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    CAFONALINO CAPRI E CAVOLI – E TRA I FARAGLIONI SPUNTO’ LA SILHOUETTE BON TON-BON CHIC DI UNA FIRST LADY CHIAMATA ‘JACKIE’ - ORA UN MIRABILE LIBRO RACCHIUDE LE FOTO CAPRINE DI LADY KENNEDY


     
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    1. CAFONALINO
    Ieri oltre 700 ospiti hanno festeggiato l' inaugurazione della mostra fotografica "Un mito nel mito. Jacqueline a Capri" tra bollicine ,12 variazioni di torta caprese e salato in onore di Capri e Jacqueline. Lo Splendor Parthenopes, in via Vittoria Colonna a Roma ospita la mostra composta da 60 scatti che ritraggono Jacqueline Kennedy nella sua vita quotidiana a Capri tra il 1969 e il 1973. Le fotografie sono state realizzate da Settimio Garritano e la mostra è stata promossa e organizzata da La Conchiglia Libri&Edizioni.

    Jacqueline Kennedy A passeggio in via V EmanueleJacqueline Kennedy A passeggio in via V Emanuele

    Prefazione di Giuseppe Scaraffia al libro "Un mito nel mito. Jacqueline a Capri"

    Aveva sublimato l'insegnamento di suo padre John detto ‘Black Jack' Bouvier: "mostrarsi sempre misteriosa, irraggiungibile". Nessuno più di lei sapeva mantenere le distanze dagli altri dietro la luce di un sorriso indecifrabile, assoluto. Nessuno sapeva quanto lei concentrare su di sé tutti gli sguardi con tanta indifferente naturalezza.

    Nessuno meglio di lei sapeva ricordare che la vita è uno spettacolo in cui non bisogna lasciare indovinare a nessuno i propri veri pensieri. Eppure la dolcezza di Capri scioglieva quell'invisibile corazza. Lei, abituata fin da piccola a resistere silenziosamente al dolore e alla sconfitta, si lasciava avvolgere dal quieto calore della vita isolana.

    Jacqueline Kennedy e il fotografo Settimio GarritanoJacqueline Kennedy e il fotografo Settimio Garritano

    Qui riusciva finalmente a conciliare l'intima urgenza di un'incessante perfezione estetica con una spontaneità di tratti altrimenti dimenticata. Aveva però mantenuto l'arte di ascoltare silenziosamente, con i grandi occhi assorti, i suoi interlocutori, convincendo ciascuno della propria unicità. Si sentiva istintivamente a suo agio negli stretti vicoli capresi. I suoi rapporti con gli artigiani di Capri, dalla sartoria ‘La Parisienne' alle calzature di Canfora, De Martino e Schettino, non avevano l'ossessività degli acquisti nelle boutiques di lusso delle capitali, in cui, ricorda Truman Capote, "agiva come in sogno, sembrava ipnotizzata".

    Una volta, a un ricevimento dallo scrittore, il cane di casa aveva rosicchiato la pelliccia di zibellino di Lee Radziwill. Divertita dalla rabbia della sorella, Jackie le aveva detto: "non preoccuparti, ne compreremo un'altra domani, a spese di Ari". Il secondo marito, Aristotele Onassis, era entrato nella sua vita come il centauro Chirone in quella di Apollo, con un'onnipotenza di doni magici infusi nella stranezza del corpo.

    Jacqueline Kennedy Verso Monte SolaroJacqueline Kennedy Verso Monte Solaro

    La forza di un mito calamita irresistibilmente oggetti e persone. Prima che la semplice grazia dei sandali capresi venisse associata alla sua icona, tutti la legavano a una potenza ben diversa, quella della direttrice di "Vogue America", Diane Vreeland. La quale sosteneva di averli commissionati per la prima volta a un calzolaio caprese nel 1935, dopo averli ammirati nel museo di Pompei.

    Peccato che Colette li avesse comprati a Capri negli stessi anni e li avesse fatti diventare una leggenda a Saint-Tropez. Probabilmente il sogno di nudità di quell'esile disegno di stringhe sottili affondava in un passato e si specchiava in un passo ancora precedente, descriveva la lievità del piede scalzo della gradiva di Freud.

    Jacqueline Kennedy Con il gioielliere ChanteclairJacqueline Kennedy Con il gioielliere Chanteclair

    Era un archetipo di sottrazione, non l'aggiunta contava ma la sua massima possibile approssimazione alla nudità. E infatti, non appena Jacqueline aveva cominciato a camminare a piedi nudi come il bassorilievo neo-attico, niente poteva essere più elegante.

    Tutti la chiamavano Jackie, non sapendo quanto poco le piacesse quel diminutivo breve e secco, e che non avrebbe smesso mai di anelare al più dolce e femminile Jacqueline dell'infanzia, che le ricordava l'amata Parigi, l'origine francese della sua famiglia.

    I Bouvier erano molto più raffinati dei Kennedy, quei parvenus di origine irlandese che avevano visto in Jacqueline insieme il riscatto e l'ostaggio di quell'élite che, come diagnosticato da Gore Vidal, volevano sconfiggere.

    Jacqueline Kennedy Al Bar TiberioJacqueline Kennedy Al Bar Tiberio

    Quella stessa raffinatezza le avrebbe permesso di godere l'energia selvaggia e il patrimonio mitico del secondo marito greco senza soffrire della sua ancestrale rozzezza. Pur non essendo nata favolosamente ricca, e nemmeno nobile, fin dall'adolescenza era riuscita, grazie a una classe innata e all'educazione ricevuta dal padre, a porsi a un livello ineffabilmente superiore a quello delle più grandi e aristocratiche famiglie europee.

    Malgrado il dogma di Coco Chanel - "non si è mai abbastanza magre e abbastanza ricche" - la sua snellezza non sarebbe mai stata eccessiva, ma morbida, elegantemente sinuosa anche negli abiti squadrati degli anni Sessanta. Aveva colpito il mondo per l'elegante stoicismo con cui aveva sopportato prima i reiterati tradimenti e poi la morte del marito a Dallas.

    Mostra su Jackie Kennedy allo Splendor ParthenopesMostra su Jackie Kennedy allo Splendor Parthenopes

    Il mondo era rimasto sorpreso dalla sobrietà da matrona romana con cui aveva preso per mano i suoi figli e fatto i bagagli, dalla rapidità con cui aveva lasciato uno dei luoghi più ambiti della terra, la Casa Bianca. Con un garbo e una sincerità assoluti. Ai funerali del marito aveva retrocesso Lyndon Johnson e i suoi rustici amici texani dalla testa del corteo, perché il loro afflato di America profonda non ne turbasse il decoro.

    "Ha recitato una parte di grande intelligenza, senza mescolarsi alla politica, ha dato
    al marito un prestigio da mecenate", aveva scritto André Malraux. Meno incantato ma più lucido, de Gaulle aveva sentenziato: "e' una donna coraggiosa e molto bene educata. Quanto al suo destino, vi sbagliate: è una vedette e finirà sullo yacht di un petroliere".

    Anche quando era sembrata violare le regole dell'ufficialità, lo aveva fatto con grande intuito, ma senza il guizzo di geniale fantasia che la scelta di Jacqueline avrebbe poco dopo dimostrato.

    Sapeva giocare magnificamente con i contrasti. Prima di ricevere il nazionalista de Gaulle alla Casa Bianca aveva fatto sostituire i Cézanne con tele americane, perché il generale non si sentisse troppo a suo agio. Alle cene ufficiali era capace di scherzare: "noi siamo cattolici osservanti e oggi è venerdì", per poi servire un secchio di Beluga.

    Secondo Capote, amico soprattutto della sorella, Lee e Jackie erano "una splendida coppia di geishe occidentali". Gore Vidal, loro lontano parente, non esitava a sintetizzare in poche parole agrodolci: "egoista e affermatrice della propria potenza, Jackie era una presenza maliziosamente divertente".

    Anche il ruvido Norman Mailer aveva ceduto al suo fascino. Nella dedica a un suo libro aveva implorato: "Jackie non so se lo leggerai, ma desidero almeno che tu lo tenga". Understatement, o Mailer non sapeva quanto Jacqueline amasse leggere? Era stato il mondano Vidal a iniziarla all'uso degli occhiali da sole: servono non solo a nascondersi, ma anche a guardare le persone senza che se ne accorgano, le aveva spiegato.

    Mostra su Jackie Kennedy allo Splendor ParthenopesMostra su Jackie Kennedy allo Splendor Parthenopes

    Jacqueline non se li sarebbe più tolti, sarebbero divenuti parte essenziale dell'impalpabile, radiosa corazza che la proteggeva. Una volta, nella sua passione per l'incognito, si era divertita a girare con una parrucca bionda. Faceva uno strano effetto sulla sua carnagione abbronzata. Eppure continuavano a riconoscerla, come se in lei vibrasse un segnale.

    Aveva l'arte di capovolgere il rituale dei rapporti con gli uomini famosi che incontrava. Era lei a mandare ai più interessanti, come le aveva insegnato il padre, "un piccolo dono personale" che richiamasse alla loro memoria la conversazione avuta con lei.

    Jacqueline Kennedy A passeggio in via CamerelleJacqueline Kennedy A passeggio in via Camerelle

    A un seduttore di professione come André Malraux, che dopo una cena le aveva fatto recapitare un sontuoso quanto didascalico volume sul Louvre, Jacqueline aveva risposto genialmente contro inviandogli la copia di un suo libro, dono, specificava, della sorella, insieme alla richiesta: l'autore sarebbe stato così gentile da farle una dedica?

    Proprio durante la visita ufficiale dello scrittore-ministro a Washington, Jacqueline aveva dimostrato la sua capacità di garantire le forme ufficiali senza perdere di vista la soddisfazione dell'ospite.

    Sapendo quanto Marlaux amasse le opere d'arte non solo gli aveva fatto da guida nei musei della capitale, ma, "per non perdere tempo", gli aveva anche procurato in anticipo i cataloghi, perché potesse già scegliere su quali opere soffermarsi.

    L'intelligente amicizia di Jacqueline sarebbe stata essenziale nella difficile quanto storica impresa di esporre la "Gioconda" negli Stati Uniti. Era sempre perfetta e sempre diretta. A una cena aveva domandato a Jean Seberg se pensava di regolarizzare la sua relazione con il compagno Romain Gary.

    Monica ScattiniMonica Scattini

    Ma, quando l'attrice le aveva risposto che sì, sperava di sposare lo scrittore al più presto, la first lady aveva replicato: "mi raccomando, non lo faccia! una volta sposati gli uomini perdono ogni interesse per la moglie".

    Mostra su Jackie Kennedy allo Splendor ParthenopesMostra su Jackie Kennedy allo Splendor Parthenopes

    Jacqueline era stata una delle ultime a sapere che essere moglie di un potente è molto più una professione che una scelta di vita. Dopo il lutto di John Kennedy, un potente che come marito l'aveva delusa, aveva voluto garantirsi un rapporto di forze radicalmente diverso. Nei giorni difficili del matrimonio con Onassis, mentre tutti le rimproveravano di non avere voluto coltivare l'icona di vedova esemplare di un martire, Romain Gary aveva scritto su "Elle" un'appassionata arringa in sua difesa, intitolata ‘plaidoyer pour une marquise'.

    Mostra su Jackie Kennedy allo Splendor ParthenopesMostra su Jackie Kennedy allo Splendor Parthenopes

    Grande conoscitore e grande seduttore, Gary vedeva in lei l'erede delle voluttuose, eleganti nobildonne del settecento. In quelle righe piene di insofferenza per il conformismo e l'ipocrisia, Gary aveva spiegato che la Jacqueline raccontata dai media non era mai esistita.

    Monica Scattini e Marisela FedericiMonica Scattini e Marisela Federici

    Aveva ricostruito così la sua parabola. Una ragazza dell'alta società aveva sposato un uomo estremamente ricco che oltre a essere bello si occupava di politica. Ma "al momento del matrimonio il senatore Kennedy era più un play-boy che un uomo politico". Perché chiedere spietatamente a quella ragazza di incarnare un ideale di rinuncia solo per "la nostra soddisfazione morale"? Gary si rifiutava di unirsi al coro di denigrazioni del magnate greco - "siamo tutti dei parvenus di qualcosa".

    "Cosa potete fare se siete un'adorabile marquise che ama il sole, il mare, i viaggi, che ha voglia di spensieratezza e che soprattutto ne ha abbastanza di tragedie greche? Sposate un greco senza tragedia".

    Finalmente Jacqueline, che era fino ad allora vissuta nell'ombra di Kennedy, avrebbe avuto un marito che, pur essendo quasi altrettanto potente, sarebbe vissuto nella sua la visione del mondo di Jacqueline era del tutto immanente. A un giornalista che le chiedeva se non pensava che il matrimonio con Onassis offuscasse il suo mito, aveva serenamente replicato che il suo scopo era vivere nel miglior modo possibile. Per questo non le importava di intaccare il suo mito kennediano. Avrebbe tenuto se mai a diventare un mito per la sua capacità di vivere al meglio.

    Mauro Masi e Ingrid Muccitelli con Camilla MorabitoMauro Masi e Ingrid Muccitelli con Camilla Morabito

    In effetti, malgrado il notevole tributo elargito ai Kennedy per avere il loro consenso alle nozze - virtuale affrancamento del prezioso ostaggio - e malgrado il formale rigore del contratto prematrimoniale sulle prestazioni della sposa, Jacqueline si era gettata gioiosamente, quasi dionisiacamente nelle nuove nozze, facendosi follemente viziare.

    Quando i due si erano allontanati e il marito aveva ripreso le antiche abitudini, Jacqueline aveva rivissuto il rapporto col padre, che sommergeva di doni lei e sua madre mentre frequentava altre donne.

    Ma era una fase ancora lontana dalle serene giornate ritratte in questa mostra, quando il "Christina", lo sfarzoso yacht di Onassis, ospitava ancora una vera coppia. Jacqueline non si stancava mai di esplorare Capri da sola, con le amiche o i figli.

    Sempre a suo agio, scendeva, elegantemente scalza, insieme a Mona Williams Bismark, le scale dello scoglio delle sirene a Marina piccola. O, in via Quisisana, porgeva la mano da baciare al gioielliere chanteclair, Pietro Capuano, con la stessa grazia con cui la porgeva alle celebrità mondiali.

    Marisela FedericiMarisela Federici

    Invece, quando voleva, assumeva, sotto la duplice corazza del foulard e dei grandi occhiali scuri l'impenetrabilità di una sfinge. Quando girava con la sorella Lee o amiche come Marella Agnelli, la differenza tra la sua espressione e quella delle altre era miracolosa.

    Jacqueline non aveva un'ombra di alterigia o di quell'inquietante sicurezza che emana dal denaro e dal potere. L'atteggiamento del viso era rimasto identico a quello di un'immagine cui rimase sempre affezionata, la sua foto da bambina in compagnia dell'amatissimo padre.

    Quella disarmante, quasi infantile equidistanza era la prima manifestazione di una nobiltà non solo esteriore, che consisteva nel mantenersi, come l'uomo difficile di Hugo von Hofmannsthal, al centro di una circonferenza che tutti gli altri componevano come minuscoli punti.

    Solo Marcel Proust aveva colto negli esemplari più squisiti dell'aristocrazia francese quell'estrema cortesia, che nel caso del duca di Guermantes poteva suggerire l'ingannevole impressione di un'incomprensibile sottomissione. Nel teatro delle marionette, Heinrich von Kleist ricostruisce la parabola tramite cui l'estrema artificiosità è destinata, evolvendosi, a dissolversi nella naturalezza.

    Mario DUrsoMario DUrso

    L'uniformità di tono e di contegno rispetto a qualunque interlocutore, tipica di Jacqueline, somigliava curiosamente alla spontaneità, temperata da un innato ritegno, con cui i capresi di quegli anni incantati si rivolgevano alle celebrità.

    Le felici immagini di questa mostra sono testimoni segreti, svagati, di un incontro perfetto tra una persona e un luogo, una di quelle anse tutelate dal mito che il tempo
    raramente concede ai mortali.

    Jacqueline Kennedy In PiazzettaJacqueline Kennedy In Piazzetta

     

     

     

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