1. LA BATTAGLIA DEI FESTIVI - ORARI DEI NEGOZI RIFORMA AL PALO "LA DOMENICA NON È UGUALE PER TUTTI"
Marco Patucchi per ''la Repubblica''
« Ho un contratto di part- time " involontario". Lavorerò a Pasquetta, il 25 aprile e il Primo Maggio. Grazie al cielo almeno il giorno di Pasqua il centro commerciale è chiuso, così posso rompere l' uovo con mia figlia Francesca». Laura, mamma single trentacinquenne, commessa in un outlet della periferia romana ( 650 euro al mese di stipendio), un anno fa ci aveva creduto davvero. Pensava di poter passare serenamente il Natale successivo insieme a Francesca, la figlia di nove anni.
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Poi aveva spostato la lancetta delle speranze sulle vacanze pasquali. Invece niente da fare. Le promesse dell' allora nuovo governo e, in particolare, del vicepremier Luigi Di Maio ( « Le liberalizzazioni ci stanno impoverendo. Non è solo una questione economica, ma di serenità familiare e di felicità personale») sono scivolate via dal calendario.
Le proposte di legge che dovrebbero regolamentare le aperture degli esercizi commerciali nelle domeniche e nei giorni festivi (questione cara a oltre mezzo milione di lavoratori), come nel gioco dell' oca sono tornate alla casella di partenza: dalla mediazione tra le istanze delle parti sociali e dei vari schieramenti politici, è scaturita una nuova tornata di audizioni parlamentari che, considerando anche l' imminente parentesi del voto europeo, rinvia sine die la riforma. L' ennesima contraddizione, insomma, tra le parole di una politica in campagna elettorale permanente e i fatti concreti. Così Laura il Lunedì dell' Angelo e poi il 25 aprile e il Primo Maggio ( beffardamente, anche per lei, Festa dei Lavoratori), sistemerà Francesca dai nonni e andrà all' outlet. A lavorare.
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E non è che sul " fronte" opposto siano molto più tranquilli, visto che la spada di Damocle di chissà quali nuove regole sulle aperture festive, condiziona investimenti e strategie delle aziende. Il Consiglio nazionale dei centri commerciali, per dire, ha stimato che le ipotesi di regolamentazione più accentuata determinerebbero il taglio di 41 mila posti di lavoro, 4,6 miliardi di gettito fiscale in meno e circa 25 miliardi di minore valore economico del settore. « Ma di che parliamo - ribatte Francesco Iacovone, sindacalista Cobas da sempre in prima fila nella battaglia contro la liberalizzazione - .
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La crisi del commercio non c' entra niente con gli orari, nasce dalla mancanza di reddito diretto e indiretto dei consumatori. Il decreto Monti ha determinato la chiusura di migliaia di imprese che non reggono la concorrenza e le nuove assunzioni promesse dalla Grande distribuzione si sono tradotte solo nell' aumento dei carichi di lavoro e del precariato: part-time involontario, tempo determinato sempre più residuale, dilagare di somministrazione, apprendistato, merchandiser promotor, stage, lavoro indiretto».
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Meno tranchant Enrico Postacchini, della giunta di Confcommercio, che pur ritenendo opportuno mettere mano alle aperture nelle festività, considera un errore ripensare la liberalizzazione delle domeniche: « Si pensi piuttosto a calmierare gli affitti, alla riqualificazione urbana attraverso il commercio, agli investimenti nel digitale, alla fiscalità del web. Invece che sbagliare un' altra volta, credo sia giusto prendere ancora tempo ». Quello che in sostanza ha fatto il relatore del testo base della riforma, frutto della traballante intesa tra Lega e M5S, avviando una nuova ondata di audizioni in commissione Attività Produttive alla Camera, dopo le 40 dei mesi scorsi. Una decisione nella quale si intravede l' ennesimo affondo della Lega contro l' alleato di governo.
«Non è così - assicura il relatore, il leghista Andrea Mura - stiamo lavorando bene con i colleghi pentastellati, la precedente maggioranza ne ha discusso per cinque anni senza arrivare ad alcun risultato.
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Troveremo una mediazione tra le indicazioni di imprese, lavoratori e opposizione » . Mediazione che, proprio a giudicare dalla riapertura dei giochi parlamentari, non è evidentemente quella del testo base messo insieme dallo stesso Mura sintetizzando tutte le altre proposte. L' articolato, ricordiamolo, impone la chiusura degli esercizi commerciali nelle 12 festività nazionali, di cui 4 derogabili su indicazione delle Regioni; l' apertura in 26 domeniche su 52 (con la possibilità nelle zone turistiche di concentrarle in determinati periodi dell' anno); la deroga per i centri storici e per i " negozi di vicinato" che potranno aprire tutte le domeniche, eccetto le festività; sanzioni fino a 60 mila euro per chi viola le disposizioni. Promesse.
Intanto oggi e negli altri giorni di festa, come sempre i centri commerciali alzeranno le saracinesche. Moderni templi di una religione, il consumismo, della quale siamo ormai tutti devoti fedeli.
Quasi bigotti.
2. NEGOZI, RIPARTE LO SCONTRO SULLE CHIUSURE NEI FESTIVI OGGI APERTI 3 OUTLET SU 20 TRA SCIOPERI E POLEMICHE
Paolo Baroni per ''la Stampa''
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L' outlet di Serravalle Scrivia, uno dei più grandi d' Europa, oggi resterà chiuso. Al contrario degli anni passati niente shopping pasquale: serrande giù e lavoratori a casa a festeggiare in famiglia. Dopo gli scioperi e le polemiche degli anni scorsi uno dei simboli dello «shopping tourism» nazionale si adegua insomma alle richieste dei sindacati del commercio anticipando nei fatti la legge su cui i 5 Stelle da mesi stanno dando battaglia in Parlamento.
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Col dietrofront di Serravalle quest' anno saranno appena 3 gli outlet aperti a Pasqua a fronte di 21 grandi centri che fanno capo ai big del settore. Oggi, infatti, solo Torino Outlet Village, il Fidenza Village in provincia di Parma e Mondovicino Outlet in provincia di Cuneo non si fermeranno. Chi resta chiuso oggi, però, prepara per domani la sua riscossa puntando a intercettare chi per Pasquetta pianifica la classica gita fuori porta e programmando a tutto spiano attrazioni acchiappa-clienti.
Aperture a scacchiera Nei centri commerciali la situa zione invece è a macchia di leopardo: alcuni come «Porta di Roma» si fermeranno per un giorno, tanti altri resteranno aperti. Magari anche solo con cinema e ristoranti come accade dall' altro capo della Città eterna a «Roma Est».
«Tutti i nostri associati sono apertissimi» spiega Mario Resca, presidente di Confimprese, associazione che raggruppa le imprese del commercio moderno presenti in tutti i più importanti centri commerciali del Paese. «Per noi - spiega - una giornata festiva vale il 20% del fatturato settimanale e, visti i tempi, ed il forte calo dei consumi in atto da mesi, finché non cambiano le regole sulle aperture conviene a tutti restare aperti: non si fanno margini ma almeno il fatturato è salvo».
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Ovviamente Confimprese cont esta il giro di vite sulle aperture festive perché produrrebbe più danni che altro,manderebbe in fumo miliardi di euro di fatturato mettendo a rischio il 15% dei posti di lavoro nel settore. Anche in questo campo però sono molte le grandi catene come Ikea, Leroy Merlin o Decathlon che rispettano la Pasqua e oggi si fermano.
I principali gruppi della grande distribuzione come Coop, Auchan, Carrefour, Pam, Lidl ed Esselunga in molti casi invece si muovono a scacchiera: oggi tanti punti vendita saranno chiusi, ma molti altri resteranno aperti (magari anche solo mezza giornata) per garantire un minimo di servizio facendo leva sulle disponibilità dei dipendenti. Nel corso dei due giorni di festa spesso si alterneranno aperture e chiusure, a seconda delle zone e delle funzioni assegnate ai vari market. In casa Coop tutto chiuso sia in Emilia che in Toscana, mentre a Torino nei due giorni ci sarà una specie di staffetta tra diversi punti vendita.
Sindacati in trincea Di certo in molte situazioni la pressione sui lavoratori rischia di essere forte. Per questo i sindacati, con la Filcams Cgil in prima fila, tengono il punto e puntuali (anche quest' anno) fanno scattare scioperi e proteste. Da Nord a Sud riparte così l' onda delle contestazioni al grido «La festa non si vende».
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In Lombardia i sindacati invitano i lavoratori «a rifiutare la richiesta di lavoro durante i giorni festivi», ricordando «che il contratto collettivo di lavoro non prevede alcun obbligo» ed invitando lavoratori a contattarli «in caso di pressioni o forzature da parte delle aziende».
In Toscana Filcams, Fisascat e Uiltucs hanno invece proclamato scioperi e astensioni dal lavoro per l' intera giornata del 21 e 22 aprile, chiedendo esplicitamente al governo di «mantenere le promesse, individuando le festività con l' obbligo di chiusure per tutti e deroghe alle chiusure domenicali da concordare con le parti sociali sul territorio», dicendo «Basta promesse elettorali» e «No al sempre aperto». A Roma e nel Lazio, ma anche in Puglia, i sindacati sono andati oltre proclamando l' astensione dal lavoro per oggi e domani, ma anche per il 25 aprile ed il Primo maggio. In Sicilia, addirittura da settimane, è già stato stabilito che tutto il commercio si fermerà anche in occasione della festa del 2 giugno .
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