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    CHE PENA L’ITALIA RIDOTTA A SPARRING PARTNER DELLA GERMANIA – BARBANO (CORSPORT): “DAI GIOCATORI AL MODULO, MANCINI NON PUÒ AZZARDARE COSÌ E POI STUPIRSI CHE L’ITALIA AFFONDI. COME SE NON SAPESSE CHE LA MAGGIOR PARTE DEI TEDESCHI HA GIÀ VINTO ALMENO UNA CHAMPIONS” – GARANZINI: "LA GOLEADA CI HA FATTO MISURARE QUANTO PROFONDO SIA IL VUOTO LASCIATO DAI VECCHI TOTEM DIFENSIVI. I CHIELLINI, I BONUCCI, E PERCHÉ NO PURE BUFFON CHE LA PRESUNZIONE, RECIDIVA, DI DONNARUMMA NON L'HA MAI AVUTA…"


     
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    Gigi Garanzini per “la Stampa”

     

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    Avevamo scoperto nei giorni scorsi che il serbatoio azzurro è più ricco di quando si pensava. Adesso sappiamo che non è un pozzo senza fondo. Anzi. L'Italia chiude dunque la sua irregular-season peggio di come l'aveva incominciata: l'Argentina si era fermata a tre, la Germania è andata oltre e senza Messi, Lautaro e Di Maria là davanti. Con tanta carità di patria si potrebbe osservare che poteva anche incanalarsi al contrario la partita, perché la prima palla gol l'ha avuta Raspadori da un'idea di Politano e l'ha salvata Neuer: ma la seconda, subito dopo l'ha avuta Kimmich e Donnarumma se l'è vista passare tra le gambe.

     

    Da lì in poi, in ogni caso, si è visto che non solo l'Italia non era quella dell'andata di Bologna, giusto dieci giorni fa: ma che ben diversa, in meglio, era la Germania. Troppo larghe in difesa, e prima ancora nella cosiddetta fase di contenimento le maglie azzurre: e impressionante la voragine sulla corsia di destra dove i tedeschi, con una semplice cambio di gioco, trovavano spazi sempre più ampi.

     

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    Al punto che Mancini, poco prima del raddoppio su rigore di Gundogan, era intervenuto con un cambio tattico facendo entrare un difensore in più, Luiz Felipe, al posto di Politano. Autorizzando così un dubbio. Visto che ci stavano dominando dall'inizio, non era il caso di farlo prima?

     

    O in alternativa attendere quei tre minuti che mancavano all'intervallo per meglio illustrare un cambio non individuale ma strutturale? Sul 2-0 comunque, maturo da tempo, la partita era andata.

     

    Gli azzurri hanno provato a riaprirla con una fiammata coraggiosa in avvio di ripresa, ci sono andati anche vicino con Cristante e poi Barella: ma non appena i tedeschi hanno rimesso il naso fuori, è arrivata una goleada che ci ha fatto misurare, all'improvviso, quanto profondo sia il vuoto lasciato dai vecchi totem difensivi. I Chiellini, i Bonucci, e perché no pure Buffon che con i piedi forse non era Neuer: ma vivaddio la presunzione, recidiva, di Donnarumma non l'ha mai avuta.

     

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    2 - SPARRING PARTNER ITALIA

    Alessandro Barbano per il “Corriere dello Sport”

     

    Il rischio di un esperimento così ardito contro la Germania era proprio questo. Trasformarsi in una di quelle formazioni raccogliticce che nei ritiri servono per allenare la prima squadra. Se c’è una cosa che stona in questo allenamento, è l’irritazione di Mancini. Che fa dell’azzardo la sua strategia, schierando nove undicesimi diversi da quelli che hanno vinto facile con l’Ungheria e pareggiato con onore contro l’Inghilterra, cambia il modulo tattico prima della fine del primo tempo passando dal 4-3-3 al 3-5-2, prova un difensore centrale come Scalvini nel ruolo di centrocampista centrale, e poi si stupisce che l’Italia affondi. Come se non sapesse che la maggior parte dei tedeschi ha già vinto almeno una Champions.

     

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      Un esperimento concepito in questo modo può essere utile per valutare le qualità e la capacità di reazione dei singoli, non per testare un nuovo ciclo, che richiede rodaggio e affiatamento per un gruppo più ristretto. Se tra una partita e l’altra sostituisci tutti e quattro i difensori, non puoi pretendere che questi tengano la linea ordinatamente e chiudano lo spazio alle posizioni di tiro degli avversari, come ha mancato di fare Calabria sul primo gol.

     

    Poi, certo, la Germania palleggia con una velocità e un raziocinio invidiabili, gioca tra le linee verticalizzando e smarcando i centrocampisti al tiro, doma ogni tentativo di reazione degli azzurri con una padronanza tattica e psicologica che mostrano tutta la differenza tra una formazione che legittimamente punta a salire sul podio del Qatar e una che il Qatar lo vedrà dalla tv.

     

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    Qualcosa tuttavia resta da questa finestra sperimentale di fine stagione. In primo luogo l’evoluzione del gioco che, sia pure a sprazzi, Mancini ha propiziato, puntando su verticalizzazioni congeniali a centrocampisti più dinamici rispetto al duo dei palleggiatori Verratti-Jorginho. In secondo luogo il test positivo per alcuni azzurri a cui con coraggio il ct ha dato fiducia, e tra questi senz’altro Tonali, Frattesi, Gatti, Scamacca. In terzo luogo la responsabilizzazione di Pellegrini come vero uomo squadra della Nazionale, alla quale il romanista ha risposto dimostrandosi pronto a raccogliere la sfida.

     

     

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    Un discorso a parte merita Gnonto. Nessuno può pensare che un diciottenne di talento, privo di qualunque esperienza nel calcio competitivo delle Leghe Top né tantomeno nelle Coppe europee, possa essere il presente o il futuro prossimo della Nazionale. Dandogli fiducia, Mancini ha piuttosto lanciato un messaggio ai club che fin qui hanno anteposto le loro miopi strategie di mercato e l’urgenza di vincere alle sorti dell’Italia. Quella maglia all’attaccante dello Zurigo vuol dire semplicemente «fate giocare i giovani», appello che ci sentiamo di condividere.

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