1 - SPUNTA LA CARTA DEGLI OLIGARCHI EBREI, ANCHE ABRAMOVICH VA A NEGOZIARE
Lorenzo Paleologo per “La Verità”
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Immettendo Roman Abramovich nella delegazione Ucraina, designata per le trattative in Bielorussia con i rappresentanti di Vladimir Putin, i servizi segreti inglesi, che sarebbero gli artefici dell'operazione, potrebbero aver deciso di mandare un chiaro segnale di benevolenza dell'Occidente nei confronti degli oligarchi russi, sottoposti a forti pressioni dalle sanzioni decise la settimana scorsa dal mondo Nordatlantico.
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Il padrone del Chelsea, che proprio a causa di tali misure ha dovuto intestare la proprietà formale del club a una fondazione, si è trovato catapultato al tavolo negoziale non quale fine conoscitore della mentalità russa, dato che in questo gli ucraini non necessitano certo di aiuto, ma quale garante di una possibile soluzione politica per le élite benestanti, in maggioranza, come Abramovich di religione ebrea, e che a Mosca si foraggiano grazie alla presenza al potere di Putin.
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L'Occidente, nei giorni scorsi, ha visto aprirsi una crepa nel muro di relativa omertà che fin dalle sanzioni del 2014, lanciate dall'Ue e da Washington in seguito all'annessione della Crimea, caratterizzava i miliardari russi e ha pensato di approfittarne.
Mikhail Friedman, fondatore di Alfa, la maggiore banca privata del Paese, i cui genitori vivono in Ucraina, è stato il primo, domenica scorsa, a parlare di una tragedia inutile, a proposito dell'azione militare lanciata da Putin.
Lo ha seguito a ruota l'industriale del settore minerario Oleg Deripaska, pretendendo immediati negoziati, con un post sul canale social Telegram. Tuttavia, nonostante queste prime manifestazioni di contrarietà, il cordone sanitario dei magnati rimane abbastanza solido intorno al capo del Cremlino.
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Nel 2000, non appena eletto, Putin ha chiarito che i miliardari sarebbero potuti restare tale se si fossero estromessi volontariamente dalla politica. Chi non ha accettato il diktat è stato incarcerato, si è suicidato oppure, nel migliore dei casi, è stato invitato a emigrare. Putin ha ribaltato lo schema.
Non doveva più essere lui, come furono i suoi predecessori, a dipendere dai facoltosi concittadini, ma loro da lui. Friedman e Deripaska appartengono alla categoria di coloro che hanno accettato le nuove regole del gioco e certamente non sono tra le persone più amate dalla popolazione russa, sia per la loro esagerata ricchezza, sia per la loro distanza dalla religione della maggioranza.
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Friedman, tra i king maker di Boris Eltsin, sentendo montare la narrativa antisemita per l'eccessivo accumulo di ricchezze, si affrettò, negli anni Novanta, a fondare il Congresso ebreo russo, in modo da attutire l'immagine negativa sua e dei suoi colleghi oligarchi. Successivamente accettò anche la cittadinanza israeliana, mentre Deripaska ha preso quella cipriota nel 2017.
In Russia esistono tre tipi differenti di oligarchi. La prima categoria è rappresentata dagli amici personali di Putin, legati a quest'ultimo dalla società Ozero Dacha; la seconda categoria è quella dei cosiddetti silovarki, un misto di siloviki (dirigenti statali) e oligarchi, mentre alla terza appartengono tutti gli altri super ricchi.
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Gli amici personali, gli unici ad avere accesso personale a Putin, sono i meno ricettivi alle sirene delle sanzioni, in quanto completamente dipendenti dall'esistenza del capo. I siloviki, dirigenti dei servizi segreti e delle altre strutture statali, potrebbero in parte comprendere l'opportunità di un colpo di Stato, ma non possono mettere in salvo all'estero, anticipatamente, i loro beni, in quanto verrebbero intercettati e fino ad ora non hanno avuto bisogno di isolare Putin per l'esistenza del tacito accordo, sulla base del quale eventuali perdite di rendita causate dalle sanzioni vengono parzialmente compensate da nuovi benefici interni.
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Pertanto Bruxelles e Washington, se desiderano innescare l'insoddisfazione delle élite russe, possono verosimilmente contare solo sulla categoria degli indipendenti, sui vecchi oligarchi rinnegati e su quei pochi che hanno deciso apertamente di rimanere in patria opponendosi al regime, come Aleksander Lebdev e Mikhail Prokhorov.
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Ma, anche se indipendenti, gli oligarchi, non hanno un grande appiglio presso la popolazione, che alla fine dovrebbe legittimare un cambio di regime e garantire la loro continuità di fortune.
L'oligarca medio russo, alle incertezze della democrazia, fino ad ora ha dimostrato di preferire le zone grigie garantire dal regime autoritario. Lebdev, ex agente Kgb, banchiere e comproprietario di giornali russi e inglesi, e Prokhorov, comproprietario di società Usa, sono invece visti come cavalli di Troia di un sistema straniero a cui comunque il russo medio non intende prostrarsi.
2 - ABRAMOVICH, STRANO PACIERE: AMICO FRATERNO DELLO ZAR CHIAMATO AL TAVOLO DA KIEV
Vittorio Sabadin per “Il Messaggero”
Roman Abramovich ha preso uno dei suoi aerei privati ed è andato a Gomel, in Bielorussia, a partecipare alle trattative tra la delegazione ucraina e quella di Mosca. Non l'ha invitato il suo amico Putin: a volerlo al tavolo dei colloqui è stato il governo di Kiev.
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Tutti si domandano che cosa c'entri Abramovich, uno degli uomini più ricchi (e più discussi) del mondo, con la guerra in corso, e perché un russo con cittadinanza israeliana che vive a Londra sia considerato importante ai fini di un accordo.
I RAPPORTI DISCUSSI
Ogni volta che al Parlamento britannico lo tirano in ballo come il cassiere di Putin nel Regno Unito, Roman Abramovich smentisce subito ogni rapporto con lui. Ma sua figlia Sophia ha postato un commento contro l'invasione e ha dovuto rettificarlo subito dopo, probabilmente dopo una telefonata del padre.
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Una parte di Londra, quella che tifa per il Chelsea, gli vuole bene. Ha acquistato la squadra nel 2003: ha ingaggiato Mourinho, ha speso molti soldi e ha vinto in 19 anni 22 trofei, comprese due Champions e cinque Premier.
Sabato scorso, quando sono scattate le pesanti sanzioni di Boris Johnson il magnate ha fatto la voce grossa. Di più, ha ceduto la presidenza della squadra alla fondazione benefica del club, giusto poco prima che il governo lo obbligasse a lasciarla.
DALLA POVERTÀ ALL'IMPERO
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Nato 55 anni fa in Russia da genitori di origine ebraica, Abramovich è rimasto orfano a quattro anni. Senza un soldo, tirato su dagli zii e dai nonni in Siberia, ha venduto bambole al mercato, ha fatto qualche lavoretto, ha lasciato per due volte la scuola.
SOFIA ABRAMOVICH CONTRO LA GUERRA IN UCRAINA
Con l'arrivo di Gorbaciov e della Perestrojka è riuscito a farsi strada a gomitate, acquistando a poco prezzo quello che lo Stato vendeva. Con l'arrivo di Eltsin, e grazie all'amicizia con Boris Berezovsky, il primo miliardario russo, ha comprato la compagnia petrolifera Sibneft per 150 milioni di dollari quando ne valeva 800 e l'ha rivenduta nel 2002 a Gazprom per 13 miliardi
GLI INVESTIMENTI
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Tutti quei soldi, o quasi, li ha spesi per acquistare Evraz, una compagnia mineraria che ora ha perso quasi il 40% in borsa, cosa che forse ha contribuito a consigliargli di prendere l'aereo per volare verso la Bielorussia.
A convincerlo è stato anche il suo grande amico, il produttore cinematografico ucraino Alexander Rodnyansky, che ha parenti ed amici a Kiev, anche lui ebreo. La notizia del viaggio, non sembra un caso, è stata data per primo dal Jerusalem Post: Abramovich, infatti, è ben conosciuto nelle comunità ebraiche dell'Ucraina e della Russia, che si sono dimostrate contrarie alla guerra.
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GLI ULTIMI IMPREVISTI
Di certo, le sanzioni hanno creato molti problemi agli oligarchi russi che affollano quella che ormai veniva chiamata Londongrad. Roman Abramovich da tempo aspettava un permesso di soggiorno permanente, e invece gli è stato notificato che non potrà più tornare in Gran Bretagna, dove possiede tra le altre cose una casa da 150 milioni di sterline vicino a Kensington Palace e ha un garage con due Ferrari, due Maybach, una Porsche e una Rolls-Royce, che ora si copriranno di polvere.
Ha anche due aerei con camera da letto, e specchio sul soffitto per non annoiarsi durante i voli. È stato sposato tre volte, ha sette figli da due mogli e il divorzio dalla seconda, Melandina, gli è costato un patrimonio immobiliare.
LA MISSIONE
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Può darsi che sia andato a Gomel perché Israele vuole fare un tentativo per la pace con una persona che sia amica degli ucraini e anche di Putin. Può darsi anche che sia stato il leader del Cremlino a chiederglielo, visto che è impantanato in una guerra più difficile del previsto e ha bisogno di qualcuno che faccia il poliziotto buono e trovi una soluzione che gli salvi la faccia.
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Può darsi infine che ci sia andato solo perché il suo impero traballa, e vuole accreditarsi agli occhi di Boris Johnson come uno che combatte i cattivi.
Abramovich è stato arrestato una volta ed è comparso spesso nei tribunali di Londra. Un giudice ha detto di lui: «È un testimone intrinsecamente inaffidabile, il quale considera la verità un concetto transitorio e flessibile che può essere modellato per adattarsi ai suoi scopi». Esattamente l'uomo che ci vuole per trattare con uno come Putin.
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