Estratto dell'articolo di Fiamma Tinelli per "Oggi"
cetto la qualunque
[...] Antonio Albanese e Virginia Raffaele sono i protagonisti di Un mondo a parte di Riccardo Milani, commedia di quelle che ridi (molto), ti dà da pensare e a un certo punto vengono utili pure i Kleenex. Albanese è Michele Cortese, maestro elementare intellettual-idealist-ambientalista che - stufo di Roma e del suo caos - si trasferisce in pieno inverno a insegnare in un paesello sui monti abruzzesi.
Raffaele è Agnese, vice preside dal cuore grande del locale istituto Cesidio Gentile detto Jurico (poeta e pastore), numero di pluriclassi una, alunni totali sette, nomi all’appello: Argita, Concezio, Aniceto. Marsicana spiccia, quando va a salvare da una tormenta di neve il neo collega giunto dalla capitale in giacchetta e mocassini, lo squadra sarcastica: «Tie’ fredd, sì? Eh, ’a montagna ’o fa». Tra lupi che ululano e stufe che non si accendono, Michele scoprirà che la vita di un borgo isolato è più dura di quanto sembri. E Agnese gli aprirà gli occhi: vista la scarsità di studenti la scuola è a rischio chiusura, e «se se ne vanno i bambini, questo paese muore».
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Scena uno, interno giorno, campo medio. Risate. Seduti a pranzo, a Milano, durante una pausa del servizio fotografico che vedete in queste pagine, Antonio e Virginia (lui pizza, lei insalata) raccontano che girare questo film è stato davvero entrare in un mondo a parte. In primis, gli attori sono tutti stati scelti tra i veri abitanti del luogo, bambini compresi. «Gente meravigliosa».
Poi, Raffaele ha dovuto imparare il dialetto marsicano. Uno pensa: avrà fatto sei mesi di prove, col coach. Macché. «Sono arrivata una settimana prima, ogni tanto chiedevo: com’è che dite questo, voi? E giù dibattiti su parole e pronuncia che duravano mezz’ora». Ma il bello sono state le riprese.
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Sei settimane d’inverno a Opi, 379 anime in provincia dell’Aquila. «Metodo Milani: convocazione alle 6 del mattino, che sennò si scioglieva la neve, quindi sveglia alle 4. Un freddo porco, tre maglie termiche una sopra l’altra, per le 20 ero a letto stile suora laica, il giorno dopo daccapo». Sul set, Albanese era l’addetto all’intrattenimento dei bambini («Il primo giorno, in attesa del ciak, sfodero il mio pezzo forte, il verso del grillo. E questi, cresciuti tra boschi e prati: “Embè?”»).
Nelle pause, l’attore è diventato grande amico del macellaio Giuliano - che nel film è il papà di Cesidio - e per tenersi in forma ha avuto l’ambiziosa idea di affittare una mountain bike. «È durata due giorni». In compenso, racconta che durante un ciak (temperatura esterna -12° Celsius), gli si è avvicinato un cervo con un palco stupendo. «Per non spaventarlo camminavamo au ralenti.
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I suoi personaggi sono lo specchio del Paese. Ha detto che adesso le piacerebbe interpretare un soldato. Perché?
«Perché ne vedo un po’ troppi, in giro; sempre molto sicuri, mai un dubbio. La certezza della guerra mi spaventa, non è un bel momento. Mi guardo attorno e vedo una società slabbrata».
Cosa direbbe oggi Cetto la Qualunque?
«Cetto è in rehab, ormai è un moderato. Viviamo l’epoca del ministro della Paura, quello che dice: “Una società senza terrore è come una casa senza fondamenta”. Ma mantenere l’ordine così è una soluzione mediocre, di poco coraggio. Se vogliamo dirla tutta, anche un po’ infame».
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