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    CORNOVAGLIA DI GRAN VAGLIA – RIELLO: ECCO PERCHE’ NON POTETE FARE A MENO DI VISITARE LA “TATE” DI ST.IVES – L’EFFERVESCENTE EROTISMO DI HUGUETTE CALAND, ARTISTA LIBANESE-AMERICANA E POI UN COLORATO "SACCO" DI BURRI DEL 1954, LA STIMOLANTE PERFORMANCE DI VAN HOORN, UN IPNOTICO ROTHKO DEL 1952,  NATURALMENTE NON MANCA UNA BELLA SELEZIONE DI LAVORI DELLA SCULTRICE BARBARA HEPWORTH...


     
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    Antonio Riello per Dagospia

     

    tate caland tate caland

    La Cornovaglia è una lunga penisola che si lancia come una lingua di terra verso Ovest nella parte meridionale della Gran Bretagna. Un luogo relativamente caldo-umido che si prende il meglio della tiepida Corrente del Golfo. Funziona per gli Inglesi come un specie di Riviera e anche la conformazione costiera ricorda in effetti abbastanza la Liguria. Daphne du Maurier ambienta qui due sue storie di grande successo, "Jamaica Inn" (1936) e "Rebecca" (1938).

     

    Oggi è assurta a sinonimo di qualità con prodotti agricoli che sono particolarmente rinomati e ricercati: è una terra praticamente incontaminata che non ha mai avuto rilevanti insediamenti industriali.

     

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    Sulla costa Nord della Cornovaglia, tra una serie di scogliere titaniche, si staglia un grazioso villaggio di pescatori, Saint Ives con tre ampie spiagge di che lo avvolgono.  Ricorda a prima vista un po' Camogli e un po' Albisola (coincidenza vuole che ci sia una importante tradizione ceramica legata soprattutto al lavoro pionieristico di Bernard Leach).

     

    Il paesaggio superbo dei dintorni, il clima mite e una certa lontananza dalle "tentazioni urbane" hanno fatto di questa cittadina, una destinazione ideale per artisti in cerca di ispirazione.

     

    Già nella seconda metà Ottocento gli americani James McNeill Whistler e Walter Sickert passarono dei lunghi periodi qui. Si formo' in seguito la cosiddetta "St. Ives School". Borlase Smart, Albert J. Olsson, Algernon Talmage, John Noble Barlow ne facevano parte assieme ad altri.

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    La figura eponima è stata in ogni caso la scultrice Barbara Hepworth (1903-1975) che ha lavorato qui per decenni, dal 1939 fino alla morte. La sua casa studio (con annesso incantevole giardino) è visibile al pubblico. Tra i maggiori scultori europei del Novecento, la Hepworth, ha saputo combinare il suo interesse per la biologia e la matematica con i suggestivi panorami della zona. Il risultato? un mix molto caratteristico: le sue opere, con la loro elegante rotonda organicità fatta di vuoti e pieni parlano un linguaggio fatto di astrazione-naturalistica.

     

    Sono realizzate attraverso l'utilizzo dei materiali della tradizione: marmo, pietra, gesso, bronzo. Un condensato di Natura e soprattutto del suo disperato tentativo di controllarla. Opere che, loro malgrado, hanno finito (misteriosamente) per rappresentare nei media la quintessenza della "Modernità non figurativa": nella vignette, nei cartoons (e anche in molti film) simboleggiano spesso lo scetticismo dell' immaginario collettivo rispetto alle sperimentazioni dell' Arte Contemporanea. Un curioso destino di (ingiusta) amara popolarità.

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    A parte Alfred Wallis (autoctono), la Hepworth non era la sola ad amare St.Ives, vivevano lì in quegli anni anche i pittori Ben Nicholson (che era anche suo marito), Christopher Wood, Patrick Heron, Marlow Moss, Peter Lanyon, e lo scultore Naum Gabo. Lo stesso Henry Moore era spesso in vista da queste parti.

     

    Oggi St. Ives è meta turistica di pregio, parecchio gettonata (passa dai circa 8 mila abitanti fissi alle 70 mila presenze estive) e anche probabilmente abusata, dato che gli abitanti di recente si sono opposti in massa alla costruzione di nuove attrazioni turistiche.

     

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    Le sue strette vie centrali, in certi orari affollatissime di visitatori mordi-e-fuggi, sembrano quelle di Mont Saint-Michel in Agosto o di Venezia durante il Carnevale. Bisogna godersela o la mattina presto oppure dopo che è calata la sera. Lo stile dei negozi si rifà un po' a quello bretone (la Bretagna francese è in realtà abbastanza vicina) con un'aura Atlantica molto particolare e piacevole. 

     

    La Tate, celebre istituzione britannica associata in genere ai fasti culturali  londinesi, ha una sua presenza a St. Ives fin dal 1993. L'edificio che la ospita, un vecchio gasometro, è stato restaurato con sobria funzionalità e sa mantenere nell'insieme un suo attraente carattere "marino". Le viste sulla spiaggia sottostante, chiamata Porthmeor, sono semplicemente incredibili. Una potente vetrata colorata di Patrick Heron campeggia nell'ingresso, vicino alla biglietteria.

     

    Una ala è dedicata alle mostre temporanee. In queste settimane l'ospite è l'artista libanese-americana Huguette Caland. Figlia del primo presidente del Libano (insediatosi nel 1943), come donna mediorientale negli anni Cinquanta non ha avuto una carriera facile. Per semplificarsi la vita sposa uno dei rivali politici del padre e si trova un prestante amante (citato semplicemente nelle biografie come "Mustafà"). Poi, alla metà degli anni Sessanta, si libera di tutti e due e si trasferisce  a Parigi dove ha finalmente il suo exploit artistico e collabora come stilista con Pierre Carden (ottenendo anche un certo successo). Infine si trasferisce a Venice in California.

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    La sua produzione è all'inizio legata in qualche modo all'Espressionismo Astratto (l'opera "Cancer" del 1964 dipinta alla morte del padre lo dimostra). Poi lentamente sviluppa un suo stile grafico che ha talvolta anche un lato esplicitamente erotico. Si potrebbe dire che mantiene una sua elegante effervescenza, sempre molto sincera. La Caland si auto-racconta con queste parole: "Amo ogni minuto della mia vita, la spremo come fosse un'arancia e ne mangio anche la buccia, non voglio perdere niente".

     

    C'è poi una importante collezione permanente (distribuita su 7 spazi differenti) dedicata ai frequenti e articolati rapporti tra l'arte del XX secolo e St. Ives. Tra tante belle cose c'è un colorato "sacco" di Burri del 1954 e un ipnotico Rothko del 1952. Naturalmente non manca una bella selezione di lavori di Barbara Hapworth.

     

    Si scopre rapidamente che questa cittadina è stata quello che oggi si definirebbe un Global Art Hub che oltre ad artisti europei (del calibro comunque di Piet Mondrian) ha coinvolto artisti taiwanesi come Li Yuan-chia, brasiliani come Lygia Clark o libanesi come Saloua Raouda Choucair. Insomma qua è passato di tutto, e continua a passare: di quest'anno la stimolante  performance "Urban Sonlines 2009-19" del giovane Allard Van Hoorn che ha coinvolto la gente locale facendola seguire per kilometri una grande sfera argentata. Una processione pagana di sapore celtico-dadaista.

     

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    Viene contemporaneamente offerta una ottima occasione per conoscere le opere di artisti poco conosciuti (o quasi-dimenticati) come Mary Martin o Terry Frost.

     

    Si lascia questo museo con la convinzione cristallina che la "provincia" non è alla fine così tanto artisticamente periferica e "provinciale" come spesso si è portati (per banale pigrizia) a credere.

     

    TATE SAINT IVES

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    Porthmeor Beach, Saint Ives TR26 1TG

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