Marta Serafini per il “Corriere della Sera”
CECILIA STRADA RESQ
«Aspetta un secondo. Forse abbiamo avvistato un barcone». Cecilia Strada è in mare, in mezzo al Mediterraneo a bordo di ResQ, la nave della Ong fondata tra gli altri dall'ex pm del pool di Mani Pulite Gherardo Colombo. La comunicazione va e viene, di sottofondo la radio gracchia. L'altro ieri il team di ricerca e soccorso di ResQ ha salvato 84 vite umane durante la sua prima missione, proprio mentre a bordo arrivava la notizia più triste per Cecilia.
«Siamo in osservazione, stiamo ancora in Sar Zone (la zona di ricerca e soccorso davanti alla Libia, ndr ), se non dovessimo effettuare altri salvataggi richiederemo porto sicuro e rientreremo».
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Suo padre se n'è andato da poche ore, migliaia di messaggi sono arrivati da ogni parte del mondo. «Credo di non potergli rendere omaggio in un modo migliore che salvando altre vite», è stato il suo primo commento a caldo. Per tutti era il dottor Gino.
gino strada emergency
Per lei, ancora di più. «Il primo ricordo che ho di lui è di questo viaggio pazzesco coast to coast nei parchi del Nordamerica, lo avevamo raggiunto con mia madre mentre lavorava all'Università di Pittsburgh facevamo sempre un gioco, quello della famiglia degli orsi».
Che gioco era?
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«Lo aveva inventato lui. Eravamo una famiglia di orsi che raccoglieva salmoni in un torrente immaginario. Per me - avrò avuto 4 anni o giù di lì - era divertentissimo. Giravamo in tenda. Mi vengono in mente risate, scherzi, era un papà felice».
vignetta di vauro su gino strada
La foto più cara insieme?
«Ah, difficilissimo dirlo. Lui era proprio appassionato di fotografia. Viaggiava sempre con due Nikon al collo e avevamo centinaia di foto tutti insieme. A un certo punto però ha avuto la grande idea di portare tutto in cantina, la cantina si è allagata e voilà . Ma restano i ricordi».
gino strada con massimo e milly moratti
Poi suo padre ha iniziato a stare sempre più lontano, è arrivata Emergency...
«Ci sono stati periodi in cui lo vedevo tre volte all'anno. Chiamava, scriveva, certo. Addirittura c'era il box post office a Quetta, in Pakistan, al quale gli mandavo le lettere. Ogni volta che partiva avevamo questo rito: gli mettevo bigliettini ovunque nascosti nei bagagli così li avrebbe poi trovati man mano».
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E quando tornava?
«Era una festa incredibile. Le sue valigie erano una festa, saltava fuori di tutto, anche paccottiglia presa nei mercatini. Mi ero andata a fare i buchi alle orecchie perché continuava a portare a casa orecchini di ogni tipo.
Il regalo più caro è un pesciolino costruito con le cannule di una flebo che gli aveva dato il padre di un paziente bambino. Ma c'era anche la sua inquietudine continua. Ci scherzavamo sempre anche con la mamma: mentre era via non facevamo altro che chiedergli "quando torni". E poi quando tornava, "quando riparti?". Era il nostro gioco».
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È mai stata gelosa del fatto che suo padre fosse altrove a curare altre persone?
«No, in realtà ne ero fiera. Con la mamma chiamavamo Emergency "il mio fratello più piccolo". Avevo 15 anni all'epoca e certo non è facile vedere qualcos' altro che si porta via tutta l'attenzione. Ma sono stata parte di quel momento. La prima centralinista di Emergency ero io che rispondevo al telefono di casa. Certo, poi c'erano i periodi in cui mi arrabbiavo e dicevo "perché nessuno qui mi si fila?". Ci ha tolto tempo e quotidianità ma ci ha dato anche tantissimo».
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Suo padre era molto amato ma anche osteggiato, considerato burbero e troppo diretto, a volte. Che cosa ha ereditato del suo carattere?
«In positivo sicuramente la tenacia e l'ostinazione. In negativo, la tendenza a mettere in secondo piano gli affetti rispetto ai miei obiettivi e capisco quanto questo possa essere difficile per le persone che mi stanno intorno».
Dopo la morte di sua madre Teresa nel 2009, è diventata presidente di Emergency. Poi nel 2017 ha lasciato. All'epoca si parlò di dissidi con suo padre sulla gestione. Avete ricucito?
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«È stato evidentemente un momento molto duro. L'impegno era diventato totalizzante e dunque anche il nostro rapporto passava attraverso quello, all'epoca. Poi uno prende fiato e capisce la differenza tra la missione e gli affetti. Al di là delle divergenze e delle diverse prospettive, l'amore non mi è mai mancato. Così l'ho chiamato e gli ho detto "ti va se ci vediamo senza parlare di Emergency?" e così è stato da quel momento».
Lei ha un figlio, cosa vorrebbe che gli rimanesse del nonno?
«Più che l'eredità spirituale mi piacerebbe che a Leone restassero i ricordi. Mio padre si è perso un bel pezzo della sua infanzia perché era spesso via in missione, così come è stato durante la mia adolescenza. Ma adesso vorrei che Leone conservasse questo, l'amore, l'affetto di suo nonno. E non soltanto l'idea del sacrificio che mio padre ha fatto per gli altri».
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