Estratto dell’articolo di Carmelo Lopapa per “la Repubblica”
GIORGIA MELONI
[…] Nella ingiustificabile e indecorosa vicenda dell’ufficiale della vergogna — il nostalgico generale dell’Esercito Roberto Vannacci rimosso dal comando dell’Istituto geografico militare di Firenze per i contenuti del suo Il mondo al contrario — sta riemergendo in tutta la sua arcaica prepotenza il dna di una destra che in fin dei conti non è mai mutata.
Soprattutto, non si è mai estinta. Se il parà con le stellette […] rivendica oggi il suo pensiero è perché sa bene di godere della condivisione diffusa […] di una destra politica, più o meno estrema, ma vivace e attiva. Quella che gli ha già prospettato un approdo elettivo di successo, magari già alle Europee del 2024, con Gianni Alemanno o tra le file di Forza Nuova poco importa.
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Se quel testo che nessun editore si era sognato di pubblicare […] diventerà manifesto basico di teste rasate e vuote sarà un problema col quale bisognerà fare i conti, da qui in avanti. Vannacci si sarà sentito pur legittimato se viviamo in un Paese in cui un vicepresidente del Consiglio predica l’alleanza con Marine Le Pen e con i neonazisti tedeschi di Afd, a conti fatti.
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Ma quel che preoccupa forse ancor più del generale […] è che la destra che siede a Palazzo Chigi e in Consiglio dei ministri, cioè al gradino più alto delle istituzioni, sta cercando in queste ore di tenere insieme tutto. Da una parte, il ministro Guido Crosetto, che ha preso doverosamente le distanze attivando i vertici militari e agendo da sano anticorpo di una democrazia matura; dall’altra, e al contempo, anche la base in rivolta che la pensa esattamente come l’ufficiale della vergogna.
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Perché c’è un’anima nera che pulsa in un angolo di quel trenta per cento dell’elettorato oggi pronto a ri-votare Fratelli d’Italia. Lo sa bene la leader populista ancor prima che nazionalista Giorgia Meloni, la quale non a caso ha preferito indignarsi via social per un gruppo di italiani che si è alzato dal tavolo di un ristorante albanese senza pagare il conto piuttosto che per un generale dell’Esercito che ha scritto farneticazioni su gay, ebrei, migranti, presunta “italianità” e via delirando.
Tanto che verrebbe da pensare che sia rimasta la stessa Meloni che nel 2019 ha cofirmato un libro in cui si discettava di “sostituzione etnica” e si distingueva tra “bianchi e neri” e non si sia invece evoluta nella premier che nel 2023 viene ricevuta alla Casa Bianca e partecipa ai G20.
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Sembra che in queste ore lo stesso Crosetto, che con l’amica Giorgia ha dato vita a Fratelli d’Italia, sia rimasto spiazzato e sorpreso per le critiche piovute — più in privato che in pubblico — dal loro mondo per la rimozione dell’ufficiale. Il generale andava difeso, è l’idea di questa destra che si agita nel ventre molle del partito
È a quel ventre che dà voce un fedelissimo come Giovanni Donzelli, il quale non ha mai pronunciato una parola che si discostasse dal pensiero della sua leader, spintosi fino alla difesa estrema.
Perché, a suo dire, “in un mondo democratico si scrive ciò che si pensa”. Ma questa è la democrazia distorta di chi non ne comprende la natura e il valore piegandola al proprio delirio. Si chiama libertarismo, porta a ritenere legittimo ogni pensiero estremo e pericoloso. Non ha nulla a che fare con la democrazia, che invece è tale perché respinge e condanna il pensiero intollerante e violento, discriminatorio e razzista.
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Se la destra al governo non vuole diventare solo il volto presentabile di quell’anima nera deve dare un segnale prima che sia troppo tardi. La destituzione dall’Istituto geografico del portatore insano di un pensiero corto non basta per lavarsi la coscienza.
Le parole sono importanti, per parafrasare Nanni Moretti, e le condanne anche solo quelle verbali possono essere pesanti. Ma bisogna avere il coraggio e le carte in regola per pronunciarle. La scalata rapida al potere può dare la patente di abile e astuta leader fattasi dal nulla, ma non è sufficiente per acquisire quella di statista. Tanto meno di sincera democratica.
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