Tommaso Ciriaco e Lorenzo De Cicco per la Repubblica - Estratti
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La faglia a destra si allarga. Arriva fino al Veneto. Non c’è più di mezzo solo la Sardegna, che FdI vuole soffiare alla Lega, o la Basilicata, che i leghisti vogliono sottrarre a Forza Italia, per compensare il danno, cedendola magari a un candidato terzo, civico. Il vertice di ieri tra la premier Giorgia Meloni e i due vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, avrebbe dovuto essere risolutivo. Invece a sera, quando il segretario di FI sgusciava via da Palazzo Chigi, mentre l’alleato leghista si tratteneva ancora per un’ora, cancellando l’ospitata al Tg2, la maionese delle Regionali era definitivamente impazzita.
Salvini, a margine del Consiglio dei ministri, ha continuato a difendere il governatore uscente della Sardegna, Christian Solinas. Ma FdI ormai è già in campagna elettorale col sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, sostenuto dal grosso della coalizione locale. A quel punto il capo del Carroccio ha giocato la fiches: chiedendo a Meloni di avallare il terzo mandato per i governatori. Tradotto: un disco verde per Luca Zaia in Veneto, dove si vota nel 2025.
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Ma la premier, come avevano anticipato i suoi colonnelli, ha fatto muro. Risultato: è saltato il decreto sull’Election day, che avrebbe dovuto accorpare le Europee del 9 giugno col voto in Piemonte, Basilicata e Umbria. Nel pacchetto infatti era inserito il terzo mandato per i sindaci, ma solo dei piccoli comuni, sotto ai 15mila abitanti. Su questo, anche FdI era d’accordo. Ma quando la Lega ha provato ad alzare il tetto dei residenti, il decreto si è arenato. Uno stop deciso direttamente da Meloni.
Per i Fratelli d’Italia cedere su questo punto significava regalare al Carroccio un provvedimento “apripista” per il terzo mandato dei presidenti di Regione. Dunque per Zaia. Perché è il “Doge” il grosso guaio di Salvini. Zaia scalpita. Nonostante il pressing di via Bellerio, non vuole candidarsi alle Europee, come il collega friulano Max Fedriga e il lombardo Attilio Fontana. Spinge da mesi, Zaia, per ottenere il via libera alla ricandidatura (per lui in realtà sarebbe la quarta) alla Regione. Ma FdI è irremovibile. Per il Veneto punta su Luca De Carlo, senatore meloniano doc.
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MATTEO SALVINI - GIORGIA MELONI - ANTONIO TAJANI
Un carico di tensioni affiorato in Cdm. Oltre al terzo mandato, altra lite sul decreto Ilva. Tra alleati volano gli stracci persino pubblicamente. Andrea Crippa, il vice-segretario della Lega, salviniano di ferro, ieri in Transatlantico sfotteva il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che in un colloquio con Repubblica aveva parlato dei nuovi rapporti di forza. «Le parole di Lollobrigida? Non ci dormo la notte», la punzecchiata. «Preferirei che al governo ci fosse Giovanni Donzelli».
TITANIC D'ITALIA - VIGNETTA BY MACONDO
Cercasi quadra. I tre leader potrebbero rivedersi oggi. Dentro FdI sperano che Forza Italia ceda sulla Basilicata, avvicendando il governatore uscente, l’azzurro Vito Bardi, con un civico. E che la Lega a quel punto, senza intestardirsi sul terzo mandato, ingoi il boccone amaro in Sardegna, ritirando Solinas. Toccherebbe a Salvini, però, ricollocarlo. Difficile che i meloniani accettino di promuoverlo a sottosegretario all’Università, posto rimasto vacante. Anche perché i “Fratelli” si sentono forti, come mai. A maggior ragione se la premier scenderà in campo alle Europee: un sondaggio di Noto, iper condiviso ieri nelle chat di FdI, assegnava al partito il 32%, con Meloni candidata. Coi due alleati, Lega e FI, cannibalizzati e ridotti al 6,5%.
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