atroce, inaccettabile che l’autista si fosse reso conto di aver investito Davide per poi ripartire come se avesse messo sotto un gatto o un cane, non un uomo». Sono le parole commosse di Filippo Pozzato che con Davide Rebellin, ucciso da un camion mercoledì mentre pedalava a Montebello Vicentino, ha condiviso 15 anni di carriera, i gradi di super talento del ciclismo azzurro (Pozzato ha vinto la Milano-Sanremo), gli allenamenti nel Vicentino e a Montecarlo dove entrambi vivevano.
Ma a 48 ore dall’incidente, del mezzo pesante non c’è traccia. Montate su un palo alto tre metri, le telecamere di sicurezza nel parcheggio del ristorante «La Padana» di Montebello mancano di pochi metri la rotonda della Regionale 11 dove il fuoriclasse azzurro è stato travolto.
la bici di davide rebellin dopo l incidente. 2
In un orario compatibile con l’investimento (le 11.50), tra i dieci camion transitati in quel punto i carabinieri (che stanno visionando anche decine di registrazioni in luoghi vicini) si concentrano su un tir rosso con targa straniera (forse tedesca) che si immette nel parcheggio dall’unica entrata per uscirne dopo soli quattro minuti ripercorrendo la rotonda al contrario, passando a fianco del corpo dilaniato del campione: impossibile che l’autista non l’abbia visto in quel momento, possibile ma non certo che sia lui ad averlo investito, rendendosene conto o meno, entrando nel parcheggio. Il mezzo potrebbe essersi diretto verso il Brennero e ora trovarsi già lontano.
Le indagini
La Procura di Vicenza ha intanto aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo. Con enorme dignità, Carlo Rebellin, fratello di Davide, chiede all’autista di «farsi vivo, di spiegare la situazione perché noi familiari possiamo accettare qualunque errore umano ma non sopportiamo l’idea della fuga. Davide era espertissimo memoria, non possiamo credere che si sia trattato di un suo errore». Chi non riesce a darsi pace è Brigida Gattere, la mamma di Rebellin: «Spero che lo trovino — racconta in lacrime — e sperò che se verrà fuori che davvero è scappato dopo aver ucciso mio figlio, la giustizia possa fare il suo corso: non si può morire cosi».
la bici di davide rebellin dopo l incidente. 1
Pippo Pozzato cinque anni fa perse un altro grande amico come Michele Scarponi: «A Davide — racconta — la natura aveva regalato uno dei motori più potenti mai visti nel ciclismo e l’entusiasmo di un ragazzino. Qualcuno trovava patetico il suo gareggiare a 50 anni, ma chi come me lo conosceva bene sapeva che per lui la bici e la competizione erano naturale ragione di vita». Cresciuti entrambi nel Vicentino, diventati stelle dello sport si erano trasferiti a Montecarlo.
«Lui riservatissimo, io più mondano — prosegue Pozzato — io aggressivo in gara, lui mite, pronto a chiedere scusa anche anche ai colleghi che gli facevano un torto. Prima del ritiro aveva partecipato alle corse “gravel” che io organizzo, credeva come me che il futuro del ciclismo fosse su strade sterrate per sfuggire a un traffico meno rabbioso di quello che c’è oggi qui in Veneto dove alcune ciclabili sono pericolose perché c’è un passo carrabile ogni 50 metri. È per lui, per Scarponi, per i cento ciclisti non famosi morti quest’anno che dobbiamo fermare questa tragedia».
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