Intervista di Massimo Gramellini del 30 giugno 2017 pubblicata da www.corriere.it
raffaella carrà
Raffaella Carrà, come si diventa madrina del World Pride 2017 e icona planetaria dei gay?
«L’ho chiesto a un amico gay, direttore di una rivista in lingua spagnola: “Que te gusta de mi persona?”. Lui mi ha guardato come se fossi una torta al cioccolato: “Todo”. La verità è che morirò senza saperlo. Sulla tomba lascerò scritto: “Perché sono piaciuta tanto ai gay?”».
Già, perché?
Raffaella Carra - Foto Farabola
«Mi hanno cresciuto due donne. Tre, contando la nurse inglese: severissima. Mia mamma Angela Iris fu una delle prime a separarsi nel dopoguerra. Non si risposò più. Nonna Andreina era rimasta vedova di un poliziotto originario di Caltanissetta che si chiamava Dell’Utri. Per addormentarmi mi cantava le arie d’opera, piene di disgrazie. E io: “Nonna, cantami qualcosa di allegro, diobono...”».
Le mancava la figura maschile?
Raffaella Carra - Foto Farabola
«Mi vergognavo di non averla. E nascondevo la verità. A scuola, quando mi chiedevano che cosa avevo fatto col babbo nel fine settimana, mi inventavo la qualunque».
Ma lui, il signor Pelloni, dov’era?
«Aveva un caseificio a Castelfranco. Con la mamma le cose erano andate male subito. La prima notte di nozze lei l’aveva passata su una poltrona. Ma io non mi arrendevo. Proposi un fioretto a mio fratello Enzo: se mamma e papà tornano insieme, non mangiamo più banane».
E vostra madre?
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«“Se volete che torni con lui, lo faccio, ma sappiate che sarebbe il sacrificio più grande della mia vita”. Ci guardava coi suoi grandi occhi blu, che splendevano su quella pelle bianca da normanna su cui non aveva mai lasciato battere il sole. Fu una freccia al cuore. Non glielo chiesi più».
Raffaella Carra - Foto Farabola
Con il papà vi vedevate?
«Ogni tanto ci veniva a prendere. Un uomo buono e gentile, ma inaffidabile. Non aveva alcun senso della famiglia. In casa il babbo era la nonna. D’inverno si occupava di commercio di stoffe e d’estate apriva un bar-concerto a Igea Marina, dove cantavano anche Morandi e Gianni Pettenati».
E lei dov’era?
«In un collegio spagnolo, a Bologna. Al pomeriggio frequentavo la scuola di danza con il sogno di diventare…».
…la Carrà.
«No. Una coreografa come Maurice Béjart».
Un fuoriclasse. E un gay.
«Amavo il lavoro dietro le quinte. Apparire non mi interessava. E neanche fidanzarmi. Al centro sperimentale di cinematografia uscivo solo con i gay. Quando in sala si faceva buio, loro non cercavano di tastarti…».
Era molto puritana?
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«No, è che il babbo ogni tanto telefonava per chiedermi se ero ancora vergine, minacciando in caso contrario di togliermi da mia madre e dal centro sperimentale. Ero così terrorizzata da quella spada di Damocle che fino ai 18 anni non mi sono lasciata toccare con un dito…».
raffaella carrà
Ha anticipato la moda della ragazza con amico gay.
«Mi facevano così tenerezza che dicevo alla mamma: perché non me li lasci portare tutti a vivere a casa nostra?».
Sua madre credeva in lei?
raffaella carra' in copertina su vanity fair
«Quando esordii in “Io Agata e tu”, mi chiamò per dirmi: “Ma eri tu in tv? Non ti ho mai visto così potente”. In famiglia l’artista era lei: negli atteggiamenti, almeno, perché poi non ci hai mai provato. Io invece sono calma e pigra. Ma appena salgo sul palco un’energia si impossessa di me e mi trasformo in un uccello che prende il volo».
E quando torna al nido?
«Il babbo che cercavo l’ho trovato in Gianni Boncompagni, che aveva 11 anni più di me. Finalmente mi sono rilassata. Per tutta la giovinezza mi era mancata la spalla a cui appoggiarmi».
Erano gli anni di Canzonissima, la costruzione del mito.
«Ricevevo tante lettere di ragazzi gay. Scrivevano: “Non mi suicido solo perché ci sei tu”. Con loro diventavo io la spalla a cui appoggiarsi».
RAFFAELLA CARRA E ROBERTO BENIGNI
E che cosa rispondeva?
«Se nel tuo corpo ci sono dei geni più prepotenti nei confronti del tuo sesso, devi accettarti e devi risolverti».
Continuano a scrivere?
«Nei piccoli paesi la loro condizione è difficile ancora adesso. Ho ricevuto la lettera di uno steward di Trenitalia: non posso più vivere, tutti mi fanno la guerra. Ho risposto: “Non deprimerti, è la tua battaglia, devi vincerla”. Per me il mondo non è fatto di gay e di etero, ma di creature».
Le daranno della buonista.
«Non lo sono, ma amo la tenerezza. È la chiave dell’amore. Quello che resta quando finisce il fuoco del sesso».
raffaella carra' su vanity fair ph pierpaolo ferrari 1
Lei l’ha conosciuta?
«Ho avuto due grandi storie d’amore note, con Boncompagni e con Iapino. E altre ignote che non rivelerò mai…».
Se non in una futura autobiografia.
«Mi piacerebbe sciogliere alcuni luoghi comuni sul mio conto. Ma se penso che dovrei andare a promuoverla in giro, allora preferisco non scriverla proprio!».
È mai stata corteggiata da una lesbica?
RAFFAELLA CARRA E ROBERTO BENIGNI
«Ho molte “fan” femmine che non so se siano femmine. Mai nessuna di loro però mi ha rivolto sguardi di un certo tipo…».
In compenso ha avuto molti amici gay.
«Luca Sabatelli e Corrado Colabucci su tutti: i due stilisti che mi hanno vestito. Luca era così simpatico, colto, intelligente. Poi ce ne sono stati altri, ma niente nomi, perché qualcuno non ha mai fatto outing…».
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Com’era il rapporto con loro?
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«Tanto cazzeggio e nessun giudizio. Né pregiudizio. Ma ti pare che un transessuale con due lauree non trovi lavoro solo perché è nato in un corpo di maschio sentendosi donna?».
Qualcuno ne critica l’esibizionismo.
«Certo, tra loro ci sono degli esibizionisti. Anche dei ladri e dei delinquenti, se è per questo. Come tra gli etero».
Si parla di lobby gay.
«Mai conosciuta. Le uniche lobby sono in politica e negli affari».
A proposito di stilisti, certi abiti di scena hanno alimentato la sua fiamma presso l’universo gay.
«Ma i gay amano soprattutto mettersi la parrucca bionda, le mie canzoni e la mia allegria».
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A proposito di bionde, ha sentito la Merkel? L’unico matrimonio è tra uomo e donna.
«Matrimonio civile mi sembra, per ora, la parola più giusta per certificare l’unione tra due persone che si amano».
È favorevole all’adozione per i gay?
«Sono combattuta. Credo che la natura delle cose arriverà a fiorire da sola. Intanto si sono già fatti passi avanti. Due persone che si amano possono prestarsi assistenza. Ricordo il povero Don Lurio disperato perché aveva un compagno molto malato e non poteva andare in ospedale a trovarlo».
E l’adozione per i single?
«Vorrei sapere perché io, cresciuta da una mamma single, non ho potuto avere un figlio in quanto single! Ho persino pensato di farmi spagnola».
In che senso?
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«Prendere la cittadinanza. Lì avrei potuto adottare. Ma mi è mancato il coraggio. Gli italiani, gay e non gay, sono tutti scontenti. Su ogni proposta di cambiamento spira un vento contrario. Anche se sei di centrosinistra, non devi avere paura di passare per decisionista. Invece tutti si frazionano: Renzi, Prodi, D’Alema. E la gente è stanca. Dei politici e dei burocrati che hanno paura a prendere decisioni per timore di scoprirsi con i superiori. I soldi per i terremotati di Amatrice sono ancora fermi. Basta parole. Io sono pragmatica, da buona emiliana».
Ma vive a Roma.
«Roma ti ingurgita. La sindaca Raggi faccia qualcosa di concreto e di immediatamente visibile. Prenda 50 extracomunitari con tre giardinieri e pulisca il Tevere, facendolo diventare come il Tamigi o la Senna».
Mai emigrata. E mai sposata.
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«Sono una che mantiene le promesse, perciò mi sono sempre rifiutata di farne una che non avrei avuto la certezza di mantenere. Giurare in pubblico che starai con qualcuno per tutta la vita… Il matrimonio infelice dei miei mi ha segnata».
Quando ha cominciato a desiderare un figlio?
«A 40 anni, quando sul lavoro ormai mi ero presa le mie soddisfazioni. Ci ho pensato, ma non è arrivato. La natura dice di sì quando vuole lei».
Esistono modi per agevolarla.
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«Sono troppo fifona per sottopormi a certe operazioni. E comunque la vita ha i suoi disegni. Ho perso un fratello a 56 anni di tumore e gli ho promesso che avrei fatto da babbo ai suoi figlioli».
Come la nonna con lei.
«Le mamme abbassano la sottana davanti alle esigenze dei figli. Il babbo invece sa essere giusto. Ogni tanto battaglio col nipote maschio, Matteo. Tenera, ma rigorosa. Non puoi ridurti come quella professoressa che passava il compito al figlio. No, figlio mio, il compito te lo fai da solo: devi crescere, cazzarola…».
Anche Macron è un figlio che non vuole crescere?
«Non credo nella coppia dove l’uomo è molto più giovane. Le donne invecchiano prima. Però lui non è un toy boy, né lei una mamma. Più una compagna. La spalla a cui Macron si appoggia».
Oggi lei avrebbe dovuto essere a Madrid come ospite d’onore della sfilata.
«Mi avevano chiesto di cantare davanti a due milioni di persone. Ho detto di no per timidezza. Tanto ci sarò lo stesso, perché si metteranno la parrucca bionda e intoneranno in coro: “A far l’amore comincia tu…”. E poi “Fiesta”, “Luca”, persino “Rumore”, la più difficile…».
Il premio di madrina del World Pride però è andata a prenderlo.
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«All’ambasciata d’Italia. Nel riceverlo ho detto: vivete questa settimana in allegria, ma le lotte non sono finite. C’è ancora “mucho camino” da compiere per abbattere i pregiudizi… Ci riusciremo. La mia frase preferita recita: “Puoi togliere tutti i fiori, ma non puoi togliere la primavera».
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