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    CALCIO DOTTO AL TEMPO DEL VAR: “IL TOTEM OCCHIUTO TRAVESTITO DA MACCHINA DELLA VERITÀ GUADAGNA IL CENTRO DELLA SCENA. NON SI PUÒ TORNARE INDIETRO MA SI POSSONO CAMBIARE LE REGOLE TOGLIENDO IL CONTROLLO DEL GIOCATTOLO ALL’ARBITRO. LASCIAMO AI PROTAGONISTI STESSI (GLI ALLENATORI) LA FACOLTÀ D’INTERROGARE (2 VOLTE NELLA PARTITA, UNA VOLTA A TEMPO?) LA SFINGE...


     
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    Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia

     

    In preda a ebbrezza da Var il calcio è un ubriaco che ha perso le chiavi della vecchia casa e non ha ancora trovato quelle della nuova. Da allora vaga stordito per i campi disegnando con le mani manicomiali rettangoli nel caos. Una sbronza proverbiale. Ben ci sta. Quando lasci la via vecchia per quella nuova, sai quel che lasci, non sai quel che trovi. Gli hanno detto, il Gatto della Morale e la Volpe dell’Utopia: fidati, seguici, noi siamo il toccasana, ti porteremo dentro un mondo perfetto, dove tutto è verità, oro e zecchino. Bugie.

     

    Prima del Var, il calcio somigliava alla vita: un flusso ininterrotto, imperfetto, sporco, bugiardo, scostante, qualche volta cattivo, dove si condannano innocenti e si assolvono colpevoli, si premiano i cretini e si umiliano i meritevoli, tra lampi di luce e botte di cecità, veri dubbi e finte certezze.

     

    Selezionati ventriloqui fischiavano arbitrariamente, qualche volta a casaccio, e la tua storia prendeva una direzione piuttosto che un’altra. E i più furbi, i più potenti  avevano quasi sempre la meglio. Questo era il calcio quando somigliava alla vita. Una schifosa, inguardabile ma imperdibile bellezza.

     

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    Questa mania della verità. Anche Edipo voleva la verità e abbiamo visto com’è finita. E ora anche noi come lui e tanti altri, abbrutiti da questa disumana aspirazione, ci chiediamo: che ce ne facciamo di un mondo che eiacula dosi opinabili di verità se poi ci paralizza sul più bello e forse non ci rende migliori? E’ davvero una conquista? Come dice un passo della Bibbia, non mirare la vergine, affinché la sua avvenenza non sia per te occasione di caduta. Sei lì che imprechi, esulti, godi, smadonni ed ecco che suona alla porta il prete che deve benedire casa.

     

    Abbiamo passato decenni a smoviolare incarogniti il pelo nel pallone, senza la pretesa di cambiare il corso delle cose, lasciando la scena all’occhio spesso cecato e qualche volta malavitoso dell’omino in mutande e ora, improvvisamente, armati come le mosche di centomila occhi, inciampiamo nell’assillo della verità, uscendone più balbuzienti e meno emozionati di prima. Basta vedere l’afasia degli opinionisti che da mesi friggono e si contorcono per cercare di decifrare a se stessi se il Var o la Var sia il Bene o il Male, non riuscendo nemmeno a decifrarne il sesso.

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    Intanto, mentre ci si sbatte e si dibatte, il Totem Occhiuto travestito da Macchina della Verità sta guadagnando il centro della scena. Solo ieri ha deciso negli ultimi due minuti il pareggio di Torino-Verona. Cinque ore dopo, non pago, a Bergamo, ha spostato indietro la lancetta di ben tredici secondi per annullare il gol (che sarebbe stato decisivo) di Mandzukic, raccontandoci di come, in un’altra vita, una precedente smanacciata di Lichtsteiner avesse affondato il Nano Gomez.  Ritornare al passato per modificare il presente. Superbia divina. E qui, romanisti, napoletani, anti-juventini esultano in massa. “Hai visto, debosciato conservatore, nemico dei lumi? Grazie al famigerato Var, l’odiosa Juve ha perso i due punti che, forse, le impediranno di vincere il sesto scudetto consecutivo…”. Vero, forse. Ma quante mancate e mai raccontate verità consentiranno a chiunque altra di vincerlo quello scudetto?

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    Insomma, la verità è che l’assillo della verità è come una droga. S’insinua leggero e può diventare una passione insana, un circuito nevrotico che non ci porta da nessuna parte che non sia il lettino dello psicoanalista. Va confinato, regolamentato, istruito in binari ragionevoli. Stabilito che la verità vera non è mai visibile a occhio umano e nemmeno tecno, non si può tuttavia tornare indietro, al peccabile calcio di prima. Non si può far finta di nulla, dirci “okay, abbiamo scherzato”.

     

    L’innocenza è perduta. Non resta dunque che aggiustare le chiavi della nuova casa. Cambiare le regole, in nome di un accettabile, umano compromesso. Togliendo, intanto, il controllo del giocattolo all’obiettività presunta di chi, per più di una ragione, a cominciare dalle implicazioni egoiche, difficilmente potrà essere obiettivo, e cioè l’arbitro. E lasciare, come si fa in altri sport, ai protagonisti stessi (gli allenatori in questo caso) la facoltà discrezionale d’interrogare (due volte nella partita, una volta a tempo?) la sfinge e prendere atto delle sue sentenze.  

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