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    “SERENA È MORTA DOPO 5 ORE DI AGONIA. AL POSTO DI AIUTARLA, L’HANNO SOFFOCATA” – SULL’OMICIDIO DI SERENA MOLLICONE, LA PROCURA DI CASSINO MENA DURO SULLA FAMIGLIA MOTTOLA: I PM HANNO CHIESTO 30 ANNI PER FRANCO MOTTOLA, IL MARESCIALLO DELLA STAZIONE DEI CARABINIERI DI ARCE, 24 PER IL FIGLIO MARCO, L’ESECUTORE DELL’OMICIDIO E 21 PER LA MOGLIE ANNA MARIA. CHIESTI 15 ANNI PER IL VICE MARESCIALLO VINCENZO QUATRALE PER CONCORSO ESTERNO NELL’OMICIDIO E 4 PER FRANCESCO SUPRANO ACCUSATO DI FAVOREGGIAMENTO…


     
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    Fulvio Fiano per www.corriere.it

     

    SERENA MOLLICONE SERENA MOLLICONE

    Trent’anni per Franco Mottola, 24 per il figlio Marco, 21 per la moglie Anna Maria. Sono le richieste della procura per l’omicidio di Serena Mollicone. I pm sollecitano anche quindici anni per il vice maresciallo Vincenzo Quatrale per il concorso esterno nell’omicidio e quattro per Francesco Suprano accusato di favoreggiamento. Quatrale rispondeva anche dell’istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi, ma il reato è stato derubricato in omicidio colposo ed è quindi prescritto.

     

    «La famiglia Mottola, oltre ad avere avuto un ruolo attivo nell’omicidio, aveva nei confronti di Serena Mollicone un ruolo di garanzia e protezione che non è stato esercitato così come già sanzionato dalla Cassazione nel caso di Marco Vannini a carico della famiglia Ciontoli», sostiene la procura di Cassino paragonando la morte della 18enne di Arce a quella del 21enne di Ladispoli, avvenuta in casa della fidanzata dopo un ferimento in circostanze non chiare e la mancata chiamata al 118 da parte dei familiari della ragazza.

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    «Come per Vannini — dice il pm Carmen Fusco —, i padroni di casa di cui era ospite, ancor più perché all’interno di una caserma, avevano l’obbligo di soccorrerla e invece scelsero di lasciarla morire». Franco Mottola aveva in passato seguito un corso di primo soccorso che avrebbe potuto dunque esercitare con successo, rendendosi conto della situazione della 18enne. Ma il paragone è anche con la vicenda di Stefano Cucchi: «Una pagina nera per l’Arma che altri carabinieri hanno saputo riscattare con le loro indagini»

     

    CASERMA DI ARCE CASERMA DI ARCE

    Nella seconda parte della requisitoria cominciata venerdì, la procura esamina nel dettaglio le posizioni degli imputati: l’ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce, Franco Mottola, suo figlio Marco e sua moglie Anna Maria, che rispondono di concorso in omicidio volontario. Il vice maresciallo dell’epoca, Vincenzo Quatrale è imputato per concorso morale esterno al delitto («per non averlo impedito pur avendone la possibilità») e istigazione al suicidio dello stesso Tuzi, mentre il brigadiere Francesco Suprano è accusato di favoreggiamento.

     

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    «I Mottola hanno avuto non solo un ruolo attivo nella morte di Serena ma anche omissivo mancando di soccorrerla. Hanno agito in modo freddo e lucido, disinteressandosi della sua sorte. Dopo che Marco ha sbattuto la testa della ragazza contro la porta, Franco e Anna Maria hanno concorso materialmente e moralmente facendolo uscire di casa, istigandolo a recuperare i materiali per legare il corpo, rafforzando il suo progetto criminale occludendo le vie respiratorie di Serena. Franco Mottola capo famiglia e comandante quindi primo incaricato a prevenire il crimine ad Arce e perseguirne i colpevoli aveva una spiccatissima posizione di garanzia nei confronti della ragazza sia come padrone di casa sia come comandante.

     

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    Non poteva ignorare l’entità del colpo sferrato e non poteva non accorgersi che fosse ancora viva. Invece dirige le operazioni di soffocamento e confezionamento del corpo, portato avanti con accuratezza femminile da Anna Maria Mottola, che sicuramente aveva sentito il rimbombo del tonfo della porta nella casa senza mobilio e poi sotto il ruolo predominante del marito esegue pedissequamente i suoi ordini fino quando quella sera esce con lui a bordo della Lancia K del maresciallo, che nessuno avrebbe fermato a un controllo, e che pur non essendo mai stata rottamata è di fatto sparita». Sul delitto, conclude la procura ci sono anche prove indirette, tanti indizi univoci e concordati e convergenti.

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    «Consentitemi di spendere una parola su Santino Tuzi — aveva esordito il pm —, è vero che anche lui per anni non ha parlato ma poi ha rotto il muro del silenzio e ha pagato questa scelta con la vita. Santino Tuzi si è suicidato perché è stato lasciato solo da tutti quelli che sapevano, a partire dai colleghi Suprano e Quatrale». La sua testimonianza è credibile, è confermata dalle parole riferite dalla sua amante, Anna Rita Torriero, e dalle confidenze che lei stessa fece ad altre persone con la preghiera di non divulgarle perché altrimenti sarebbe finita nei guai: «Santino si è ucciso per quello che sapeva e perché temeva di essere arrestato». La stessa Torriero è indagata per falsa testimonianza per «aver detto in aula meno di quello che davvero sa», una dei quattro testimoni che rischiano di finire a processo.

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    Il pm ha poi esaminato un complesso elemento scientifico delle indagini, contenuto nella perizia commissionata sul cadavere della 18enne. «Il corpo di Serena è stato depositato nel bosco di Fonte Cupa la notte dell’1 giugno», dice. Il dato si ricava dai tempi di colonizzazione delle larve degli insetti, la mosca verde tipica di quell’area, sul corpo della ragazza. Un dato di grande importanza perché confermerebbe la ricostruzione della procura secondo cui dopo essere stata tramortita contro la porta della caserma, Serena fu legata e imbavagliata e tenuta nascosta prima su un balcone, come si ricava dalle tracce di vernice di una caldaia, poi presumibilmente nel cofano di un’auto e portata via dalla caserma quella notte stessa da Franco e Anna Maria Mottola tra mezzanotte e l’una. Un dato, questo, desumibile da i tabulati telefonici, dagli ordini di servizio e dalla testimonianza di un carabinieri che vide tornare la coppia nottetempo.

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    Gli altri esami scientifici rendono possibile fissare l’ora della morte alle 16 circa «dopo cinque ore di agonia — rispetto alla aggressione avvenuta poco dopo le 11 — Era viva e cosciente ma non moriva». «Serena è morta in caserma — ribadisce il pm — Il suo corpo è stato “confezionato” lì e solo successivamente portato nel bosco». Il decesso, spiega l’altro pm Carmen Fusco, avviene per un «soffocamento attivo», ossia le furono volontariamente ostruite le vie respiratore e le fu chiuso il capo in un sacchetto di plastica.

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    Quanto all’esame reso dagli imputati, «Marco Mottola mente quando dice che il cancello della caserma si poteva aprire col telecomando e non è credibile quando dice che la ragazza con cui è stato visto al bar poche ore prima non era Serena. Quanto alle circostanze della porta rotta con un pugno, Marco non è attendibile quando dice di non ricordare se fu lui o il padre Franco, perché un evento così non si dimentica. Stesso discorso per Anna Maria Mottola per il cancello e quando dice di non aver mai visto la porta rotta come invece aveva confidato a una amica. Anna Maria Mottola mente quando spiega i motivi del trasferimento del marito da Arce e mente quando dice che i suoi problemi psichici sono legati solo allo shock per la morte di Serena e non per il suo coinvolgimento nel delitto».

     

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    Il pm smonta la tesi difensiva del buco nella porta causato da un pugno di Marco o Franco perché la forma della frattura non è compatibile con quella di una mano. «Dire che se quella porta fosse stata l’arma del delitto sarebbe stata allora sostituita per nascondere la prova è una spiegazione che non regge, perché se quella porta fosse stata fatta riparare o fosse stata sostituita avrebbe destato attenzione. Si preferì allora cambiarla con quella dell’alloggio di Suprano, all’interno della stessa caserma. Né all’epoca ci si preoccupò più di tanto delle indagini perché non c’erano le conoscenze per effettuare il calco della testa in 3D e simulare l’impatto come fatto ora».

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