Estratto dell’articolo di Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
Il libro di Pierluigi Panza, Nel nome del Padre. Le molte vite di Francesco Piranesi
Vive la France! La «nostra insigne benefattrice», accorsa «a porgervi la sua destra per sollevarvi dalla dura schiavitù, che vi tenea oppressi, e dal ferale giogo, che vi pesava barbaramente sulla cervice». […]
La mattina del 10 marzo 1798 in cui furono pubblicati sul «Monitore di Roma» quei bellicosi incitamenti a sostenere la truppa napoleonica, «il mezzo sicuro ed unico di prevenire la perfidia degli aristocratici, i quali van sotto mano preparando nuove catene e fabbricando sordamente una più barbara schiavitù», gli amici stessi restarono senza fiato.
L’autore dell’incendiario appello ai romani «discendenti de’ Bruti, de’ Cincinnati e de’ Gracchi» era Francesco Piranesi. Il figlio del veneziano Giovan Battista Piranesi che proprio alla corte dei Papi (soprattutto sotto il pontefice veneziano Clemente XIII, suo munifico protettore, della serenissima stirpe dei Rezzonico) era riuscito a imporsi come incisore, archeologo, architetto ma più ancora fondamentale protagonista del recupero e del rilancio delle leggendarie antichità romane accrescendo via via il mito del Grand Tour.
endimione con le urne esportato da francesco piranesi nmsk sala grande
Che ci faceva lui, l’erede di quel padre immenso, tra i rivoltosi della Repubblica Romana 1798-1799? Lo spiega, tra intrighi spionistici e irresistibili dettagli, il libro Nel nome del padre. Le molte vite di Francesco Piranesi edito dall’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, e scritto da Pierluigi Panza, storico dell’arte, docente universitario, giornalista del «Corriere» e curatore di tre mostre sul grande Piranesi in occasione del terzo centenario della nascita. Dove si racconta come il rampollo, sulle prime destinato alla carriera ecclesiastica, fosse finito tra i più accaniti mangiapreti bonapartisti e prima ancora tra le spie di Gustavo III di Svezia finché...
Ma è meglio partire dall’inizio. E cioè da quel genio di suo padre, Giovan Battista Piranesi che, fece davvero fortuna, racconta Panza, «divenendo con le sue Vedute e con le Antichità Romane uno dei più noti incisori, poi architetto, cavaliere, antiquario e scultore all’antica per soddisfare il gusto dei viaggiatori».
pietro labruzzi ritratto di giovan battista piranesi 1779 museo di roma
L’Urbe era allora una città «di tredici chilometri quadrati circondata dalle mura aureliane. Gran parte delle abitazioni erano medioevali, strette e lunghe, di due o tre piani, in travertino di Tivoli o peperino», ci vivevano meno persone che a Napoli e poco più che a Venezia, la popolazione era costituita soprattutto da chierici, preti, pellegrini, servitori e pigionanti, si «contavano 240 monasteri maschili contro 73 femminili» e insomma poco restava della metropoli imperiale che quindici secoli prima pare superasse un milione e mezzo di abitanti.
[…] Un’officina d’arte dai ritmi febbrili: questo erano i Piranesi nel loro palazzo Tomati, a Trinità dei Monti. Al punto di sfornare per i clienti, sempre più numerosi, più ricchi e più esigenti, matrici su matrici, vedute su vedute, copie su copie di statue e candelabri e pezzi di ogni genere ritrovati negli scavi e riprodotti in tale quantità da essere 263 sparsi in 43 siti diversi.
[…] Fatto sta che quando morì, nel novembre 1778, dopo un faticoso viaggio a Paestum che gli aveva ispirato «18 tavole sui templi, che credeva fossero Etruschi», lasciò alla moglie Angelica, alle due figlie e i tre figli, un patrimonio tale da garantire (così sperava) una «comoda sussistenza».
francesco piranesi e francois jean sablet fete pour la paix ge??ne??rale donne??e a?? paris le 18 brumaire pont du carrousel incisione acquerello e gua
Il maggiore e cioè Francesco che aveva collaborato col padre alle ultime acqueforti (aggiungendone tre sue), annoterà giorni dopo l’architetto Giannantonio Selva, «ha del talento e può essere capace di calcare l’orme del Padre. Avrà però sempre rimorso d’essere stato ancor lui motivo d’inquietudine al detto suo Genitore perché un giorno arrivò sino a revortarsegli contro con un coltello alla mano. È ben vero che il Padre troppo lo tiranneggiava e fu cagione che non potendo avere qualche paulo chiedendoglielo, si pose a rubargliene».
In realtà, scrive Panza, Francesco «apparve subito incapace di seguire la qualità del padre». Peggio: appena prese coscienza che non ce l’avrebbe fatta a reggere il confronto, cominciò a badare ancor di più a sé stesso. Al punto di spingere Angelica a fargli causa per l’eredità.
PIERLUIGI PANZA
E i documenti dovevano essere dalla parte sua perché «il giudice decise che Francesco e il più giovane fratello Pietro provvedessero al sostentamento della madre con un assegno mensile, più abiti e gioielli». Dopodiché, stabilito «che il valore dell’eredità di Giovanni Battista ammontava a 43 mila scudi» dispose che Francesco «non potesse alienare “beni” o “stabili” accumulati dal padre, ovvero “mobili e merci, cioè stampe, rami, statue, pietre, marmi ed altro”». Un verdetto che Francesco disattese iniziando subito a vendere il museo paterno.
ermafrodita dal museo piranesi nmsk n 27
Giochi d’azzardo? Amanti insaziabili? Vizi inconfessabili? Mistero. Certo, a leggere Nel nome del padre, il talentuoso ma non abbastanza figlio del grande Piranesi sprecò quanto aveva di buono tentando d’ingraziarsi monarchi e potenti di mezza Europa con assillanti e untuose proposte che l’uno o l’altro gli comprassero tutto tesoro o via via ciò che restava (beninteso: vendendosi a parte qualche pezzo, magari di straforo) avuto in eredità. Prima il Re di Polonia Stanislao, poi il Re di Svezia Gustavo III, poi Giuseppe Bonaparte piazzato dal fratello Napoleone prima come Re di Napoli poi come Re di Spagna...
Una vita intera al servizio, a fini di lucro (una somma favolosa, una pensione, un vitalizio...) di questa o quella corona. Con un occhio di riguardo per quello svedese alla quale fece arrivare via Civitavecchia (ci fu chi chiuse un occhio…) 90 pezzi della collezione, fino a ricever la proposta di spiare l’«amico» generale Gustaf Armfelt caduto in disgrazia a Stoccolma e rifugiatosi a Napoli per sfuggire alla pena di morte.
francesco piranesi vista del vesuvio 1783 ca
Una richiesta che lui, cresciuto nella Roma papalina e avvezzo a distribuire «mancie a quelli che procuravano le nuove segrete», non poteva rifiutare. Quando morì esule a Parigi, nel 1810, gli erano probabilmente rimasti mille rimpianti. Tra cui il rifiuto alla richiesta di divenire cittadino veneziano. Anche quella, ovvio, nel nome del padre.
piranesi 9 grotta del bergantino lago albano PIERLUIGI PANZA piranesi pyramid PIRANESI ROVINE ROMA piranesi sepolcro santa costanza