Enrico Sisti per la Repubblica
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Così non vale Marco. Dovresti avvertire prima. Questo tuo strapotere contro un avversario ostico come il " Peke" Diego Schwartzman non fa bene al tennis. Assolutamente no. Lo sconquassa. Vincere in finale alla Nadal su un campo dedicato a Vilas invita tutti a riconsiderare Marco Cecchinato e tutti quelli che come lui sono "venuti al mondo" tardi e perciò sanno cos' è l' ombra. Marco è uno della generazione "no chance". Non avrebbe dovuto avere alcuna possibilità di emergere: né giovane né esperto. Sino a due anni fa aveva vinto 4 Challenger e 6 Futures e viveva senza lamentarsi nel piccolo cabotaggio del tennis dei professionisti. A 24 anni era n. 171 e titolare di un' età di mezzo che pareva quasi giocargli contro (a quel punto o sei già forte o non ci diventi più...). Di solito lì si resta, ma non funziona sempre così, esistono le eccezioni. Sfrontatezza, braccio, inventiva. Scatta qualcosa e diventi l' eccezione. La situazione cambia di colpo ( in colpo) e cambia così tanto da obbligare a riscrivere il manuale della bellezza agonistica e dei traguardi individuali, forse le stesse regole dell' intrattenimento tennistico. Siamo sicuri che Cecchinato sia meno "bello" di Zverev? Ieri pareva Rafa. I ragazzi come Marco e Diego, simili in tante cose, hanno sviluppato una straordinaria tenuta psicologica.
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Sono usciti tardi dalla zona grigia, poi hanno conquistato semifinali e quarti di Slam. Chi l' avrebbe detto? La scintilla che ha acceso le loro doti nascoste è stata la convinzione di potercela fare. Ieri Marco il " vendemmia tardiva", allievo di Palpacelli, Sartori, Piatti, Brandi e Vagnozzi, ha vinto il suo 3° torneo Atp 250 in 10 mesi ( dopo quelli di Budapest e Umago nel 2018) e da domani raggiungerà il suo best ranking (n. 17 del mondo, 6° italiano di sempre dopo Pietrangeli, Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Fognini), un posto sotto Fabio che sta al n.16. Il 6-1, 6-2 , il tanto a poco, si è consumato in 66 minuti nell' estate e sulla terra non veloce di Buenos Aires dove l' ultimo italiano a vincere era stato proprio Pietrangeli e in un' atmosfera così carica già in partenza che sarebbe bastata una sola concessione tattica o numerica al suo compagno di finale, nato e cresciuto a Buenos Aires, per trasformare la partita in un amarcord della perduta Coppa Davis, con sciarpate e cori per tutti i Dieghi d' Argentina. Schwartzman aveva tutto per essere all' altezza di Marco e qualcosa in più gliel' avrebbe regalato certo il pubblico. Ma Marco non l' ha permesso. I due hanno tratti in comune: sono nati nel '92, sino a ieri avevano vinto due tornei a testa ( Marco due 250, Diego un 250 e un 500), entrambi rappresentano la sostanza viva, anche se non sempre così riconosciuta, di quella sezione di classifica in cui si mescolano speranzosi e delusi, talenti puri esplosi male e mestieranti di qualità esplosi ognuno a modo suo. Se l' anno migliore di Marco è stato (finora) il 2018, per Diego è stato il 2017 ( fu n. 11 del mondo). Piccoli campioni con un diesel nel motore e un paio di sogni nel cassetto, forse ancora da scartare. Tuttavia il campo di ieri ha raccontato un' altra storia: la storia di un match impari. Da una parte brancolava il " Peke", il più piccolo tra le alte sfere del tennis e senza uno straccio di idea. Dall' altra spadroneggiava il ragazzo che non ruba mai l' occhio ma che è spesso "tanta roba", uno al quale il punto glielo devi fare sempre. Mentre Diego serviva piano, soffriva lungolinea e accelerazioni, Marco apriva angoli e chiudeva scambi, obbligando Diego a giocare due metri fuori dal campo per poi stremarlo con la palla corta. Sulla terra dedicata al " sacro" Vilas Marco ha parlato di tennis rosso. Ha detto che il semifinalista di Roland Garros c' è ancora. E forse è pure più forte di prima.
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