Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera
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«Junqueras lliure!», Junqueras libero, gridano i militanti della sinistra secessionista sotto le volte di vetro della Stazione Nord, inneggiando al leader che ha votato in prigione, nella cella del modulo 7 che divide con l' ex consigliere agli Interni Forn. «Torna il presidente!» fanno eco i separatisti borghesi sotto il ritratto dell' esule Puigdemont, nell' hotel elegante accanto al Paseo de Gracia: la loro lista era solo terza nei sondaggi, ora contende il primo posto ai nemici di Ciudatans, Cittadini. La Catalogna è andata in massa alle urne e ha espresso un voto ribelle, un sussulto di orgoglio, una rivendicazione di dignità: gli indipendentisti mantengono la maggioranza assoluta dei seggi, con quasi il 48% dei voti.
Questo non significa che l' indipendenza arriverà. Al contrario, il premier Rajoy ha già ribadito che non cambia nulla: Barcellona sarà amministrata da Madrid, fino a quando non saprà darsi un governo proprio, che rinunci a qualsiasi velleità secessionista; e Madrid ha già dimostrato di sapersi far obbedire da poliziotti, militari, funzionari.
Quanto al nuovo governo, è un rebus senza soluzioni.
In un albergo di plaza de Espanya, Inés Arrimadas, l' andalusa trentaseienne leader degli anti-separatisti di Ciudatans, festeggia vestita di bianco un risultato storico: non era mai accaduto che una forza avversa al catalanismo fosse la più rappresentata nel Parlamento di Catalogna. Ma la vittoria avviene a spese del Partito popolare, crollato a un umiliante minimo storico.
Non sarà facile per Inés trovare alleati, dopo aver condotto una campagna molto polemica anche verso il candidato socialista Miquel Iceta, favorevole alla liberazione dei «prigionieri politici».
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Iceta puntava sull'«operazione Borgen», come lui stesso l' ha definita, evocando la serie tv danese in cui il capo di un piccolo partito centrista diventa presidente approfittando dei veti incrociati tra i partiti grandi. I socialisti si sono presentati come conciliatori; il sorriso accattivante con cui nella notte Iceta ha salutato i suoi eletti è piaciuto ai catalani che vorrebbero lasciarsi alle spalle questa stagione orribile; ma i separatisti non sono disposti ad astenersi in cambio di scarcerazioni che oltretutto non dipendono dall' esecutivo locale, ma dai giudici di Madrid.
A maggior ragione non ha chances Xavier Doménech, il candidato del Codino Pablo Iglesias: neppure la sindaca Ada Colau ha trainato la lista di Podemos, stare in mezzo al guado - no alla secessione, sì al referendum - non ha pagato. Male anche l' estrema sinistra: il leader Carles Riera ha votato a pugno chiuso, prontamente imitato dagli scrutatori; tanta passione non è stata premiata, gli anticapitalisti della Cup crollano da dieci a quattro seggi.
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La maggioranza separatista è striminzita. Non era però scontato che dopo una gestione disastrosa della crisi, con una dichiarazione virtuale di indipendenza subito contraddetta dalla realtà, il crollo del turismo, le pressioni del governo centrale sulle imprese, il trasferimento della sede legale delle banche, i catalanisti avrebbero riconquistato i seggi del 2015. La grande partecipazione non ha cambiato i rapporti di forza. Certo, oltre il 50% ha votato per superare l' impasse; ma i partiti unionisti sono profondamente divisi tra loro.
I popolari quasi scompaiono. Rajoy subisce una netta sconfitta. Nel resto della Spagna non è mai stato così forte; ma qui ha pagato le manganellate. Eppure il primo ministro non si era tirato indietro, si è fatto vedere molte volte in città, ha chiuso la campagna di persona martedì notte, ha pure annunciato l' aumento del salario minimo: tutto inutile. L' eco di Barcellona arriva nella notte anche a Madrid.
puigdemont
Albert Rivera, leader nazionale di Ciudadanos, esce rafforzato. Anche il socialista Sanchez ha preso un po' di ossigeno. Far cadere Rajoy oggi non conviene a nessuno, almeno fino a quando le tenebre su Barcellona non si saranno diradate; però il premier dovrà pagare un prezzo ai suoi alleati occulti.
Stamattina comincia la ricostruzione. Suturare le ferite del primo ottobre è impossibile; sarà già tanto lasciarsi alle spalle le tensioni della campagna elettorale, con fantocci impiccati ai cavalcavia, insulti sessisti sui social, minacce e candidati sotto scorta. La sfiducia reciproca è tale che l' Assemblea catalana ha organizzato un contro-conteggio dei voti: «Non ci fidiamo degli spagnoli e dei loro brogli». In teoria i separatisti hanno i numeri per formare un nuovo esecutivo. Però Madrid è pronta a impedirlo o a dissolverlo, se non sarà rinnegata l' indipendenza.
INES ARRIMADAS
Per Puigdemont e Junqueras sarebbe un' umiliazione. L' alternativa resta l' esilio, o il carcere. A meno che i due prendano strade diverse. In fondo non hanno presentato una lista comune, per riservarsi la possibilità di altre alleanze. Una coalizione di sinistra arriverebbe vicina alla maggioranza assoluta; ma i socialisti chiederebbero la rinuncia alla secessione, offrendo in cambio un nuovo Statuto e la richiesta di una riforma federalista della Costituzione. Rajoy potrebbe essere costretto ad accettare: ha già promesso una commissione di studio; cercherà semmai di prendere tempo. Non è escluso che in Catalogna si ripeta quanto è accaduto in Spagna: dove si votò pochi giorni prima del Natale 2015, e sei mesi dopo si tornò alle urne.
mariano rajoy
Assediato dalle telecamere nella «sua» Bruxelles, Puigdemont annuncia: «La ricetta che Rajoy ha spiegato all' Europa è fallita». Se torna in patria, finisce in galera; ma come si fa ad arrestare in nome della democrazia spagnola uno dei vincitori delle elezioni catalane? Junqueras dal carcere saluta commosso i suoi figli, si congratula con la sua pupilla Marta Rovira e manda un bacio alla moglie: «Tesoro non dimentico che oggi è il nostro anniversario».
MIQUEL ICETA
E domani al Santiago Bernabeu si gioca Real Madrid-Barcellona.
CARLES PUIGDEMONT A BRUXELLES Puigdemont Puigdemont Rajoy CATALOGNA