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Una Superlega di separatisti? Ma quando mai. Le conclusioni a cui è giunto l’avvocato generale Rantos sono di tutt’altro avviso. Nella battaglia tra la Uefa e i tre club ribelli (Barcellona, Juventus e Real Madrid) emerge lo scenario di una lega per nulla disposta ad abbandonare l’attuale unione. Un gruppo di club che vuole creare una competizione propria, con affari da gestire in autonomia e ricavi da record, senza però uscire dalla sfera calcistica abituale, quella dei campionati nazionali che si svolgono sotto l’egida e i regolamenti di Uefa e Fifa. «In altre parole – come scrive l’avvocato generale Athanasios Rantos – sembrerebbe che i club fondatori dell’Eslc vogliano, da un lato, beneficiare dei diritti e dei vantaggi legati all'appartenenza alla Uefa, senza tuttavia essere vincolati dalle regole e dagli obblighi della Uefa».
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Sul piano delle norme che regolano la concorrenza all’interno dell’Unione Europea, le conclusioni poste all’attenzione della Corte di Giustizia evidenziano come non si possa «criticare un’impresa (o un’associazione di imprese come l’Uefa) per aver tentato di tutelare i propri interessi economici, in particolare in relazione a un simile progetto “opportunistico” che rischierebbe di indebolirla in modo significativo». Un indebolimento che non toccherebbe i club partecipanti alla Superlega, dato che secondo l’avvocato generale la loro intenzione non sarebbe «quella di creare una lega vera e propria, chiusa e indipendente (una lega separatista), ma di creare una competizione rivale con quella dell’Uefa nel segmento più redditizio del mercato dell’organizzazione delle competizioni calcistiche europee, pur continuando a far parte dell’ecosistema Uefa partecipando ad alcune di tali competizioni (e in particolare ai campionati nazionali)».
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Quindi, secondo questa ricostruzione, le società che nell’aprile 2021 avevano deciso di creare una propria lega (nove delle quali poi costrette a fare dietrofront nel giro di 48 ore, tra proteste dei tifosi e dei governi), non avevano alcuna intenzione di abbandonare la Uefa. Non avrebbero potuto, perché avrebbero perso la possibilità di partecipare ai rispettivi campionati nazionali e, di conseguenza, avrebbero perso introiti milionari per quanto riguarda i diritti televisivi. Pensate alle inglesi, le prime a fuggire dalla Superlega: Prima della pandemia di Covid-19, quindi nella stagione 2018/19, le sei società di Premier League coinvolte nel progetto (Arsenal, Chelsea, Liverpool, Manchester City, Manchester United e Tottenham) hanno ottenuto 879,4 milioni di sterline dai proventi televisivi del campionato, pari a poco più di un miliardo di euro al cambio dell’epoca.
Sanzioni Uefa, il parere dell’avvocato generale
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La commercializzazione dei diritti delle competizioni Uefa, altro punto su cui si basava il ricorso dei club della Superlega, «appaiono inerenti al perseguimento delle legittime finalità connesse alla natura specifica dello sport e proporzionata ad esse». Gli articoli 101 e 102 del Tfue, relativi appunto alla concorrenza, vanno interpretati su questa base. Anche l’esistenza di una posizione dominante da parte di Uefa e Fifa «non priva un’impresa che si trovi in tale posizione né del diritto di salvaguardare i propri interessi commerciali, qualora siano minacciati, né del potere, in misura ragionevole, di adottare le misure che ritiene opportune al fine di tutelarle, purché tale comportamento non costituisca un abuso di posizione dominante».
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Se c’è una critica alla Uefa, infatti, quella è proprio sulle sanzioni. Non ai danni dei club, perché la formula della Superlega «potrebbe avere l’effetto di pregiudicare l’attrattiva e la redditività delle competizioni Uefa (in particolare la Champions League) e di ridurre quindi i relativi introiti, una percentuale dei quali è destinata al calcio di base». È semmai sulle sanzioni ai giocatori che prenderebbero parte a questa Superlega che l’avvocato generale ha un parere diverso: «L’imposizione di sanzioni che non erano parte della decisione di costituire l’Esl mi sembra sproporzionata, in particolare per quanto riguarda la loro partecipazione alle squadre nazionali». Inoltre, «privare le nazionali interessate di alcuni dei loro giocatori equivarrebbe a sanzionarle anche indirettamente».
La nascita di una competizione concorrente, già di per sé, «avrebbe inevitabilmente un impatto negativo sui campionati nazionali riducendo l’attrattiva di tali competizioni (e in particolare di quelle degli Stati membri i cui club fanno parte dell’Esl)». Tanto più se i club fondatori si trovassero «protetti, nei loro campionati nazionali, dalla concorrenza dei club rivali per un posto in una competizione europea di alto livello». Qui si pone l’accento sul concetto di lega chiusa, in cui «la maggioranza dei club partecipanti all’Esl (vale a dire 15 dei 20 partecipanti) vedrebbe garantita la propria partecipazione». Qualcosa che va in contrasto con quanto ammesso nelle scorse settimane dal Ceo di A22 Sports Management, la società che gestisce la Superlega. Bernd Reichart ha parlato di competizione «aperta e meritocratica», cosa che non era previsto nel piano iniziale in cui si fa riferimento a «15 fondatori e 5 qualificate annuali».
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Alla luce di tali osservazioni, l’avvocato generale ritiene che il riconoscimento della Superlega debba essere «subordinato a un regime di approvazione preventiva» da parte di Uefa e Fifa e che «il mancato riconoscimento da parte della Fifa e dell’Uefa di una competizione sostanzialmente chiusa come l’Esl possa essere considerato inerente al perseguimento di taluni obiettivi legittimi, in quanto lo scopo di tale non riconoscimento è quello di mantenere i principi di partecipazione basati sui risultati sportivi, sulle pari opportunità e sulla solidarietà su cui si fonda la struttura piramidale del calcio europeo».
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Principi che di recente la Commissione Europea ha ribadito siglando un accordo di cooperazione fino al 2025 con la Uefa. Principi che l’avvocato generale Rantos ha sottolineato nei suoi pareri, presentati alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale sarà chiamata a pronunciarsi in primavera.
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