Francesco Semprini per "La Stampa"
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Il presidente della Columbia University Lee Bollinger, nella nota di cordoglio per l'omicidio di Davide Giri, ha definito l'accaduto «incredibilmente triste e profondamente choccante». La puntualizzazione dell'opinione pubblica è stata tagliente: «È triste, ma non è scioccante».
Nel senso che non si tratta del primo caso e il timore è che possa non essere l'ultimo. Giri è il secondo studente della grande comunità della Columbia ad essere ucciso nel corso di un'aggressione, per di più nello stesso punto dove il promettente dottorando ha perduto la vita giovedì sera, ovvero a due passi dal complesso universitario.
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Nel dicembre 2019 tre adolescenti hanno preso di mira la diciottenne Tessa Majors di Barnard College proprio a Morningside Park e l'hanno uccisa senza pietà, tenendola ferma e affondando la lama di un coltello.
Secondo i verbali del dipartimento di polizia di New York in quell'area si sono verificati, prima e dopo la morte di Majors, un'ondata di episodi simili, aggressioni a scopo di rapina o fini a stessi.
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Un fenomeno alimentato dal lungo letargo pandemico e dall'affermarsi del movimento «defund the police», dal depotenziamento delle polizie americane oltre al secolare problema del Far West delle armi da fuoco.
Bollinger ha inoltre espresso preoccupazione per il fatto che l'episodio sia avvenuto non lontano dal campus, così come la New York University aveva fatto in occasione del ferimento di una studentessa di ingegneria da una pallottola vagante vicino al campus MetroTech di Brooklyn.
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«Cercare di tenere al sicuro i campus della città mentre attorno c'è il caos è un approccio destinato al fallimento», spiega Herbert Bowl, abitante del quartiere. Ben inteso, il fenomeno non riguarda solo Columbia e Morningside Park, tantomeno è circoscrivibile ad Harlem. Né si tratta di una dinamica tutta newyorkese.
La scorsa settimana Sam Collington, 21 anni, uno studente di Temple University, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco durante una rapina vicino al suo appartamento di Filadelfia, non lontano dal campus.
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Il mese scorso Shaoxiong «Dennis» Zheng, 24 anni, laureato alla University of Chicago nel 2021, è stato ucciso in una rapina a Hyde Park, proprio vicino all'università, secondo affiliato all'ateneo di Chicago a essere ucciso quest'anno, a giugno era stata la volta di Max Lewis, 20 anni, ammazzato da un proiettile vagante.
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L'anno scorso, lo studente della sede di Berkeley dell'Università della California, Seth Smith, 19 anni, è stato ucciso mentre camminava vicino al suo appartamento poco fuori dal campus.
In alcuni casi si è corsi ai ripari rafforzando i controlli, ma il punto è che si possono proteggere i campus, ma non vi si può rinchiudere gli studenti come in una sorta di cattedrali nel deserto dell'illegalità.
Molti studenti, come Zheng e Giri, non solo non sono di New York, ma non sono americani, ostaggio della pandemia che ha di fatto limitato la loro socialità dell'apprendimento e poi li ha resi vittime dell'ondata di crimini violenti che le città degli Stati Uniti, inclusa New York, hanno registrato negli ultimi due anni.
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Dal 2019 il distretto intorno alla Columbia ha visto triplicare le sparatorie, mentre le aggressioni sono aumentate di quasi il 60%. I crimini d'odio sono cresciuti dell'800% in tutta la città, dove gli omicidi sono aumentati del 42% in due anni.
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Un aiuto potrebbe arrivare dalle stesse università, che potrebbero utilizzare la loro autorevolezza nel far pressioni sulle autorità per agire in maniera più decisa sul fronte della sicurezza. O il rischio è che la loro immagine ci rimetta, e che l'aurea del «campus americano» sbiadisca inesorabilmente.