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    “DEL MASCHIO ROMANO APPREZZO LA NATURA SEMPLICE, PANE AL PANE E VINO AL VINO” - IL RAPPORTO DI CATHERINE SPAAK CON LA CAPITALE IN UN’INTERVISTA DEL 1993: “ARRIVAI UNA SERA DI MARZO DEL 1960 A CIAMPINO, MI ASPETTAVA LATTUADA. AVEVO 15 ANNI, NON CONOSCEVO UNA PAROLA D’ITALIANO ED ERO INTIMIDITA” - “C’È UNA PAROLACCIA PRONUNCIATA DAI ROMANI CHE MI DISTURBA IN MODO PARTICOLARE. I TOSCANI ATTACCANO DIRETTAMENTE IN ALTO, I ROMANI INVECE SE LA PRENDONO CON I PARENTI. NON SOPPORTO TRAFFICO, RUMORE E GAS DI SCARICO, MA…”


     
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    Germana Consalvi per www.leggo.it

     

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    «Sopra piazza del Popolo vendevano palloncini colorati. Tutti i giorni ne compravo uno, esprimevo un desiderio e poi lo lasciavo volare. Ero molto bambina... Prenda la crostata, l’ho fatta io ieri in campagna…».

     

    Quel giorno di dicembre 1993, negli studi televisivi dove lavorava al suo programma “Harem”, vero salotto-cult in onda il sabato notte su Raitre dal 1988 al 2002, Catherine Spaak aveva riservato un momento di pausa accettando di raccontare alla rivista “Roma, ieri oggi e domani”, il suo legame fortissimo con la città che oggi, a 24 ore dalla sua scomparsa a 77 anni, avvenuta proprio nella Capitale, val la pena ricordare.

     

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    L’attrice francese di origine belga aveva 48 anni ed era radiosa: Harem, di cui era anche autrice, andava alla grande, e in quei giorni aveva presentato la sua autobiografia “Da me”. Bellissima, fisico da modella, camicia di seta e pantaloni bianchi, offrì con garbo una fetta di crostata che aveva preparato per la redazione.

     

    CATHERINE SPAAK FERRARI CATHERINE SPAAK FERRARI

    Erano già passati trentatrè anni dal suo primo incontro con la Capitale: «Arrivai una sera di marzo del 1960 all’aeroporto di Ciampino, mi aspettava il regista Alberto Lattuada per il provino del film “I dolci inganni”. Avevo 15 anni, non conoscevo una parola d’italiano ed ero molto intimidita».

     

    La passione per i palloncini le è rimasta anche dopo, e infatti ha continuato anche da grande a comprarli, anche se si rammaricava di trovare «palloncini sempre più brutti, di plastica pesante e dimensioni enormi».

    CATHERINE SPAAK DOLCI INGANNI CATHERINE SPAAK DOLCI INGANNI

     

    Della Roma che la accolse negli Anni Sessanta, Catherine Spaak rimase piacevolmente colpita anche «dal teatrino con le marionette al Pincio, la casetta di legno con il siparietto, il burattinaio e i ragazzini seduti sulle panchine, proprio come a Parigi, e da quei grandi taxi verdi e neri con un predellino all’interno che permetteva al passeggero di allungare le gambe: indimenticabili quei taxi».

     

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    A soli 16 anni decise di stabilirsi a Roma e non se n’è mai pentita, mai avuto alcun ripensamento perché, sottolineava, «qui mi sono sentita a casa fin dal primo momento, mai avuta la sensazione di trovarmi all’estero, anche quando non parlavo l’italiano. Che, comunque, imparai in sei mesi».

     

    La brava, versatile e fascinosa Spaak sognava, pensava e parlava in italiano, «la mia lingua», con due sole eccezioni: fiori e verdure le sognava e pensava in francese, confessava ridendoci su. Roma era casa sua, il centro storico il suo «osservatorio privilegiato».

     

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    Abitava in una deliziosa casa con terrazzo nel rione Parione, quasi di fronte a Castel Sant’Angelo: «Il rione per me è fondamentale, è una specie di città in cui tutti si conoscono e in cui capitano cose divertenti. Come la vecchietta che abita di fronte a me e cala il cestino per fare la spesa che ordina al negozio di sotto urlando in romanesco. È un clan, ci si protegge a vicenda».

     

    Romana di adozione ma non di indole: «Al contrario dei romani, sono ansiosa. Mi faccio venire forti sensi di colpa se non sono preparata perfettamente. I romani sono schietti ma soprattutto pigri, amanti della pace, adorano la pennichella, rifiutano stress e angosce e non soffrono la mancanza di potere. La loro lentezza mi rilassa e il romanesco mi diverte».

     

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    Un grande amore, quello tra Catherine Spaak e Roma, parolacce e smog a parte: «C’è una parolaccia che mi disturba in modo particolare, ha a che fare con i morti, ed è molto spesso pronunciata dai romani. I toscani attaccano direttamente in alto, i romani invece se la prendono con i parenti defunti. E poi non sopporto traffico, rumore e gas di scarico. Per passeggiare mi rifugio in campagna, non lontana però: a soli quarantacinque minuti da Roma».

     

    Un idillio da favola, letteralmente: «Roma è le Mille e una notte, è Aladino con la sua lampada, ha una luce molto africana e i suoi ocra e rosa ricordano i dolci molto zuccherati del Marocco». E mentre del maschio romano l’attrice apprezzava «la natura semplice, davvero pane al pane e vino al vino», delle romane sottolineava «la complessità, dietro a un’apparenza solare, e soprattutto la grande femminilità. Nessuno l’ha espressa così tanto. Le romane sono segrete e profonde». E, da regina di Harem, confessava: «Magari avessi potuto avere Anna Magnani, superbo esemplare di romana e di romanità».

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