Valeria Di Corrado per “Il Tempo”
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Un agente dei Servizi segreti italiani, affiliato al Grande Oriente d’Italia, accusato di aver favorito la latitanza di un ex parlamentare condannato per concorso esterno alla ’ndrangheta. Un monsignore che vuole vendere "in nero" centinaia di chili d’oro, custoditi nel caveau del Vaticano, frutto delle offerte dei fedeli. Un’imprenditrice corleonese che contatta un poliziotto in servizio presso la presidenza del Consiglio dei ministri per "piazzare" i lingotti.
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Sullo sfondo compaiono generali dell’Esercito italiano, politici di centrodestra, esponenti della famiglia Casamonica; mentre si intrecciano accordi per la vendita di petrolio "d2", gas liquefatto e giubbotti antiproiettile. Sono questi gli ingredienti di un’avvincente spy story internazionale, di cui si trova traccia nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria, coordinata dal procuratore distrettuale antimafia Cafiero De Raho e dal sostituto Giuseppe Lombardo.
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LA LATITANZA DI MATACENA
Lo scorso aprile gli uomini della Dia hanno perquisito da cima a fondo le abitazioni di Domenico Sperandeo, agente dell’Aise di origine palermitana ora in pensione, e Franco Ciotoli, l’assistente capo della Polizia di Stato in servizio presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, sequestrando pc, Ipad e hard disk.
Entrambi sono indagati per associazione di tipo mafioso "in concorso necessario" con Amedeo Gennaro Matacena, ex deputato forzista condannato in via definitiva quale decisivo concorrente esterno della ’ndrangheta reggina e latitante da circa tre anni, Chiara Rizzo e Maria Grazia Fiordelisi, rispettivamente moglie e segretaria di Matacena, Martino Antonio Politi, considerato il suo factotum, l’ex ministro forzista Claudio Scajola e la sua segretaria Roberta Sacco, nonché Vincenzo Speziali, latitante in Libano sposato con la figlia di un ex presidente libanese e nipote dell'omonimo senatore Pdl.
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Sono tutti accusati dai pm calabresi di far parte di «un’associazione per delinquere segreta collegata all’associazione di tipo mafioso e armata denominata ’ndrangheta da rapporto di interrelazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio in campo nazionale e internazionale».
«In particolare - si legge nel capo d’imputazione - hanno posto in essere, consentito o comunque agevolato condotte delittuose dirette ad agevolare l’attività di interferenza di Speziali su funzioni sovrane (quali la potestà di concedere l’estradizione, in capo alle rappresentanze politiche della Repubblica del Libano), finalizzate a proteggere la perdurante latitanza di Matacena», in modo da «mantenere inalterata la piena operatività di Matacena e della galassia imprenditoriale a lui riferibile, costituita da molteplici società usate per schermare la vera natura delle relazioni politiche, istituzionali e imprenditoriali da lui garantite a livello regionale, nazionale e internazionale».
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I RAPPORTI CON LA MASSONERIA
Dall’attività di intercettazione della Procura reggina emerge «in maniera inequivocabile» che, subito dopo le perquisizioni degli uomini della Direzione investigativa antimafia, «la direzione dell’Aise aveva invitato Sperandeo affinché si pensionasse», così come poi è accaduto. Sperandeo «risulta inserito - si legge nel decreto di perquisizione - in una loggia massonica, verosimilmente il Grande Oriente d’Italia, sin dai tempi in cui era ancora in servizio all’Aise».
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«Tale eventuale appartenenza - precisa il pm Lombardo nel decreto - viola i limiti imposti dalla legge in ordine all’iscrizione alle logge massoniche di un soggetto che riveste lo status di militare in servizio». Sperandeo, che dalle carte risulta difeso dall’avvocato Daniele Francesco Lelli (penalista noto per aver difeso personaggi di spicco in processi alla criminalità organizzata), viene intercettato mentre parla al telefono con avvocati, dipendenti Rai e professionisti romani, di riunioni con tutti i "fratelli" che ogni martedì si incontrano per la "tornata rituale" in un "tempio" diverso.
L’ORO DEI FEDELI IN VENDITA
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Nelle carte dell’inchiesta emerge anche come Sperandeo e Ciotoli abbiano fatto da intermediari per "piazzare" lingotti d’oro per conto di un prelato del Vaticano, avvalendosi del supporto dei soci del gruppo Goldiam (società di diritto maltese, nonché "mandate" del gruppo Viloro, con sede in Romania, Svizzera e Dubai).
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Il 7 ottobre 2015 viene interrogato dagli inquirenti uno di questi imprenditori: «Nel periodo di Pasqua dello scorso anno fui invitato a Roma perché un alto prelato del Vaticano era intenzionato a vendere un consistente quantitativo di oro. (...) Il Monsignore mi disse che aveva la necessità di effettuare un’operazione riservata che prevedeva la vendita di un primo stok di 400 chili. (...) Richiedeva il pagamento in contanti o attraverso il deposito presso una cassetta di sicurezza estera». Un altro dei soci della Goldiam riferisce ai pm: «A dire del Monsignore l’oro era custodito nel caveau del Vaticano. Appresi che proveniva dalla Svizzera ed era frutto della fusione di oro donato dai fedeli alla Chiesa».
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