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    CARA MIA, TU NON STAI BENE – LA  MODELLA CARA DELEVINGNE PRESENTA LA SUA COLLEZIONE ISPIRATA DA KARL LAGERFELD E RACCONTA LE SUE TURBE INFANTILI: “COLLEZIONAVO INSETTI MORTI E LI METTEVO NELLO SLIME VERDE. POI LI INCOLLAVO SULLE STATUE A CASA” – "NON PENSAVO CHE SAREI STATA ANCORA VIVA A QUESTA ETÀ. IL FATTO CHE SIA QUI E NELLA POSIZIONE IN CUI SONO, MI FA SENTIRE COME SE NE DOVESSI APPROFITTARE” (A GIUDICARE DALLE FOTO EMACIATA IN AUTO, MENTRE FUMAVA E ASSUMEVA STRANE GOCCE, NON SEMBRA CHE NE STIA APPROFITTANDO GRANCHÉ…)


     
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    Chiara Barzini per https://www.repubblica.it/moda-e-beauty/d/

     

    cara delevingne e karl lagerfeld 2 cara delevingne e karl lagerfeld 2

    Karl Lagerfeld diceva che Cara Delevingne era «un’it girl moderna». Adorava la sua genialità espressiva, il fatto che fosse ribelle, spiritosa, colta e di buona famiglia. La vedeva come un personaggio uscito da un film muto, la «Charlie Chaplin del mondo della moda».

     

    La loro eccentrica amicizia intergenerazionale è diventata un simbolo di trasgressione, libertà e leggerezza. Dopo la scomparsa di Karl a Cara è stato affidato il compito impegnativo di creare una linea di moda ispirata a quella loro comunione spirituale. Avendo anch’io una forte propensione a fare amicizia solo con persone dagli ottanta in su, posso capire bene il suo entusiasmo per questo progetto. La collezione, intitolata CARA LOVES KARL, si compone di stili unisex con tessuti sostenibili ed è l’emblema delle passioni trasversali di Cara.

     

    cara delevingne con la sua nuova collezione ispirata a karl lagerfeld 5 cara delevingne con la sua nuova collezione ispirata a karl lagerfeld 5

    Modella, attrice, stilista e attivista, Delevingne ha vinto il premio di modella dell’anno ai British Fashion Awards nel 2012 e nel 2014. Ha completato da poco un documentario per Bbc e Hulu intitolato Planet Sex, in cui gira per il mondo e affronta temi di sessualità e identità di genere senza filtri.

     

    Vive incessantemente alla ricerca di realtà da esplorare e mettere in discussione. Abbiamo parlato via Zoom fra Roma e Londra. Faceva un caldo spaventoso in entrambe le città ed eravamo senza aria condizionata, energizzate da quella lieve tachicardia da disidratazione e minaccia apocalittica.

     

    Lei usava il ventaglio con verve drammatica fino a quando non ci siamo arrese e abbiamo cominciato a toglierci strati di vestiti e siamo rimaste in reggiseno (lei) e canottiera del pigiama (io). Il mondo è in fiamme, tanto vale ammetterlo e mettersi comode.

     

    Cara, che non ama star ferma o sentirsi ingabbiata da abiti, condizioni climatiche o fotografi, ha riversato la sua vocazione nomade nel suo ultimo lavoro. Ha preso un paio di valigette per traportare gatti, ci ha infilato dentro le sue Hasselblad ed è partita per consegnare a mano i vestiti della collezione alle sue amiche e amici, per vedere come si adattavano a personalità diverse.

     

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    Il suo processo di collaborazione e sperimentazione costante, il modo di procedere per tentativi ed errori la rende irresistibile. Ha la curiosità e l’apertura mentale di una scienziata, lo spirito scettico da filosofo greco e il volto ipnotico da supermodella.

     

    I paparazzi che la pedinano sono stravolti, disorientati dal suo girovagare instancabile, dagli itinerari e i detour assurdi per le strade di Los Angeles, dai cambi d’abito estemporanei.

     

    Questa sua indisponibilità a farsi confinare in un unico posto, mentalità o vocazione artistica rappresenta buona parte del suo fascino. Per essere una persona così giovane (ha compiuto 30 anni il 12 agosto), ha una saggezza di altre epoche, il senso categorico della fuggevolezza dell’esistenza, di quanto sia importante assaporarla, sapere quando piegarla al proprio volere e quando mollare il colpo e rimanere a osservare il caos dagli spalti. Per fortuna lei è dotata di sense of humor, cosa che ha reso molto divertente e anche sexy questa chiacchierata a 40 gradi di temperatura.

     

    cara delevingne con la sua nuova collezione ispirata a karl lagerfeld 3 cara delevingne con la sua nuova collezione ispirata a karl lagerfeld 3

    Questa è una collezione molto speciale, nata da un senso di amicizia e comunione reale e da una visione artistica condivisa con il tuo mentore, Karl Lagerfeld. Quando è stata la prima volta che hai avuto la sensazione che lui ti avesse «vista» veramente?

    «Subito».

     

    Fantastico!

    «Sì, ma c’è un ma. Io non gli credevo. Il mio monologo interiore continuava a dirmi che c’era un errore, forse faceva così con tutti. Quello che vedeva in me io non riuscivo proprio a vederlo.

     

    Da bambina non c’era una cosa in particolare per cui fossi naturalmente portata. Mi piaceva fare tantissime cose, la mia creatività è così. Esplorare e sperimentare approcci differenti mi dà gioia, ma non sentivo di avere una mia specialità, perciò facevo fatica a credere che questa parte del mio carattere potesse essere vista come un punto di forza».

     

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    Questo lato del carattere ti semplificava la vita a scuola, o al contrario te la complicava?

    «In classe chiedevo sempre: “Ma perché è così?” o “Perché devo suonare la chitarra con la corda grande in alto?”. Ho sempre cercato di fare le cose in modo diverso. Il mondo mi sembrava vincolato da regole che qualcuno aveva creato col tempo e che non funzionavano bene per me. Anzi, mi chiedevo sempre perché le cose non venissero fatte esattamente al contrario».

     

    Quindi con Lagerfeld pensavi a un fraintendimento.

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    «Non avevo mai pensato di fare la modella. Recitare era forse l’unica cosa che mi sembrava adatta a me perché potevo essere attiva, sentire un personaggio e interpretarlo. Ma essere vista come una “bella” era tutta un’altra storia. Dovevo trovare la mia posizione in quel ruolo lì. Mi dicevo che era un lavoro, un personaggio differente. E a quel punto mi sono resa conto che potevo diventare brava. Mi ci è voluto un anno per imparare a camminare coi tacchi. Ma non è un problema per me fare una cosa male e poi imparare a farla meglio, mi è sempre piaciuto».

     

    Forse eri semplicemente molto saggia, ma non te ne rendevi conto.

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    «Non pensavo mai che avrei fatto una sfilata, poi è arrivata quella di Chanel. Era la mia prima volta alla settimana della moda di Parigi ed io ero tipo: “Chanel? Ma sto sognando?”. C’erano tutte le modelle più famose, riconoscevo ogni viso e correvo di qua e di là nervosamente, facendo le mie linguacce.

     

    Karl si era accorto che ero a disagio e cercava di farmi capire che non dovevo preoccuparmi, che quello era il mio posto. Per tutto il tempo mi sono sentita come una comparsa, ma Karl convalidava sempre le mie iniziative. Una cosa che mi dà ispirazione, nelle sfilate, è che c’è sempre un personaggio pronto che ti aspetta, che smania per venire fuori».

     

    Quali sono questi personaggi? Ti sono piaciuti tutti?

    cara delevingne e pharrell williams per karl lagerfeld 2 cara delevingne e pharrell williams per karl lagerfeld 2

    «Sono stata una punk o una scozzese che girava per un castello in fiamme. Ho preso iniziative come “Posso trovare qualcuno per ballare con me?” o “Posso prendere una sega elettrica al supermercato e portarmela via nel carrello?”. E per la prima volta tutte queste personalità erano accettate e incoraggiate».

     

    La sega elettrica direi che è la mia preferita.

    «Karl era bravissimo a crearsi un personaggio. Usava questa cosa per proteggersi sotto molti aspetti, e io mi trovavo in sintonia con questo approccio. Gli piaceva avermi intorno. Mi guardava e mi diceva: “Sei buffissima”, ma non lo facevo apposta, è solo che sono strana… Aspetta un attimo, ti dispiace se mi tolgo la giacca? Fa un caldo! Prima ero nuda e mi sono dovuta mettere qualcosa addosso, ma adesso i vestiti mi si appiccicano alla pelle e non so come fare».

     

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    Fai pure. Anch’io sto morendo di caldo, ho solo questa canottiera da nonnina.

    «Vivo in una vecchia casa georgiana e le temperature qui dentro sono una cosa da non credere. A Londra non hanno mai sentito parlare di aria condizionata e stanno soffrendo tutti, è una cosa impossibile».

     

    Pensavo a quanto l’atto creativo sia legato al lutto. Quando qualcuno che ami e che è una fonte di ispirazione scompare, la sua figura può diventare travolgente. Nella mia esperienza, i morti sono molto più presenti dei vivi. Hai osservato anche tu questa cosa?

    «Sì, assolutamente. È molto interessante che tu lo dica perché pensavo molto alla morte da bambina e ho sempre pensato che non mi faceva paura. La vedevo come una forma di spiritualità e mi faceva riflettere su come le persone influenzano la tua vita, il segno che lasciano. Recentemente è morta mia nonna e mi sento legata a lei più che mai. Dicono che ci sono cinque fasi del lutto, ma secondo me sono molte di più. L’ultima è il modo in cui il defunto ti influenza nel presente, vive dentro di te, è sempre lì».

     

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    Un’altra cosa che faccio quando scompare una persona che è stata fonte di ispirazione per me è cercare di tenere in piedi una conversazione con lei. Mi ritrovo a chiedere consiglio, anche  a raccontare barzellette sporche.

    «Per questo questa collezione era così importante. Dovevo ristabilire un contatto con Karl. Mentre disegnavo gli abiti, mi chiedevo sempre che cosa avrebbe fatto lui, e nella mia testa sentivo la sua voce che mi urlava: “Io voglio sapere che cosa faresti tu”. Mi diceva sempre che la mia posizione nella vita era fare le cose in modo diverso, spingerle in direzioni inaspettate. Mi metteva in guardia che sarei stata definita una ribelle, ma non è un atteggiamento ribelle, è solo meditato».

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    Ti sembra di aver mantenuto quell’atteggiamento ribelle nel disegnare gli abiti?

    «Non voglio fare abiti che “indossano” le persone, voglio che siano le persone a indossare gli abiti. Voglio che sentano che è la loro collezione. E voglio che trovino un modo loro per indossarli. Molte giacche hanno i bottoni sul retro, così se due fidanzati le comprano possono scambiarsi metà giacca. Si può aggiungere un piccolo colletto o un cappuccio, o indossarla a rovescio. La collezione è unisex, ma non voglio che abbia questa etichetta, perché secondo me gli abiti devono essere unisex, tutti».

     

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    Mi piace tantissimo il tuo approccio non solo alla fluidità della sessualità, ma anche alla reversibilità della sessualità, un po’ come il cappuccio e il colletto di cui parli. So che ami gli spogliarellisti canadesi, perché il Canada è il solo Paese che autorizza il nudo frontale. Forse se la nudità maschile fosse consentita ci sarebbe meno la percezione della mascolinità come una performance. Più peni nudi significa meno mascolinità tossica?

    «Sì! Al cento per cento! Quando vado in un locale di spogliarelliste donne, finisco sempre a chiacchierare con le ragazze. Mi raccontano che stanno cercando di laurearsi in legge, mi parlano dei loro figli, della loro vita da mamme single. Mi faccio distogliere, intellettualmente. Invece, quando vado in un locale di spogliarello maschile in Canada, vedo anche la loro vulnerabilità ed è una cosa che mi piace molto, perché toglie gran parte dello stigma e il tabù».

     

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    Qualche anno fa ho parlato con Lina Esco, quando è uscito per la prima volta il suo documentario Free the Nipple. È stata la prima, nel mondo dello show business, a mettere in discussione le leggi statunitensi sulla nudità in pubblico. Grazie all’aiuto di attiviste e celebrità come te, il suo film si è evoluto nel simbolo di un movimento più ampio. Chissà, forse adesso siamo pronti per “free the penis?” In ogni caso, sono curiosa di sapere come sta andando la tua vita di attivista in questo momento.

    «Da piccola sognavo di lasciare il mondo migliore di come lo avevo trovato; è un ridicolo esempio di complesso dell’eroe, ma è anche una cosa che fa tenerezza. Durante la mia vita da adolescente, non pensavo – dico sul serio – che sarei stata ancora viva a questa età. Perciò il fatto che sia qui e nella posizione in cui sono, mi fa sentire come se ne dovessi approfittare. Ci sono tante cose che voglio cambiare. Non posso cambiarle tutte, ma ho il privilegio di poter operare dall’interno. Le questioni ambientali sono estremamente importanti, perché tra dieci anni il mondo potrebbe essere in fiamme e chi se ne importa di tutto il resto?».

     

    Per cosa ti stai battendo in questo momento?

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    «Dobbiamo cambiare la moda, le politiche della moda, e lavorare sui diritti delle donne. È pazzesco stare in un mondo che ci mette così tanto per capire questa cosa. Anche quando uno si impegna al massimo con la militanza, dev’essere consapevole che il cambiamento non avviene in tempi rapidi. Ma è proprio la ragione per cui sono così importanti questi movimenti.

     

    Liberiamo il capezzolo? Sì, ma ancora non è libero. #MeToo? Le stesse cose continuano a succedere a porte chiuse. La cosa più triste è che le nuove generazioni sono molto smaliziate. Possiamo imparare tantissimo dai ragazzi, ma dobbiamo lasciare che siano ragazzi. È come se non fossero più liberi di essere impacciati, di fare errori, di essere imperfetti. Incontro ragazzi che hanno quindici anni e sembrano adulti».

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    Come si manifestava nella tua infanzia e adolescenza questa tua esuberanza, questo lato più anarchico?

    «Non mi piaceva che mi dicessero che le cose erano in un certo modo, quando ero piccola. Ero la ragazzina che chiedeva sempre perché. Ero sempre lì a fare domande. Sembravo strana, mi sentivo strana. Mi piaceva fare cose strane».

     

    Quali erano queste cose strane che ti piaceva fare?

    «Collezionavo insetti morti e li mettevo in una specie di slime verde, perché non volevo che i loro corpi rimanessero lì. Poi li incollavo sulle statue a casa, pensando che così sarebbero stati ricordati. Mio padre trovava mosche e slime sulle sculture e chiedeva: “Ma che sta succedendo?”, e io rispondevo con grande orgoglio: “Guarda, ora saranno ricordati!”».

     

    Insetti consegnati all’immortalità! Eri un’artista.

    «Quello fu il mio periodo più creativo. Ed è per questo, credo, che ora che sono adulta cerco di mantenere lo stesso approccio: godermi tutto il più possibile, divertirmi, prendere in giro le cose e non perdere quella sensibilità. La vita è una cosa incredibile e folle e cerco di guardarla con innocenza. Per gran parte del tempo abbiamo l’impressione di essere un prodotto dei nostri genitori o del posto da cui veniamo, e ovviamente sì, queste cose contano, ma sostanzialmente la vita è tua e puoi scegliere come viverla».

     

    Cara Delevingne NTF Vagina Cara Delevingne NTF Vagina

    Siamo tutti passati attraverso una rivoluzione personale negli ultimi anni. Com’è stato il tuo viaggio personale?

    «Non ero consapevole di quanto fosse importante andare al lavoro per me, per sentirmi riconosciuta. Ho continuamente idee di cose che voglio fare, cose che cerco di scrivere, cose che cerco di fare o di portare a termine. Durante la quarantena mi sono chiesta: “Okay, sono dodici anni che non sto nello stesso Paese per più di due mesi e ora che finalmente posso farlo perché non mi va di lavorare sulle cose mie? Perché non trovo nessuna ispirazione? Che sta succedendo?”».

     

    Lo so, lo so. Essere costretti a rimanere chiusi in casa sembrava una buona opportunità per rimettersi in pari con vari progetti, ma siamo rimasti paralizzati di fronte al vuoto.

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    «È stato un periodo molto duro, ma sono successe tante cose positive. Mi sono resa conto che può succedere di tutto, in ogni momento. A un certo punto il mondo scatta e cambia tutto. La paura che si è creata e le divisioni che si sono create sono state una cosa brutta. Ma fa parte della vita, no?».

     

    L’unico modo per uscirne è passarci attraverso, a quanto sembra.

    «So che non voglio tornare a lavorare tanto quanto lavoravo prima. Non ce la faccio più a prendere così tanti aerei, ed è bello stare in un solo posto. Sto facendo di più le cose che voglio fare davvero. Mi sento più felice, mi sento più realizzata. Ho un’idea migliore di chi sono dal di dentro. Prima, se la gente non mi voleva mi sembrava di non contare nulla, ed è una cosa assurda, e triste. Ma ora mi sento alla grande. Mi sento fica. E so che anche se nessuno mi volesse più, continuerei comunque ad avere accesso a un intero altro mondo e a un intero altro lato di me stessa». Traduzione di Fabio Galimberti

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