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Una traccia di peli, l'ombra della scollatura, un angolo di capezzolo. Una manciata di pixel su uno schermo può portare l’account Instagram di un fotografo in un oblio digitale.
Savannah Spirit lo ha imparato bene. La fotografa di Brooklyn è stata rimossa da Instagram così tante volte che ha perso il conto. Oggi, gli scatti che pubblica rientrano entro i termini di policy. Quasi.
Si tratta di immagini in cui posa nell'ombra delle tapparelle, le ombre vanno a coprire quelle zone del corpo che Instagram riterrebbe inappropriate. «Ringrazio Instagram -ha detto - Mi ha spinto a un altro livello e mi ha costretto a pensare a un altro modo di mostrare il mio lavoro. Ma tutto ciò è stata anche la rovina della mia esistenza».
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Per i fotografi che lavorano con la nudità, postare su Instagram è come giocare alla roulette russa. L’azienda non dà alcun preavviso prima di rimuovere le fotografie - e interi account - se ritiene che si siano violate le linee guida della comunità. Sono vietate le foto di capezzoli femminili come le immagini di nudo frontali. Si tollerano malvolenti le immagini dei "glutei" se fotografati da una certa distanza. Gli algoritmi di Instagram, però, non sono sempre in grado di distinguere tra capezzoli maschi e femmine, come dimostra l'account @genderless_nipples che pubblica i primi piani di capezzoli di migliaia di follower, senza però specificare se appartengono a uomini o donne.
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La piattaforma fa eccezioni per le immagini di pittura e scultura; e adesso molti fotografi stanno spingendo affinché anche la nudità "artistica" sia permessa. Di recente, Instagram ha reso queste aree grigie ancora più grigie, istituendo una policy per limitare la diffusione di immagini "sessualmente allusive" che non violano esplicitamente le sue linee guida.
In un ambiente così nebuloso gli artisti affermati continuano comunque ad avere voce in capitolo. Ma non è lo stesso quando si tratta di artisti emergenti. Quando l'account di Betty Tompkins è stato rimosso ad aprile per aver pubblicato la sua opera, “Fuck Painting # 1” (1969), Instagram ha riaperto il profilo il giorno dopo, in seguito alle proteste del mondo dell’arte.
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Spencer Tunick, che trascorre ore offuscando meticolosamente migliaia di corpi nudi nelle sue foto, ha oltre 45mila follower. Ma per i fotografi nuovi o sconosciuti, un divieto di Instagram può cambiare la carriera.
Le rigorose politiche di Instagram fanno parte di una crescente tendenza verso la “sanificazione” di Internet. Alcuni dicono che la repressione sia la conseguenza delle preferenze aziendali che posizionano la nudità in opposizione agli incentivi capitalisti. «Le piattaforme devono essere pulite e affermare che la censura dei corpi nudi e della sessualità riguarda gli inserzionisti: non accetteranno mai che i loro prodotti siano in prossimità alla nudità» ha detto Paul Mpagi Sepuya, le cui fotografie sono apparse nel 2019 al “Whitney Biennial”.
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Erik Madigan Heck, noto fotografo di arte e moda, incolpa i valori puritani e antichissimi che si sono radicati negli Stati Uniti: «Viviamo in una società religiosa arcaica, conservatrice, gestita prevalentemente da vecchi che apprezzano la violenza sulla bellezza».
Forse da nessuna parte le conseguenze estetiche delle politiche di Instagram sono più evidenti che sul lavoro di Tunick.
Si affida ai social media per connettersi con i protagonisti che posano nudi per i suoi scatti, ma deve modificare radicalmente le opere. Tra paesaggi eterei, i corpi sono interrotti da pixel color carne tracciati metodicamente per coprire le nudità. La meticolosa autocensura di Tunick è diventata quasi una pratica artistica in sé e per sé.
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Ma la censura dei corpi è una tradizione secolare. Non diversamente dagli sforzi della Chiesa cattolica nel 1563 di nascondere i peni delle sculture rinascimentali con le foglie di fico, oggi la nudità viene cancellata dai pixel sulle foto