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    CE NE IMU AL CINEMA? - RIGOR MONTIS CON LA SUA IMU POTREBBE AVER DATO IL COLPO DI GRAZIA AI CINEMA, GIÀ FORTEMENTE IN CRISI - LE SALE VENGONO EQUIPARATE A LOCALI COMMERCIALI, ANCHE SE, IN PROPORZIONE ALLO SPAZIO CHE OCCUPANO, RENDONO MOLTO MENO - ALCUNI PRORPIETARI SI SONO RITROVATI A DOVER PAGARE ANCHE IL 154% IN PIÙ RISPETTO ALL’ICI - STESSA COSA È SUCCESSA ALLE AZIENDE AGRICOLE, CON LA “PATRIMONIALE SULLA TERRA”...


     
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    Michele Sasso per "Espresso.Repubblica.it"

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    Teatri, cinema, fattorie ed aziende agricole. Tutte nel mirino dell'Imu, l'imposta municipale che ha sostituito l'Ici raccogliendo 24 miliardi di euro nel 2012. Un extra gettito che tassa gli immobili (pensato dal governo Berlusconi e realizzato da Monti) facendo entrare nelle casse dello Stato 15 miliardi per la prima e seconda casa e 9 miliardi dalle attività imprenditoriali. Una rivoluzione e un fiume di denaro, se si pensa che la vecchia Ici era di 9 miliardi complessivi, raccontata però come una catastrofe dai proprietari di sale d'essai che vivono dei biglietti che staccano.

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    Il rincaro si è fatto sentire eccome, con punte di aumenti che toccano il 162 per cento in soli 12 mesi. Il pallino delle quote da applicare è in mano ai Comuni, che possono scegliere tra 0,76 e 1,06 per cento. E la differenza non è di poco conto. Milano, insieme a Torino e Napoli, è tra le grandi città che ha scelto la quota più alta e l'aumento è stato notevole: per il centralissimo cinema Arlecchino più 131 per cento, da tremila a quasi ottomila euro per la sala d'essai Mexico, all'Arcobaleno di corso Buones Aires più 154 per cento (significa 18.125 euro in più) mentre per il teatro Carcano di Porta Romana il conto è salito da 8 mila a 21 mila euro.

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    «Applicare queste tariffe è assurdo - attacca Stefano Losurdo, segretario lombardo dell'Agis, associazione italiana dello spettacolo - vogliamo pagare una quota equa perché cinema e teatri lavorano su grandi volumetrie ma per poche ore al giorno, con una redditività per metro quadro non paragonabile ai grandi magazzini e alle altre attività commerciali».

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    La differenza tra un mall e un luogo di attrazione culturale è notevole, ma per molte giunte l'importante è far quadrare i conti. Conti che si sono fatti anche all'Agis: un cinema multisala con quattro schermi sborsa nel capoluogo lombardo 40 mila euro in tasse comunali. E i margini di guadagno si stringono sempre di più in previsione delle nuove voci di spesa per i rifiuti, in aumento deciso per il 2013. E anche su 8 euro di biglietto tra Iva, diritti siae e quota al distributore dei film, al gestore rimangono in tasca poco più di 3 euro. Significa che occorre staccare più di 10 mila ingressi solo per coprire i costi fissi. Il pericolo, senza tanti giri di parole, è la chiusura definitiva, con negozi al posto delle sale a ridisegnare la geografia delle città.

    MARIO MONTI LEGGE RESTART ITALIAMARIO MONTI LEGGE RESTART ITALIA

    «A Milano siamo passati in 30 anni da 140 schermi a 80, concentrati però in 20 strutture» continua Stefano Losurdo «Il cinema monosala è quasi impossibile che abbia redditività, ma se vengono tassate in questo modo è il colpo finale che sancisce la loro chiusura». Cancellando di fatto la Lombardia dello spettacolo: trenta milioni di biglietti venduti ogni anno, 250 milioni di euro di incassi dai soli biglietti, un migliaio di schermi cinematografici e sale polivalenti e soprattutto nessuno spazio per le molteplici voci del teatro, della musica, della danza, dello spettacolo popolare. Altre città come Roma (con una decisione della giunta dello scorso novembre), Bologna e Mantova hanno deciso invece di tenere la quota al minino consentendo ai proprietari di respirare.

    CINEMA UNA SALA VUOTACINEMA UNA SALA VUOTA

    Ma se nei grossi centri sono le sale le galline dalle uova d'oro, nei paesi a vocazione agricola la grande stangata è arrivata anche per i contadini. Considerata una preziosa risorsa e riscoperto come mestiere nobile lavorare i campi e allevare animali, "la patrimoniale sulla terra" ha toccato una quota stimata in 650-700 milioni di euro. Ben lontani dai 225 milioni inizialmente previsti dal Ministero dell'Economia (90 per i terreni e 125 per i fabbricati) come sacrificio per l'intero settore.

    «L'Imu peserà e tanto sui bilanci delle aziende che contano terreni incolti e capannoni», avvisavano Coldiretti, Cia, Confagricoltura e Copagri al momento della stesura del decreto Salva Italia che introduceva l'Imu. Riuscendo a strappare un accordo con il Governo Monti che in caso di eccessiva raccolta per la prima rata la seconda sarebbe stata abbassata. Puntualmente però si è verificato un caos: tassati i fabbricati cosiddetti "strumentali" come capannoni, alpeggi, stalle e fienili, con la beffa dei terreni incolti. Con esborsi di oltre 200 milioni in più rispetto all'Ici. «Così come è stata applicata è una patrimoniale a tutti gli effetti che però non segue criteri progressivi e colpisce tutti indiscriminatamente» dice Domenico Buono, responsabile fiscale di Coldiretti «I contadini non si vogliono sottrarre al pagamento ma è evidente che i calcoli sono stati sovrastimati».

    ColdirettiColdiretti

    Le organizzazioni agricole a dicembre erano sul piede di guerra per l'imminente scadenza della seconda rata e la fine anticipata della legislatura ha complicato ulteriormente la situazione, bloccando il tanto atteso decreto che metteva al riparo dal salasso. Un bagno di sangue per 1 milione e 500 mila imprese agricole che producono cibo di qualità e si prendono cura del territorio. «Il pagamento dell'Imu ha imposto sacrifici agli agricoltori che hanno dovuto pagare un conto pesante su terreni e i fabbricanti strumentali, ma ora sarebbe ancora più grave se il Governo non rispettasse le norme per restituire gli importi ingiustamente versati», conferma il presidente Coldiretti Sergio Marini nel ricordare che per i terreni agricoli risultano versati già 534 milioni e sommando anche i fabbricati si arriva alla stima di 650-700 milioni. Risultato? Chi può molla le coltivazioni nostrane facendo crescere il fabbisogno nazionale di alimenti, soddisfatto attualmente per il 70 per cento da grano, frutta e verdura made in Italy.

    Con un cortocircuito evidente: vengono tassate le fattorie ma poi arrivano finanziamenti per l'agricoltura montana, per migliorare e riconvertire la produzione, per tutelare l'ambiente naturale, le condizioni di igiene e di benessere degli animali. Qualche numero per capire meglio: i fondi Ue per lo sviluppo rurale rappresentano ancora il 40 per cento dell'intero bilancio europeo e nel 2011 grazie ai Programmi di sviluppo rurale sono arrivati ai contadini italiani circa 2 miliardi e 450 milioni di euro, di cui 1 miliardo e 240 milioni messi a disposizione da Bruxelles. Ma il tempo delle vacche grasse è finito e per il futuro le risorse saranno concentrate solo per chi effettivamente produce prodotti agricoli. E avrà resistito all'Imu che strozza.

     

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