Paolo Di Paolo per “la Stampa”
spare principe harry
Se scrivo «c'è una libreria a Cantù», sembra un incipit di Rodari. Ma c'è una libreria a Cantù che ha deciso di non vendere il libro del principe Harry, Spare. Il minore (Mondadori). Il primo motivo è che sono convinti che non sia un libro interessante per la loro clientela. Un altro è che «nella nostra testa» è un oggetto meramente commerciale. 535 pagine che circolano «nella nostra testa», nella testa di qualche milione di umani, da diverse settimane: per via delle anticipazioni gossip, delle reazioni vere o presunte della Corona, del mezzo milione di copie venduto in un solo giorno nel Regno Unito ("sell out", come si dice in gergo, che basterebbe per tre vite di molti di noi, gente che scrive e ci vive - male). E i post social di chi l'ha comprato e fa lo spiritoso; e i post social di chi dice io lo leggo solo perché è scritto da quel premio Pulitzer che ha scritto anche quel famoso libro di Agassi che era bellissimo. Ma va'.
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Leggilo e falla finita. 500 pagine non si leggono in un giorno: ce ne ho messi due e mezzo, ma le ho lette. Mi sembrava la cosa più sovversiva da fare: leggere un libro come si legge un libro. Mi pare di poter dire che funzionerebbe anche come macro-dispensa in un corso base di letteratura. Non perché lo sia in senso stretto, ma perché - un po' grazie allo Stimatissimo Ghost Writer; un po' grazie alla vita (che, dice Magris, fa una concorrenza sleale agli scrittori) - i meccanismi che governano il romanzesco ci sono tutti. Uno per uno. Ed è il meraviglioso, molteplice paradosso di un librone letto anche o soprattutto da chi ne legge pochi, e scritto o semi-scritto da chi confessa (il Piccolo Principe) di non avere mai amato i libri, di avere fatto di tutto per evitarli, di avere in uggia perfino Shakespeare. È un'ottima lezione per scrittori presuntuosi: la letteratura è dominio incosciente di quasi chiunque, e con l'aiuto del ghost giusto tutti saremmo bravi romanzieri.
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A molti di noi che oggi lo fanno per mestiere non riesce facilmente di creare personaggi memorabili: il lettore si ricorda una pagina, o uno sfogo autobiografico, ma non si ricorda quel tipo o tipa, creature di carta alla Madame Bovary. È un discorso lungo e complicato, ma intanto qui c'è da dire che Harry è autore e personaggio: e la coincidenza non è da valutare nei termini di una stanca autofiction, ma della incommensurabile ricchezza di essere - già prima del libro e fuori dalle pagine - una Madame Bovary conosciuta quasi ovunque. Così se Flaubert (qui J.R. Moehringer) andasse a intervistare una Bovary in carne e ossa per tirarne fuori un memoir ("La mia storia"), saprebbe bene che il vero e più spettacolare romanzo è quello che esce dalla sua bocca. Va, certo, aggiustato, rimesso in bella, definita una struttura, lavorando abilmente sul montaggio, ma la materia c'è tutta.
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Ed è perfetta. C'è il grande trauma (il New Yorker ha appena osservato la ricorrenza del cliché del trauma nelle narrazioni contemporanee) e c'è l'aspirazione alla felicità. Non basta? C'è il giocare alla guerra (letteralmente: gli anni da cadetto e da cecchino - come in un buon romanzo rosa sull'ufficiale gentiluomo) e c'è l'idea stucchevole e immarcescibile che esista al mondo una nostra anima gemella. Harmony? No, è anche Anna Karenina! Oltre la cortina fumogena della curiosità morbosa, c'è la matrice occulta di ogni romanzo di cosiddetta formazione, chiamatelo Bildungsroman a Balmoral. Voglio sottoporvi una serie di immagini pescate in queste pagine che - se non dicessi che sono di Harry e del suo Ghost - magari direste: che bravo Eugenides!
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Frammenti di letteratura involontaria, grezzi o sgrossati da Moehringer: che dilata il dettaglio, spinge sul pedale descrittivo («Gli alberi erano spogli, ma l'aria dolce»), quando serve. Perché servono anche le descrizioni. C'è il piccolo romanzo nel romanzo dell'estate '97 - il sogno adolescente viene spezzato, e resta monco per sempre. C'è il pianto; e la scopata veloce dietro un pub che con una più grande che ti fa perdere la verginità trattandoti come lo «stallone» che credi di essere. Il tempo della ribellione, del confronto con un padre che non sa dire i sentimenti. Gli spinelli e l'ansia del futuro. La fratellanza, il crescere che porta freddezza e le gambe mozzafiato di tua cognata. La temperatura tropicale che ti sfiata a casa di nonna, che non è una casa qualunque, ma è la tenuta di Sandringham. Il tè: che si prende veramente!
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E sì, le battute di caccia e la voglia di scappare e le ferite che restano a sanguinare il segreto. La frustrazione e il vittimismo. Il profumo di mamma che torna (e il ricordo del bacio della buonanotte, siamo tutti Proust ma non lo sappiamo). E le sere - perfino per lui - passate a vedere Friends e a mangiare di merda. E a piangere. E una ragazza a cui tenere i capelli mentre vomita. E il giudizio degli altri - i Parenti, mentecatti o aristocratici che siano; il loro fiato sul collo e il non sentirsi all'altezza - e non volercisi sentire mai più. Il passato che non muore mai: come dice Faulkner nell'epigrafe (scelta forse dal Ghost). Sì, il passato: una storia che raccontiamo a noi stessi. E a milioni di lettori.
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