STALKING 3
Andreina Baccaro per www.corriere.it
Telefonate anonime, citofonate nel cuore della notte, consegne di pizze non richieste, anche venti in una stessa sera e l’iscrizione a un’agenzia matrimoniale. Vessazioni andate avanti per un anno e mezzo e dietro le quali nessuno immaginava ci fossero due carabinieri.
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Che adesso rischiano un processo. La vittima di quegli scherzi, un avvocato bolognese che li aveva conosciuti e frequentati, per la prima volta racconta lo stato d’ansia vissuto in quel periodo. I due imputati, accusati di stalking, falso e abuso d’ufficio, si sono sempre difesi sostenendo di aver fatto solo una goliardata, ma per la vittima non fu così.
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L’avvocato, ignaro che dietro la cornetta del telefono ci fossero proprio i due conoscenti in divisa, si era rivolto a loro, che però secondo l’accusa lo convinsero ad omettere dalla denuncia alcuni episodi e mandarono un’informativa falsa al pm. Il pubblico ministero Stefano Dambruoso ha chiesto il rinvio a giudizio e lunedì 21 giugno il gip Sandro Pecorella emetterà il verdetto, su una vicenda che è già stata interpretata da diversi punti di vista in sede giudiziaria: la Cassazione ha respinto l’interdizione dal servizio per sei mesi, riqualificando i reati, mentre il Tar ha respinto il ricorso dei carabinieri contro la sospensione disciplinare.
Avvocato, perché aveva deciso di denunciare?
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«Perché la cosa andava avanti da troppo tempo, era intollerabile dover continuare a coesistere con questa situazione inaccettabile. Nel 2019 ho deciso di presentare la denuncia che avevo preparato ma tenuto ferma. Gli indagati mi avevano convinto a non depositarla, ma poi l’ho formalizzata perché non vedevo altro modo di far cessare tutto. Non è che mi aspettassi niente, pensavo fosse impossibile risalire agli autori».
Quando poi ha scoperto chi c’era dietro cosa ha pensato?
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«Non potevo di certo immaginarlo, ho fatto fatica a crederci per molto tempo. Aldilà dell’amicizia, io e mia moglie vivevamo già molto isolati all’epoca per via di problemi familiari, mi rifiuto di pensare che un carabiniere possa fare una cosa del genere. Non è stato facile accettarlo, un carabiniere aiuta, come fanno tanti. Mi rivolgevo anche a loro quando avvenivano questi episodi, li informavo».
È possibile che i due indagati non si siano accorti che lei non stava vivendo tutto questo come uno scherzo?
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«Lo escluderei, lo scherzo si fa per condividerlo con la vittima. Io per queste persone ero diventato un lavoro, hanno trovato pizzerie disposte a fare consegne ripetute nella stessa sera. Ma poi non capisco la ratio: vede, se un amico le fa uno scherzo poi lo condivide con lei, ride con lei di lei e di se stesso e poi si ricorda come un episodio piacevole.
Mentre chi è ignoto e tale rimane non può fare questo, io escludevo che fosse una cosa benevola, mi ero convinto che fosse qualcosa di pernicioso perché lo scherzo è fatto da una persona che si conosce e si frequenta mentre lo sconosciuto non può apprezzare l’impatto, il disagio che provoca. Per un certo periodo ho cambiato gestore telefonico, poi dopo non rispondevo più al telefono.
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Senza considerare i contraccolpi nel quadro familiare: mia moglie mi diceva “ma che mostro ho sposato? Perché qualcuno ci ha preso di mira? Cosa hai combinato?”. Non riuscivo proprio a capire chi potesse essere».
Cosa si aspetta adesso?
«Nulla, non ho certamente intenzioni vendicative. La legge è uguale per tutti, così come le garanzie difensive, la legge deve essere sinonimo di giustizia anche se processuale. Non mi aspettavo un epilogo così, a me bastava starmene in pace, non dovermi confrontare con queste cose».