Corrado Zunino per la Repubblica
scampi
I due crostacei più utilizzati in cucina e, secondo i ricercatori dell’Università di Cagliari, di maggior valore economico in campo ittico, sono saturi di microplastiche. Il lavoro di cinque ricercatori del Dipartimento di Scienze della vita, in collaborazione con i colleghi dell’Università politecnica delle Marche, portano in avanti le conoscenze, e le preoccupazioni, sulla presenza invasiva di materiale plastico nei nostri mari. E sul suo ritorno all’uomo attraverso l’alimentazione.
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Fino ad oggi erano state studiate, soprattutto, specie marine costiere, ma la ricerca “Microplastics in the crustaceans Nephrops norvegicus and Aristeus antennatus” - pubblicata sulla rivista Environmental Pollution – è andata a esaminare in quattordici siti del mare della Sardegna lo scampo e il gambero viola, che vivono a profondità comprese tra 270 e 660 metri. La decisione di approfondire la potenziale indigestione di microplastiche è figlia di un ragionamento semplice: da una parte si stima che ogni anno negli oceani finiscano tra i 5 e i 13 milioni di tonnellate di plastica, trasformata in buona parte in minuscoli frammenti. Dall’altra, studi avevano già documentato borse rigide a 10.900 metri di profondità (nella Fossa delle Marianne): le basse temperature e la scarsità di ossigeno ne avevano aiutato la conservazione .
L’intuizione del dipartimento di Cagliari ha mostrato, presto, la sua attendibilità: i due crostacei hanno rivelato un’elevata contaminazione: poliestere, polipropilene, poliamide e, al 60 per cento, polietilene, il principale costituente degli imballaggi e della plastica monouso.
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Le particelle di microplastiche
Le microplastiche – Mps, appunto – erano presenti nel 60-83 per cento dei crostacei analizzati (in tutto 152), definiti “due specie chiave” per l’habitat del Mar Mediterraneo. Dai rispettivi apparati digerenti sono stati estratti frammenti da mezzo millimetro a due. In alcuni crostacei sono state rinvenute 42 microparti.
Antonio Pusceddu, docente di Ecologia a Cagliari, dice: “I risultati dello studio rappresentano l’ennesimo monito della ricerca scientifica a perseguire le strategie di sviluppo sostenibile indicate dall'Onu. Nel caso specifico l’obiettivo 14, che chiede di tutelare la vita marina”.
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