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    CAPUTO MI HAI! “IL PEGGIO SEMBRA ESSERE PASSATO” – 40 ANNI FA SERGIO CAPUTO MANDAVA IN SOFFITTA GLI ANNI SETTANTA CON “UN SABATO ITALIANO”: "ERO UN ART DIRECTOR CON L’HOBBY DELLA MUSICA, FACEVO UNA VITA DA VAMPIRO. DI GIORNO LAVORAVO SU PROGETTI IMPORTANTI E DI NOTTE GIRAVO TRA I LOCALI - OGGI NON CONOSCO I NUOVI ARTISTI, C’È MOLTA MUSICA USA E GETTA. COME FAI A PRENDERE SUL SERIO CANZONI CHE HANNO 10 AUTORI? NON SO QUANTE CE NE RICORDEREMO FRA 10 ANNI" – IL TOUR E IL VIDEO


     
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    Estratto dell’articolo di Barbara Visentin per il Corriere della Sera

    sergio caputo sergio caputo

     

    Quarant’anni fa «Un sabato italiano» fotografava il momento di passaggio fra gioventù ed età adulta con un indefinibile mix di leggerezza e malinconia, raccontando le notti inframmezzate da birre, amicizie, amori e sigarette.

     

    Sergio Caputo, in quell’aprile 1983, era lontano dall’immaginare che il suo primo album sarebbe diventato un classico della musica italiana, tanto da portarlo ora a festeggiare l’anniversario con un tour con big band, in cui suonerà tutto l’album più altri successi, che parte il 12 aprile dal teatro Lirico di Milano (data zero il giorno prima a Genova, poi 26 aprile a Roma e 28 a Napoli): «È un evento importante per me. Non so se ci sarà un cinquantennale, non so se sarò vivo né se sarò in grado, anche se me lo auguro. Questo lo vedo come uno show in evoluzione che continuerà ad andare avanti. Potrebbe diventare un musical o qualsiasi altra cosa».

     

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    Quando è nato «Un sabato italiano» faceva tutt’altro lavoro: «Ero un promettente art director di una grossa agenzia pubblicitaria, ma avevo questo hobby della musica che stava prendendo il sopravvento — racconta —. Facevo una vita spericolata, un po’ da vampiro. Di giorno lavoravo su progetti importanti e di notte giravo tra i locali in cui si suonava, dal jazz al punk, assorbendo tutto».

     

    L’età permetteva di non pensare al sonno perso: «Dormivo dalle 18.30 alle 23, mettendomi la sveglia. Poi con gli amici decidevamo l’itinerario della serata». In quegli anni «si respirava il sollievo dopo i conflitti e le paure degli anni 70», ricorda: «Ne è nato un album basato su emozioni elementari, sull’impazienza di vivere il futuro unita alla paura di buttarsi nel mare aperto. È un momento difficile da identificare, ma comune a tutti, senza agganci di circostanze o di tempo». 

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    (...)

    Le sue notti, rispetto agli anni 80, sono diventate meno spericolate: «Non potrei più fare la vita di quel periodo, né lo vorrei. Continuo a cantarla perché è rimasta nel tempo, ma adesso dopo i concerti mi piace fermarmi nel bar dell’hotel per bere qualcosa e stare un attimo con la band e non vado sicuramente in giro per locali. Loro invece sì». Caputo si tiene lontano anche dalla scena musicale odierna: «Non conosco i nuovi artisti, vivendo all’estero non seguo granché, ma è sotto gli occhi di tutti che c’è molta musica usa e getta — dice —. Come fai a prendere sul serio canzoni che hanno magari dieci autori? Non so quante ce ne ricorderemo fra 10 anni. Io qui in Francia ascolto la radio e sento le canzoni vere, quelle che hanno passato l’esame di maturità del pubblico».

     

    Anche per questo ha venduto il suo catalogo, così come hanno fatto tanti grossi cantautori internazionali: «Ho ceduto quel che era di mia proprietà dal 2008 in poi. Così gli album verranno gestiti meglio di come avrei potuto fare io e ho la certezza che mi sopravviveranno».

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