Pierluigi Panza per il “Corriere della Sera” - Estratti
CARLO RATTI
Il Cda della Biennale di Venezia ha nominato Carlo Ratti curatore della XIX Biennale d’Architettura, che si svolgerà nella primavera del 2025. La nomina è avvenuta su proposta del presidente Roberto Cicutto in accordo con il presidente entrante Pietrangelo Buttafuoco in un clima (finalmente per l’Italia) di signorile condivisione.
La scelta prova che ci sono ottimi protagonisti anche italiani sulla scena mondiale delle pratiche artistiche, benché Ratti sia portatore di una visione di sviluppo tecnologico-globalista opposta a quella della tradizione classica, latina, identitaria e mediterranea. Se c’è un pensatore italiano che si può ritenere l’opposto di Buttafuoco questo è Ratti: quindi, viva il confronto e l’apertura.
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Di formazione architetto e ingegnere, Ratti insegna al Massachusetts Institute of Technology e al Politecnico di Milano, è direttore del Senseable City Lab del Mit e socio fondatore dello studio di «architettura e innovazione» Carlo Ratti Associati, dove lavora spesso in coppia con il progettista del Museo del Novecento di Milano, Italo Rota, che, invece, ha un colto e fascinoso approccio all’architettura. I due si completano.
Laureato al Politecnico di Torino, Ratti ha conseguito un master of Philosophy e un PhD in Architettura all’Università di Cambridge, completando il dottorato come Fullbright Scholar presso il Mit.
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CARLO RATTI
La sua esperienza comprende progetti in diverse parti del mondo ed è stato curatore del padiglione Future Food District durante l’Expo 2015 a Milano. Il suo lavoro è stato esposto al MoMA, alla Biennale di Venezia, al Design Museum di Barcellona e al Maxxi di Roma. Tre dei suoi progetti — il Digital Water Pavilion, la Copenaghen Wheel e Scribit — sono stati inclusi nell’annuale elenco delle «Migliori invenzioni dell’anno» della rivista «Time».
Se la curatrice uscente, la scrittrice di origini ghanesi Lesley Lokko, interpreta l’architettura come fenomeno sociale da iscrivere nella generale rivendicazione progressista dei post colonial studies, Carlo Ratti è il «filosofo della città sensoriale», un progettista che pensa come mettere le tecnologie al servizio degli individui.
La tesi di Ratti è che le tecnologie digitali stiano diventando interconnesse e, di conseguenza, muteranno sempre più l’interazione tra individui e ambiente: il futuro va pensato a partire da questa relazione, che investe anche i campi del Comportamentismo, della Neuroestetica e dei Neuronispecchio.
CARLO RATTI
È una tesi che nasce con Locke e Hume e che ha in Gustav Fechner (1801-1887), fondatore della Psicofisica, il padre nobile. Fechner riteneva di aver addirittura individuato un’equazione per stabilire il rapporto tra stimolo esterno e sensazione individuale: S (sensazione) = c(costante) logR(stimolo). Tuttavia, che le tecnologie disgiunte da storia e sentimenti siano salvifiche per individui e città è argomento di dibattito.
Con Ratti l’architettura diventa fenomeno tecnologico e non culturale, a meno di intendere la tecnica come «destino» culturale dell’essere (qui tornano in mente Martin Heidegger ed Emanuele Severino). Walter Benjamin finisce in soffitta.
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«A noi architetti piace pensare di essere smart — commenta Ratti —, ma la vera intelligenza è ovunque: dall’ingegno disincarnato dell’evoluzione naturale, alla crescente potenza di calcolo dei computer fino a una diffusa saggezza collettiva. Per affrontare un mondo in fiamme, l’architettura deve sfruttare tutta l’intelligenza che ci circonda». Prepariamoci anche all’Intelligenza artificiale, ma a poca memoria affettiva e patrimoniale. Niente rovine, please, e molti bite
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