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LA MENTE SA COME DIFENDERSI DAGLI STRONZI – QUANDO ALTRE PERSONE HANNO ATTEGGIAMENTI OSTILI O INSOFFERENTI VERSO DI NOI, IL CERVELLO ATTIVA AREE DELLA SFERA COGNITIVA, EMOTIVA E MOTORIA PER RESPINGERE LA MINACCIA – È QUANTO EMERGE DA UNA RICERCA CHE HA ESAMINATO L’ATTIVITA’ DEI NEURONI DI 30 VOLONTARI SOTTOPOSTI A SITUAZIONI “ANTISOCIALI”. I RISULTATI SONO STATI SORPRENDENTI – LA REAZIONE È SIMILE A QUELLA DOVUTA A UN DOLORE FISICO...  

Estratto dell'articolo di Danilo di Diodoro per il “Corriere della Sera – Salute” del 31 maggio 2022

 

Il comportamento del cervello in situazioni ostili

Ha una solida base neurobiologica quel senso di malessere che si prova quando altre persone hanno verso di noi atteggiamenti e comportamenti che ci feriscono. Infatti, in queste situazioni si attivano nel cervello aree appartenenti sia alla sfera cognitiva sia a quelle emotiva e motoria, come se ci si preparasse in qualche modo alla fuga o all'attacco, come se si percepisse una minaccia alla propria integrità psicofisica.

 

Questi network, che si attivano quando i comportamenti degli altri feriscono la nostra sensibilità, sono inoltre gli stessi che si mettono in azione quando si percepisce dolore fisico, per cui si può dire che davvero parole e atteggiamenti ostili o non supportivi possono ferire.

 

È quanto emerge da una [...] ricerca [...] realizzata dalla Fondazione Giancarlo Quarta Onlus di Milano [...]

 

CAPACITA COGNITIVE

La ricerca, denominata F.I.O.R.E. 2 (Functional Imaging of Reinforcement Effects), [...] Fa seguito a una precedente sperimentazione che aveva misurato gli effetti cerebrali di una comunicazione che invece era da considerarsi positiva e che andava incontro alle aspettative e ai bisogni delle persone (F.I.O.R.E.1)

 

La ricerca

La ricerca F.I.O.R.E. 2 è stata realizzata su volontari sani, 30 persone di entrambi i sessi e di età compresa tra i 19 e i 33 anni, sottoposte a indagini di visualizzazione cerebrale realizzate con la Risonanza Magnetica Funzionale.

 

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I ricercatori hanno esaminato l'attivarsi dei diversi network di neuroni mentre i soggetti dovevano immedesimarsi in alcune vignette relative a relazioni sociali caratterizzate da stimoli positivi, neutri o negativi.

 

Un esempio è l'immagine di una persona che sta salendo sul treno con una valigia pesante: l'individuo dietro di lei sbuffa e non aiuta (rinforzo negativo), resta immobile e aspetta (atteggiamento neutro), sorride e aiuta a caricare la valigia (rinforzo positivo).

 

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Oltre a sottoporsi alla Risonanza Magnetica, i volontari hanno compilato due test di valutazione della personalità e dell'affettività: il BFQ - Big Five Questionnaire e il QDF - Questionnaire on Daily Frustrations.

 

«Durante l'esposizione a una situazione "antisociale" abbiamo osservato variazioni di attivazione cerebrale locale e di connettività funzionale tra diverse aree, quindi della sincronia tra diverse regioni cerebrali» spiega Fabio Sambataro del Dipartimento di neuroscienze dell'Università di Padova.

 

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Il riconoscimento del comportamento «antisociale» è un fenomeno complesso, ma può essere diviso in maniera schematica secondo un ordine temporale.

 

«Possiamo riconoscere diverse fasi che corrispondono al reclutamento di circuiti specifici» aggiunge Sambataro. «Innanzitutto avviene il "riconoscimento della situazione di interazione sociale", tramite la corteccia temporale superiore, che appartiene al circuito della teoria della mente, la capacità cioè di comprendere il comportamento degli altri.

 

Segue la "risposta affettiva negativa", in cui le strutture del sistema limbico e quelle del talamo si attivano e modificano la loro connettività con il circuito della salienza - ossia dell'importanza che viene data all'evento - del dolore, ma anche quella della risposta motoria. In ultimo si attiva la "risposta di controllo dell'attività motoria": la corteccia prefrontale controlla l'attività della corteccia motoria stessa, inibendo possibili comportamenti impulsivi».

 

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Il mancato riconoscimento dei bisogni di una persona rappresenta quindi una vera e propria violazione della relazione sociale, fenomeno ancora più evidente e importante se quella relazione è tra medico e paziente.

 

«Ne consegue una reazione immediata che è emotiva, psichica e fisica, con attivazione di un importante sistema di allarme, che coinvolge un circuito neurale simile a quello del dolore fisico» dice ancora Sambataro.

 

«Se il disallineamento bisogno-risposta persiste, la relazione può perdere di significato e addirittura arrivare a minare l'autostima, rendendo la relazione stessa inutile, se non addirittura dannosa. Il medico dovrebbe sempre trovare il tempo e i modi per ascoltare il paziente con i suoi spazi e tempi, accogliendo il suo bisogno di empatia, di riconoscimento, per poter garantire una relazione che sia realmente terapeutica».

 

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ginnastica per il cervello

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relazione tra medico e pazienteMEDICO PAZIENTEmedico paziente