Marco Zatterin per “La Stampa”
NICOLAS SCHMIT
Nicolas Schmit lancia il sasso. «Io credo che si debba tenere la dinamica dei salari vicino all'aumento dei prezzi così da non deprimere la domanda globale», afferma il commissario europeo per il Lavoro, sfidando serenamente le confindustrie di buona parte del continente.
Ragionamento cristallino, a suo modo. È vero che c'è l'inflazione, riassume il lussemburghese, ma è dovuta a fattori che nulla hanno a che fare con le retribuzioni.
Pertanto, a chi si vede consumare il reddito e magari scivolare verso la povertà, non si può rispondere con la moderazione degli stipendi. «La domanda crollerebbe - prevede l'ex ministro socialdemocratico - e ci ritroveremmo in quello che tutti temono, ovvero nella stagflazione».
NICOLAS SCHMIT
Fate attenzione, avverte Schmit. «Tutti sono preoccupati per la congiuntura europea - assicura -. Dopo qualche difficoltà iniziale, siamo riusciti a gestire bene la pandemia dal punto di vista sanitario ed economico. Questo, perché abbiamo utilizzato con saggezza gli ammortizzatori sociali, salvando milioni di posti e consentendo alle imprese di conservare i loro dipendenti. Quando si è rivista la ripresa, forte persino, li hanno ritrovati tutti. Ora è diverso».
Perché, commissario?
«Ci attendevamo la ripresa dell'inflazione, ma non che sarebbe stata così massiccia e oltre il breve termine. Lo scenario è cambiato. Per la guerra, l'energia e i prezzi del cibo, per colpa di chi trae vantaggio degli aumenti incrementando lo stessi i prezzi. Oltretutto, c'è un effetto di anticipazione sugli aumenti, anche in settori non direttamente collegati a quelli dove i prezzi stanno salendo».
Che fare?
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«I mercati dell'energia sono parzialmente fuori dal nostro controllo. Non è semplice. Potremmo comprare il gas in un modo più coordinato. O mettere un tetto ad alcuni prezzi».
Possiamo davvero? L'Italia lo ha proposto all'Unione ma non andiamo avanti.
«Non è il mio portafoglio. Ma posso dire che è stato fatto in Portogallo e Spagna, perché non sono direttamente collegati ai network europei. È una richiesta che è stata posta e non può essere ignorata».
INFLAZIONE IN AUMENTO
Dureranno i prezzi alti?
«Non sono convinto che il rialzo sarà breve. E questo è il problema. Molti Paesi, come l'Italia, hanno preso delle decisioni per mitigare i prezzi. Questa è una buona mossa. Ma se durerà più a lungo, sarà più difficile».
E allora?
«L'esempio del governo italiano merita ammirazione. Ci sono dei beneficiari di questi aumenti nel settore energetico che hanno visto aumentare fortemente i loro profitti. È successo perché i costi di produzione del petrolio non sono aumentati e, comunque, i contratti sono perlopiù a lungo termine.
INFLAZIONE
Questi profitti extra vanno tratti in modo speciale, severamente. Soprattutto se i guadagni non finiscono in nuovi investimenti in rinnovabili, ma nelle tasche degli azionisti o nel riacquisto di azioni che ne fa salire il valore. Tassandoli, si possono aiutare le famiglie a mitigare gli aumenti, e anche aiutare le imprese, che pure soffrono».
Pensa alle energivore?
«Ho discusso con Andrea Orlando il caso della ceramica in Italia che è particolarmente colpito. Se prendiamo i soldi ai grandi beneficiari e li diamo a chi ne ha bisogno disegniamo una strategia positiva nel medio termine».
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E nel lungo periodo?
«Si deve ridurre la dipendenza dai combustibili fossili rapidamente, soprattutto dalla Russia. Occorrono investimenti massicci pubblici e privati. Lo abbiamo proposto con RePower Eu. È il momento di accelerare con le rinnovabili».
L'Italia e la Germania hanno una dipendenza molto alta dalla Russia. Come si fa a tagliare?
«Lo capisco. Magari non si può essere rapidi come si dovrebbe. Però va fatto. Anche perché dobbiamo essere consapevoli che potrebbero essere i russi a chiudere il rubinetto e trovarci impreparati. Comunque sia, la strada è quella. Non siamo noi a dare le carte. E Putin potrebbe non avere scrupoli con noi come non ne ha con i suoi cittadini».
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C'è dibattito sulla necessità di non moderare gli stipendi, in questa fase di alta inflazione. Di aumentarli, anzi.
«Osservo che l'inflazione non è prodotta dai salari. Assolutamente no, se non parzialmente negli Stati Uniti. Da noi non si è innescata lo spirale salari-prezzi.
Ne consegue che dire ai lavoratori "abbiamo l'inflazione che cresce, non è colpa vostra, né dei sindacati, ma serve la moderazione salariale" non è una risposta sostenibile. Io credo che dobbiamo tenere i salari vicino all'aumento dei prezzi così da non deprimere la domanda globale».
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C'è chi dice che così si aumenterà ulteriormente l'inflazione solo con le aspettative.
«Per ragioni economiche e politiche non è il momento di chiudere le porte e dire niente negoziati per il rinnovo dei contratti. La relazione fra salari e inflazione deve essere realistica».
"In prossimità" oppure "ancorati ai prezzi"?
«Vicino all'inflazione. Può essere sopra o sotto. Ma vicino. Dipende dai settori. Alcuni dovranno avere incrementi più elevati per attrarre il capitale umano di cui hanno bisogno e che magari non trovano facilmente».
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In Italia devono essere rinnovati centinaia di contratti. C'è il rischio di tensioni sociali. Alimentate da alcuni partiti in vista delle elezioni.
«È vero, è possibile anche una lettura politica del fenomeno. Dobbiamo contare sul sostegno pubblico, che ha dei limiti di bilanci legati alla durata della crisi. Ma non possiamo dire che i salari devono essere molto sotto l'inflazione. Creerebbe povertà nei nostri Paesi, sono molti a essere in difficoltà, anche fra quelli che hanno un lavoro. La domanda crollerebbe di conseguenza e ci ritroveremmo in stagflazione, che è quello di cui tutto hanno paura».
STIPENDI BASSI IN ITALIA
Oltretutto i meccanismi dell'economia globale non sono più gli stessi.
«La globalizzazione sta cambiando. Molti Paesi, come l'Italia o la Germania, sono molto focalizzati sull'export. Non possiamo più affidarci al fatto che i cinesi compreranno tutto quello che ci serve. Anche loro sono in crisi. In un contesto europeo, come blocco economico, dobbiamo ragionare sostenerci da soli e lavorare sulla domanda europea come o più delle economie emergenti o della Cina. Dobbiamo pensare più "Europeo"».
In Italia si è affrontato il tema della disoccupazione con il reddito di cittadinanza. È stato molto criticato. Era una idea valida?
«Non intendo mettere in discussione il reddito di cittadinanza. È una base, una rete di salvataggio di cui sfortunatamente la nostra società ha bisogno. La Commissione sta preparando per questo autunno una proposta di raccomandazione per il reddito minimo, con alcuni standard e alcune regole, certo non uguali per tutti. Abbiamo suggerito alla Spagna di introdurlo e loro lo hanno fatto. Il problema non è questo».
Qual è?
stipendi
«È che il reddito minimo non risolve da solo il problema dell'occupazione. Aiuta chi ha perso il lavoro o non riesce a lavorare. Offre il minimo indispensabile della protezione. Ma non li riporta automaticamente in attività. Occorre un forte aiuto e sistema per ricondurti sul mercato».
Come?
«Anzitutto, ci devono essere i posti, ma alla fine ci sono, anche in Italia. È questione di formazione e reskilling. La gente deve sapere che deve accettare questo processo per ritrovare un lavoro. Non è facile, molti lo rifiutano. Il salario minimo deve essere condizionato e oggetto di uno sforzo immenso. Funziona se tutto funziona, a partire da un sistema efficiente del collocamento che deve essere efficiente. Non bastano le buone intenzioni».
STIPENDIO IDEALE
Sarebbe un buono cambio pilotare un aumento dei salari in cambio del taglio del cuneo fiscale.
«In tutti i documenti dell'Unione europea c'è scritto che bisogna ridurre la tassazione sul lavoro, il che assume una importanza anche maggiore in questo periodo di difficoltà particolare. Il vostro ministro delle Finanze direbbe che va bene, ma poi solleverebbe il problema di dovrebbe prendere i fondi per la copertura».
stipendio
Un economista gli risponderebbe che il maggior numero di assunti, porterebbe maggio gettito e non sgonfierebbe la domanda.
«Sono d'accordo. Qualcosa bisogna fare sulla tassazione e, in alcuni Paesi, anche sulla contribuzione sociale».
stipendio
Insisto. Più salari contro meno tasse?
«Per rispondere a questa crisi particolare ed evitare che i lavoratori ne paghino il prezzo dobbiamo trovare soluzioni combinati. Aumento dei salari con qualche aiuto dal punto dei visti del sostegno sociale e anche qualche aggiustamento fiscale. La giusta soluzione sarà una sorta di cocktail fra tutto questo».
Qual è il rischio più grande?
«Quello di far cadere la nostra economia in una recessione per colpa della caduta della domanda interna. La domanda esterna è in difficoltà. Se non reagiamo a livello europeo, possiamo ritrovarci in acqua molto agitate».