Marco Respinti per “Libero quotidiano”
DALAI LAMA
«Prego per un'unificazione pacifica» fra la Cina continentale e Taiwan. Il giudizio espresso ieri dal Dalai Lama in un'intervista in video-collegamento al Foreign Correspondents' Club di Tokyo, in Giappone, ha l'effetto di una bomba.
Sembra che l'86enne leader spirituale del Tibet sia cioè fermo alla vecchia idea che aveva il Kuomintang a Taiwan: «annettere» la Cina continentale in risposta alle mire uguali e contrarie di Pechino, mire che con Xi Jinping tornano pure ad assumere toni di guerra. Oggi che a Taipei è al potere il Partito Democratico Progressista l'opzione del partito nazionalista è in ribasso, ma resta comunque sottotraccia.
xi jinping
E se in realtà l'unica strada percorribile per l'isola di Taiwan è mantenere la propria indipendenza di entità separata da Pechino, e che il mondo intero ne riconosca la piena sovranità, il fatto che il Dalai Lama si avventuri un po' incautamente sul terreno dell'«unificazione» è musica per le orecchie del regime comunista della terraferma. Del resto a Hong Kong, nello Xinjiang, nello stesso Tibet e sui cieli dell'ex Formosa Pechino dimostra tutti i giorni di avere un'idea tutta propria del termine «pacifico».
REPRESSIONE CINESE IN TIBET
Certo, spingendosi tanto in là il Dalai Lama ieri aveva in mente soprattutto il suo Tibet. Dopo essere stato costretto nel 1951 a un accordo farsa, presto sbugiardato, il Tibet è occupato militarmente dal regime comunista cinese dal 1959. Da quell'anno il Dalai Lama vive in esilio a Dharamsala, in India.
La persecuzione per i tibetani rimasti in patria non è mai cessata e le pressioni di Pechino all'estero sono sempre state enormi. Ogni tibetano lo sa bene, Dalai Lama in testa, e la denuncia più recente e vibrante è venuta la settimana scorsa al quarto Geneva Forum, organizzato a Ginevra dal governo tibetano in esilio, alla presenza del nuovo primo ministro, eletto in primavera, Penpa Tsering.
REPRESSIONE CINESE IN TIBET
Ora, governo in esilio e Dalai Lama hanno sempre favorito la «via mediana»: autonomia vera da Pechino e relazioni che possano beneficiare entrambi, come è peraltro sempre stato nella storia tibetana. La parola «indipendenza», cioè, non la pronuncia nessuno, perché sarebbe come servire su un vassoio d'argento a Pechino, che non vede l'ora di schiacciare il "terrorismo separatista", il pretesto per la repressione definitiva.
Ma ieri ai corrispondenti esteri in Giappone il Dalai Lama ha detto anche altre cose decisive. Ha detto che la dirigenza comunista cinese «non comprende la differenze fra le varie culture», per esempio quelle del Tibet e dello Xinijang degli uiguri, sottoposti al rigido controllo dell'etnia Han.
DALAI LAMA
E ha detto che Taiwan è la vera depositaria dell'antica cultura e delle antiche tradizioni cinesi, le quali invece sulla terraferma soffrono di eccessiva politicizzazione. Non è la prima volta che il Dalai Lama usa lo stiletto dell'ironia, ma ieri ha sciabolato pesante. Con la mano destra ha offerto la pace, interpretabile ambiguamente, ma con la sinistra ha bollato le meraviglie del comunismo cinese come fake news.
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