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    I MIGLIORI CASINI DI STEFANIA - DAL FILM CON GIANNI MORANDI ALLA LOVE STORY CON JOE DALLESANDRO, DALLE FESTE "ALLEGRE" NELLA VILLA SULL’APPIA CON ANDY WARHOL IN CUCINA A UNO STORICO SANREMO CON GRILLO E RINO GAETANO: BOMBASTICA INTERVISTA ALL’ATTRICE-REGISTA - "IL RAPPORTO A TRE IN ''NOVECENTO'' DI BERTOLUCCI? STARE NUDA MI VENIVA NATURALE, NON HO MAI AVUTO SENSO DEL PUDORE, NÉ SENSI DI COLPA. A DISAGIO ERANO PIUTTOSTO DE NIRO E DEPARDIEU..." – SUL METOO: “SE UNO TI METTE LA MANO SUL GINOCCHIO, GLIELA SPOSTI, NON OCCORRE DENUNCIA” – VIDEO


     
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    Maria Laura Giovagnini per Io Donna- Corriere della Sera

     

    stefania casini joe dallesandro stefania casini joe dallesandro

    Era tenero con me, mi vedeva come un animalino da proteggere. “Dovresti sposare un ricco americano” ripeteva, e mi presentava uomini facoltosi». Quel genio di Andy Warhol non aveva capito mica tanto il tipo: Stefania Casini è del lignaggio delle donne libere e guerriere. «Un’amazzone» precisa lei, nell’accogliente salotto della sua casa romana al Celio. Alla parete, un ritratto di Mick Jagger firmato - appunto - Warhol («Mi doveva dei soldi, mi ha pagato con un quadro»).

     

    L’ha capita bene - invece - Federico Bondi, che l’ha voluta madre di una trentacinquenne con la sindrome di Down (la travolgente Carolina Raspanti, autrice tra l’altro di due romanzi autobiografici) in un piccolo, importante film: Dafne, premio Fipresci al Festival di Berlino. Zero melassa, zero retorica. Procediamo per capitoli. Come iniziò il suo percorso eclettico? Sono una montanara della provincia di Sondrio, ma arrivata a Milano da piccola. Abitavamo al Vigentino: era periferia (soltanto prati e il nostro palazzo), oggi è zona di movida. La messa in scena era il gioco infantile preferito: alle elementari già scrivevo piccole commedie e le dirigevo. Questo mi ha portato a iscrivermi ad Architettura all’università.

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    Mmmm, ci sfugge il legame.

    I miei mi avevano avvertito: “Se pensi di diventare attrice ok, però prima devi prendere una laurea”. Allora assieme a Maurizio Nichetti, con cui avevo creato la compagnia teatrale del liceo, decisi per quella facoltà:“Alla peggio, diventeremo scenografi”.

     

    Non c’è stata necessità del piano B.

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    Ero all’Accademia dei Filodrammatici già alle superiori: non ho mai dormito, queste occhiaie hanno un perché...Prima paga,seimila lire. Sono come Bruce Chatwin, che nei taccuini annotava le spese: eh, il senso del denaro della Vergine, che in realtà lo sperpera. Qualcuno mi avvisò che Pietro Germi cercava una ragazza da affiancare a Gianni Morandi. Mi presentai al provino.

     

    Era per Le castagne sono buone. Venne presa.

    Eravamo rimaste in lizza io e Sabina Ciuffini, oggi ci scherziamo su! A Roma mi appoggiavo a un’amica che stava al sesto piano, senza ascensore e senza telefono: esasperato dalla difficoltà di comunicare con me, Germi decise che vivessi nella casa affittata per la protagonista. Fu un debutto totalizzante: sul set lavoravo e vivevo, coi macchinisti che mi svegliavano al mattino... Era il 1970, potete immaginare quali film andassero per la maggiore, parecchi ruoli da “pupa del gangster”. Terminate le riprese scelsi il teatro ed ebbi la soddisfazione maggiore: figliastra in Sei personaggi in cerca d’autore con Tino Buazzelli. È stato lui a insegnarmi tutto.

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    Però al cinema c’è tornata dopo poco.

    Roma in quel periodo era tutto un fermento: c’era Glauber Rocha (storico regista brasiliano,ndr), c’era Warhol che aveva ideato Dracula cerca sangue di vergine...e morì di sete!!!,facendolo dirigere al regista Paul Morrissey: mi chiamarono. Avevano affittato una villa sull’Appia Antica dove passava chiunque, da Roman Polanski a Mick Jagger. Organizzavano grandi feste, ma Andy rimaneva in cucina e osservava come un entomologo.

     

    Feste, la villa sull’Appia, le star... Sesso droga e rock’n’roll?

    Un po’, comunque non erano “festini”: era il ritrovo di persone più o meno geniali, di poeti come Taylor Mead.

    Non si incontravano donne di genio?

    Mi pare Susan Sontag. Non so,a quel tempo ero più concentrata - causa scariche ormonali (ride) - verso gli uomini, ero molto...sperimentatrice. Sono stata un paio d’anni con Joe Dallesandro (protagonista di Dracula cerca sangue di vergine..., ndr).

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    Novecento come arriva?

    Di Bertolucci ero amica prima che girasse Ultimotango. Mi ha comunicato:“Ho ideato una parte per te”.

    E così è nata una scena memorabile: il rapporto a tre fra la prostituta malata Neve, Olmo/Depardieu, Alfredo/De Niro.

    Non fu complesso girarla, Bernardo era straordinario e delicato. La crisi epilettica era la cosa davvero impegnativa per me: stare nuda mi veniva naturale, non ho mai avuto senso del pudore, né sensi di colpa. A disagio erano piuttosto Robert e Gérard: per un uomo mostrarsi è più difficile.

     

    E qui si avvia il capitolo americano.

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    Finito Suspiria, Warhol mi ha cercato per un’altra pellicola, Il male di Andy Warhol, e a New York mi sono fermata per quattro anni. Frequentavo gli artisti: con la loro estetica rivoluzionaria mi interessavano più degli attori. Francesco Clemente, Julian Schnabel,graffitisti come Basquiat e Keith Haring.Eproprio ad Haring feci scoprire il museo di Villa Giulia. Eccola con Carolina Raspanti, 35 anni, in Dafne, appena arrivato nei cinema. Stefania con Gérard Depardieu, oggi 70enne, e Robert De Niro, 75enne, in Novecento (1976). Regista con Francesca Marciano, oggi 63enne, sul set di Lontano da dove (1983). La Casini nel 1973 con l’amica Marisa Berenson, oggi 72enne.

     

    Dall’intelligentsia cosmopolita alla conduzione di Sanremo.

    Era il 1978: intendevano trasformare il festival perché rispecchiasse l’anima dei tempi. Ad annunciare le canzoni c’era Maria Giovanna Elmi, la novità erano i monologhi di Beppe Grillo e le mie interviste dai palchi alle vecchie glorie.

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    Com’era Grillo?

    Boh, non è che ci abbia interagito,stavo sempre con Rino Gaetano! E sono tornata in America subito.

    Ennesima valigia.

    Sono nomade nella testa! Ho iniziato a realizzare servizi di costume per la Rai, dai pomodori quadrati alla scimmia che parlava... Lì con Francesca Marciano abbiamo deciso di scrivere (e dirigere) Lontano da dove, che in pratica raccontava di noi, un gruppo di giovani italiani espatriati a New York.È stato il debutto di Claudio Amendola.

     

    Era un’icona femminista e al tempo stesso un sex symbol che posava per Playboy. Come si coniugavano le due immagini?

    All’insegna dello slogan dell’epoca:“Il corpo è mio e lo gestisco io!”.Non fu per i soldi,mi avranno dato 600 mila lire...

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    In fondo, Bernard-Henri Lévy sostiene che per le donne ha fatto più Catherine Deneuve con i suoi film delle paladine del #MeToo.

    Non bisogna esagerare con la demonizzazione: se uno ti mette la mano sul ginocchio, gentilmente gliela sposti, non occorre denuncia. Però il problema non è il sesso, è l’esercizio del potere. Siamo in una società maschilista.

     

    Ne ricorderà di avance moleste.

    Ah sì, però io ero vaccinata, venivo dal ’68, dalla lotta studentesca: ero abituata a reagire. Una diciottenne oggi non ha la fiducia in se stessa e le armi per un “no”. C’è un unico modo per cambiare la situazione: dare alle donne la possibilità di crescere nel potere. Come Dea (il comitato Donne e audiovisivo di cui è membro, ndr) abbiamo appena presentato una ricerca che si commenta da sola: le registe in Italia sono il 14,9 per cento,le sceneggiatrici il 24,le autrici del soggetto il 22.

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    Nel 14,9 lei rientra.

    Sì, benché mi stia dedicando esclusivamente ai documentari: mi interessa di più la vita reale. Negli anni ’90 mi ero occupata di Islam, di pasionarie in America Latina, di Africa...Nella Rai di Giovanni Minoli c’era spazio.

    E in questo periodo?

    Sto finendo di produrre Valentina, sul personaggio creato da Guido Crepax.

    Ecco perché il caschetto.

    Tra Valentina e Louise Brooks. Ho i capelli lisci, viene facile: “Se cadono perle si infilano”, invitava saggia mia madre... Mio marito, che dirige il doc, ama i fumetti: è appena uscito il suo Diabolik sono io.

     

    Da quanto lei e Giancarlo Soldi siete marito e moglie?

    Da cinque anni, ma stiamo assieme da trenta. Quando ho scoperto di avere un cancro al seno, gli ho proposto: «Lasciamoci, è noioso stare con una donna malata». E lui: «No, io ti voglio sposare».

     

    Chapeau! La malattia le ha insegnato qualcosa? È stata una compagna interessante.

    Intanto, mi ha confermato che è inutile attaccarsi alle cose (fosse per me, abiterei in un cubo vuoto), che bisogna vivere minuto per minuto, concentrandosi sulle priorità e gettando le zavorre per navigare in acque burrascose. Oddio, concetti che mi erano ben chiari...

    Ah sì? Come mai?

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    Grazie all’incontro con la filosofia taoista e con il tai chi (tre decenni fa!).Il tumore è stato la prova del fuoco. Ti resta un senso di instabilità: nulla è più certo, però in questa non-certezza c’è una sua forza... Essere colpite al seno provoca un freno forte alla sessualità e le cicatrici rendono evidente quanto sia stupido essere orgogliosi del corpo, che inevitabilmente cambierà.

    Lei non può lamentarsi del passare del tempo.

    Nessun “elisir” segreto oltre al tai chi e al chi kung (sono pure insegnante). Non amo i dolci e non mangio carne, ecco tutto. Prima non confessavo la mia età, adesso - a 70 anni - sì. Ho scoperto che c’è persino una definizione per quelle come me: siamo “perennial”.

     

     

     

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