1. CASTELLI, CONVENTI E UN’ISOLA VENETA - NESSUNO COMPRA I GIOIELLI DELLO STATO
Giovanna Cavalli per “Il Corriere della Sera”
ISOLA POVEGLIA
Non è andata proprio deserta, ma certo manco tanto affollata. La prima asta online per la vendita di cinque beni immobiliari di pregio lanciata dall’Agenzia del Demanio finora si è rivelata un piccolo flop. Soltanto uno dei lotti è stato aggiudicato: si tratta dell’ex ospedale militare di Trieste, venduto per 610 mila euro. Il vincitore, Maiko Mario Martin, immobiliarista, non ha vissuto il brivido dell’attesa: era l’unico concorrente.
Nemmeno il fascino di un’isoletta con vista su Venezia, Poveglia (due offerte in tutto, troppo basse), o quello del castello di Gradisca, vicino Gorizia (zero proposte) hanno convinto gli investitori a osare. Neppure per casa Nappi, palazzina di fronte al santuario della Madonna di Loreto, Ancona, è accaduto il miracolo: non si è fatto avanti nessuno. Per l’ex convento San Domenico Maggiore di Monteoliveto, Taranto, c’erano due pretendenti, ma hanno tirato troppo sul prezzo, 300 mila, non un euro di più, niente da fare.
ISOLA POVEGLIA
Quattro beni su cinque dunque sono rimasti in collo al Demanio. Un avvio non esaltante del programma di dismissioni per rimpolpare le finanze statali, avviato dal governo Monti e confermato da quello di Matteo Renzi: entro il 2014, in totale, saranno messi all’incanto altri 40 complessi immobiliari di pregio, valutati dai 400 mila euro in su ciascuno — la prossima asta sarà lanciata entro luglio — più 483 immobili di minor valore e tipologia varia, come cantine, palazzine, garage.
Ci è rimasto male persino il Wall Street Journal. Il quotidiano americano, che ai magri affari demaniali italiani ha dedicato un lungo articolo, si stupisce per lo scarso successo dei nostri «pezzi di Storia» che hanno tanto fascino ma poco mercato. Certo, non è che i beni, indicati dal Mes (ministero per l’Economia e lo sviluppo) siano proprio irresistibili come il Colosseo, però almeno l’isolotto di Poveglia, di fronte alla bocca del porto di Malamocco, nella laguna sud della Serenissima, usata come lazzaretto dal 1814 e come presidio ospedaliero durante la Seconda Guerra mondiale, avrebbe in effetti quel certo non so che.
castello gradisca
Eppure l’offerta massima si è fermata a 513 mila euro, che l’Agenzia del Demanio ha valutato insufficiente e rispedito al mittente. Ovvero a Luigi Brugnaro, presidente di Assolavoro (agenzie interinali) che però era pronto a spendere altri 20 milioni per i lavori di ristrutturazione (l’idea era di farci un centro per i disordini alimentari).
Questo dei costosissimi restauri, spiegano all’Agenzia del Demanio, è uno dei motivi fondamentali dello scarso successo delle aste. «Il mercato immobiliare è fermo, i nostri sono pezzi impegnativi, richiedono massicci interventi di ripristino o di riconversione e in giro c’è scarsa liquidità».
convento monteoliveto
Ma se il proprietario si lamenta della parsimonia dei potenziali compratori, questi, ovvio, la pensano al contrario: che lo Stato gonfi i prezzi, incurante della crisi. «Questi burocrati devono capire che le loro valutazioni sono vecchie e non hanno più senso» si lamenta con il WSJ Antonio Albanese, l’imprenditore immobiliare che avrebbe voluto rilevare l’ex convento tarantino. «Il mercato è cambiato, dovrebbero abbassare le loro pretese».
In realtà il meccanismo dell’asta online non prevede un prezzo base di partenza, ma un sistema di offerta libera, che in teoria potrebbe anche essere di un solo euro. Per evitare perditempo, l’unica accortezza è una cauzione di 20 mila euro da versare in anticipo per poter partecipare. La proposta più alta viene poi valutata in base alla congruità economica e giudicata sufficiente o no. «Non abbiamo avuto la sensazione di un processo trasparente» confida al WSJ Davide Dalmiglio di Jones Lang Lasalle. Le stime dei singoli beni non sono rivelate. L’isola di Poveglia, secondo gli esperti, varrebbe tra i 5 e i 10 milioni. La modalità telematica, per quanto moderna, non è tanto piaciuta. Chi investe in acquisizioni così particolari preferirebbe, pare, un contatto più diretto.
UNA FESTA IN COSTA SMERALDA
A sminuire l’appeal dei nostri beni demaniali è anche l’atavica avversione dei privati per la burocrazia pubblica, considerata, non a torto, fonte di lentezze e intralci. Oltre alla presenza, quasi ovunque, di vincoli paesaggistici e ambientali. Emissari degli Emirati arabi hanno fatto toccata e fuga.
Il nuovo proprietario del complesso militare triestino non ha ancora deciso che cosa fare del suo acquisto: «Forse appartamenti, forse una casa di cura. In ogni caso è lo Stato che ci ha fatto un affare».
2. SARDEGNA AGLI SCEICCHI: “EVASI 170 MILIONI”
Alberto Pinna per “Il Corriere della Sera”
La Costa Smeralda, un paradiso anche fiscale. Sta per concludersi un’inchiesta su una maxi evasione, più di 100 milioni (addirittura 170, se si comprendono interessi e sanzioni) e il procuratore della repubblica di Tempio Pausania Domenico Fiordalisi ha nel mirino una miriade di società che nel 2012 hanno venduto all’emiro del Qatar il «regno» che fu di Karim Aga Khan.
costa smeralda
Alberghi extralusso, ville, l’approdo turistico di Porto Cervo, ristoranti, negozi e locali commerciali, uno dei campi da golf più esclusivi al mondo, 2500 ettari di terreni che si affacciano sul mare. La Qatar holding e l’emiro Tamin Bin Hamad Al Thani non sono coinvolti nell’inchiesta, che investe le società nell’orbita della Colony Capital e dell’uomo d’affari Tom Barrack, americano d’origine libanese, ai quali si contesta di aver «dimenticato» di pagare al fisco il dovuto: incassarono fra i 550 e i 600 milioni dalla vendita all’emiro, ma in Italia — sostengono i magistrati — sono stati versati pochi spiccioli d’imposte.
Barrack aveva acquistato la Costa Smeralda nel 2003 pagandola poco più di 300 milioni: l’ha rivenduta quasi al doppio, ma gli utili si sono smarriti in un labirinto di società collegate alla Colony, che sfocia in Lussemburgo.
costa smeralda
L’Agenzia delle entrate di Sassari ha cercato di vederci chiaro e, almeno per una parte della vendita, è riuscita a recuperare qualcosa: una decina di giorni fa è stato siglato un concordato e nelle casse dell’erario sono affluiti 2 milioni. «Ma si tratta di un atto amministrativo, che riguarda una parte della vendita e non ferma le indagini sull’evasione», fanno sapere gli inquirenti. Che, dopo la perquisizioni dello scorso autunno a Porto Cervo e a Milano, sembrano sicuri di aver ricostruito il percorso dei denari sottratti al fisco e si preparano a chiederne conto a una decina di indagati, fra dirigenti e professionisti.