Antonio Emanuele Piedimonte per “la Stampa”
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«Quando ero piccolo mi facevano fare il pony insieme a mio cugino». In realtà Gennaro (nome fittizio) ha ancora tredici anni ma evidentemente si sente già grande, abbastanza da manifestare una scorbutica diffidenza: «'O zì ma tu overo fai 'o scrittore? Nun è che sì nu giornulaio? (nei quartieri popolari è frequente la confusione tra giornalaio e giornalista, ndr). Perché nuie 'e schifamm» (i cronisti non godono della nostra stima).
Nicola Marino - figlio di Gaetano Marino detto Mckay - recita nella serie Gomorra
È un ragazzino come tanti, che non lascia mai la sella del suo scooter e ti parla fissando lo schermo del telefonino, a scuola ci va poco, è fiero dei tatuaggi e mostra un tono impostato: insomma vuole vestire i panni dell' aspirante camorrista, anche se la carriera cominciata facendo consegne di droga (il pony express) sembra non averlo condotto molto lontano.
LA MORTE DI GIANCARLO SIANI
Lavora, per così dire, in una piazza di spaccio - o almeno è quello che vuole far credere - ma di fatto continua a ricoprire il ruolo di "muschillo", che è la traduzione di moscerino e come è facile intuire indica i bambini usati per il trasporto delle dosi di stupefacente sia perché più agili e veloci degli adulti (come i piccoli insetti, appunto) sia perché per la loro età non possono incorrere nelle maglie della giustizia.
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Ai "muschilli" dedicò il suo ultimo articolo Giancarlo Siani, uscito sul «Mattino» del 22 settembre 1985 con il titolo: "Nonna manda nipotino a vendere la droga". Il giorno seguente il giovane reporter napoletano sarà ucciso in un agguato. Oltre trent' anni dopo, la principale differenza è che "Gennaro" non è stato costretto da un parente, anzi, ha scelto e fortemente voluto entrare nel giro dei «pezzi grossi», cioè lo storico clan Contini, una cosca che nonostante arresti e omicidi (il padrino è in galera da decenni) regna su una vasta zona della città senza aver mai fatto registrare tradimenti o scissioni. E infatti sono gli unici territori dove non si registrano "stese" e solo sporadicamente qualcuno viene "buttato a terra" (espressione che indica un omicidio).
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«Non te lo dico quanti soldi mi alzo, ma sono assai», spiega con aria furba l' adolescente ma, come confida un amico che segue distrattamente la conversazione, non si tratta di riservatezza bensì del timore che altri possano metterlo in cattiva luce dicendo che guadagnano più di lui. In realtà non è ben chiaro neppure quale sia il suo reale contributo all' organizzazione, si direbbe che stia facendo un percorso "di formazione", un po' muschillo, un po' vedetta-sentinella per prevenire i blitz delle forze dell' ordine.
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Di certo però, per lui come per altri coetanei on the road, quello che conta davvero è il vestire griffato, possedere uno scooter potente, potersi atteggiare con le ragazze, recitare una parte. Un forma di esibizionismo che se diventa collettivo, si fa subito violenza.
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Scenari noti e più volte raccontati pure sul grande schermo, anche se tra il celebre "Scugnizzi" di Nanni Loy, uscito nelle sale esattamente trent' anni fa, e la "Paranza dei bambini" (di Claudio Giovannesi) presentato due giorni fa al Festival del Berlino, molto sangue è passato sotto i ponti.
La fiction insegue la cronaca, ma Shakespeare insegna che ci sono più cose tra cielo e terra. L' ultimo rapporto della Direzione investigativa antimafia, appena presentato, è un altro doloroso e inquietante richiamo a quella realtà che in molti fingono di non vedere, spesso per un malriposto orgoglio partenopeo, atteggiamento palesato persino dal nostro piccolo criminale in erba che, mentre segue le tracce dei vip dei social, sbotta: «Tutti parlano male di Napoli, è uno schifo, è invidia perché nuie siamo meglio, ecco perché s' hann vattere (bisogna picchiarli, ndr, il riferimento è ai tifosi delle altre squadre)».
Scrivono gli analisti della Dia: «Particolare attenzione merita il rapido diffondersi di episodi riprovevoli e violenti commessi dalle cosiddette baby gang, espressione di una vera e propria deriva socio-criminale». E ancora: «I minori rappresentano un "esercito" di riserva da impiegare in particolare nelle attività di spaccio delle sostanze stupefacenti ove, come più volte emerso dalle attività investigative, partecipano persino i bambini».
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Ugualmente sconfortanti i dati della giustizia minorile, recentemente ricordati dal sociologo Isaia Sales: «Quelli che sono stati messi alla prova, cioè hanno visto annullare la pena con un impegno a studiare o a imparare un lavoro, tornano da adulti nel circuito criminale e penale. Quasi la metà di essi sono recidivi, da adulti fanno quello che facevano da ragazzini».
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