1 – IL RETWEET DI ALBERTO BAGNAI, CONSIGLIERE ECONOMICO DELLA LEGA E PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE FINANZA DEL SENATO
Ora Basta
IL RETWEET DI BAGNAI: SCENARI POST QUANTITATIVE EASING
@giuslit
Ora Basta ha ritwittato pippocamminadritto
Chi comprerà i BTP nel 2019? Le nostre banche.
Con quali soldi? Quelli ‘stampati’ dalla #BCE con TLTRO.
L’unico modo per tenere in piedi la baracca: esasperarne le contraddizioni.
pippocamminadritto
@guado77
Quindi banche IT useranno le riserve in eccesso e nuova liquidità TLTRO con collateral BTP,dovranno assorbire almeno 100mld,con buoni rendimenti e gain da carry trade in caso in cui #ECB devi da cap.key su reinvestimenti rimborsi
Il doomloop è funzionale al mantenimento statusquo
ALBERTO BAGNAI 1
2 – LA BANCA CENTRALE EUROPEA RIDURRÀ ALL'11,80%, DAL 12,31%, LA QUOTA DI TITOLI DI STATO ITALIANI ACQUISTABILI TRAMITE IL QUANTITATIVE EASING A PARTIRE DA GENNAIO - LO SPREAD BTP-BUND A 283 PUNTI CONTRO I 290 DELLA CHIUSURA DI VENERDÌ. IL RENDIMENTO DEL TITOLO DECENNALE ITALIANO È SCESO AL 3,15%, AI MINIMI DA DUE MESI...
3 – BANCHE: SUPER SPREAD OSTACOLA BOND
Da www.ansa.it
MARIO DRAGHI
L'emissione del bond di Unicredit, seppure non pienamente esemplificativa per l'intero comparto, è stato un campanello d'allarme: la crescita dello spread e il rallentamento dell'economia si stanno trasmettendo non solo ai tassi sui prestiti, ai conti pubblici e agli investimenti ma anche al costo della raccolta e al rifinanziamento delle banche rendendolo più gravoso e, in prospettiva, poco sostenibile.
I vertici degli istituti, la vigilanza italiana ed europea sono ancora impegnati nelle analisi ma un fattore è certo: i costi saliranno perché lo spread renderà più difficile aderire alle nuove regole europee che aumentano la capacità delle banche di assorbire le perdite (Mrel) in discussione in queste settimane.
Per questo nel terzo e nel quarto trimestre le emissioni di bond delle banche in Italia si sono ridotte al minimo. E ancora una volta la Bce sarà decisiva: nella riunione del 13 dicembre che sancirà la fine del Qe dovrebbe lanciare segnali su una possibile nuova edizione del Tltro.
4 – BANCHE, DALLA BCE PRESTO IN ARRIVO UNA TLTRO 3: BARCLAYS
MARIO DRAGHI
E' in arrivo, forse già a dicembre, una nuova asta Tltro da parte della Bce. Lo scrive una nota di Barclays allineandosi ai rumors emersi fra gli operatori nella giornata di venerdì. L'ipotesi di nuove aste a lungo termine con tassi agevolati (le ultime hanno visto tassi negativi per gli istituti che avessero concesso più prestiti) contribuisce a rendere tonico un comparto bancario già esuberante oggi dopo le aperture del governo sugli obiettivi di deficit.
"Riteniamo - scrive Barclays nella sua nota della serie "Ecb Watching" - che vi siano validi motivi macroeconomici e microeconomici per una nuova Tltro, e ora ci aspettiamo che la Bce annunci un round di finanziamenti Tltro a dicembre o agli inizi del 2019". Le sfide macroeconomiche si stanno accumulando, proseguono gli analisti di Barclays: "La domanda esterna è diminuita mentre i rischi legati al commercio, Italia, Brexit e la crescita rallentata della Cina hanno proliferato. Quindi, consideriamo la Tltro III un modo efficace per la Bce di prevenire un inasprimento delle condizioni di prestito in un momento di crescenti rischi macroeconomici".
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5 – COSA REALISTICAMENTE PUÒ FARE LA BCE PER AIUTARE L’ITALIA
Estratto dell’articolo di Andrea Franceschi per www.ilsole24ore.com
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spread btp bund
L’arma spuntata di tassi e Qe
L’incertezza politica ha alimentato una grave crisi di fiducia sui mercati che ha spinto gli investitori esteri ridurre la loro esposizione in BTp per ben 68 miliardi di euro da maggio in poi. Sul futuro resta l’incognita su chi rifinanzierà il nostro debito pubblico nel 2019. La Bce, che acquista titoli sul mercato secondario nell’ambito del Qe, finora ha fatto la sua parte ma in futuro il suo contributo è destinato a ridursi.
Dall’anno prossimo infatti il Qe finisce e la banca centrale potrà solo reinvestire i titoli alla loro naturale scadenza (si stimano 30 miliardi sull’Italia nel 2019). Ci potranno essere eccezioni per Roma? No perché il Qe non è uno strumento pensato per rifinanziare il debito degli Stati ma è un programma di politica monetaria finalizzato a rilanciare l’inflazione. Gli acquisti sono fatti in proporzione alla quota di ciascun Paese nel capitale della Bce e non è possibile fare deviazioni da queste quote (se non temporanee).
spread btp bund
La Bce potrebbe riattivare il Qe o rinunciare al rialzo dei tassi, previsto già per il 2019, solo nel caso in cui l’inflazione dovesse più bassa del previsto. Al momento una prospettiva poco probabile dato che da diversi mesi si sta assistendo ad un aumento dei salari in tutta l’area euro (segnale di una ripresa solida dell’inflazione “buona”).
Il bazooka delle OMT
Uno strumento che, a differenza del Qe, potrebbe fare effettivamente la differenza nella gestione del rischio Italia è un altro e non è mai stato utilizzato. Si tratta delle cosiddette Outright Monetary Transactions. Una sigla che definisce lo strumento che permette alla Bce di acquistare quantità potenzialmente illimitate di titoli di Stato a fronte di una specifica richiesta di un Paese membro a condizione che questo si impegni a rispettare una serie di condizioni in tema di disciplina di bilancio.
mario draghi
Cioè faccia austerity. Secondo Capital Economics il fatto che gli attuali livelli di rendimenti e spread dei titoli di Stato italiani siano ancora ben lontani dai picchi toccati durante la crisi del 2011-2012 lascia ipotizzare che nell’immediato non si voglia ricorrere a questo strumento ma la vera domanda è politica: un governo sovranista, che ha fatto della sfida all’Ue e ai suoi vincoli di bilancio un suo cavallo di battaglia, potrà mai sottostare a un commissariamento dell’odiata Europa? O forse preferirà l’arma del ricatto e dell’Italexit per trattare con Bruxelles?
Nuovi Tltro per le banche
claudio borghi matteo salvini alberto bagnai
Se la fine del Qe è improbabile, il rialzo dei tassi vincolato al contesto macroeconomico, la richiesta di attivazione delle Omt politicamente delicata, resta ancora qualcosa che la Bce può fare per aiutare l’Italia. E cioè varare un nuovo piano di finanziamenti agevolati al sistema bancario (i cosiddetti piani Ltro e Tltro che la Bce varò per stimolare la ripresa del credito all’economia reale).
unicredit
Le banche italiane, che negli anni della crisi ebbero grossi problemi a rifinanziarsi sui mercati, ne fecero abbondante uso: un terzo degli oltre 700 miliardi erogati dalla Bce finirono agli istituti italiani e la loro prossima scadenza costringerà molti istituti a un cospicuo piano di emissioni obbligazionarie già nel 2019. Un rinnovo di questo programma da parte della Bce potrebbe contribuire non poco a risolvere i problemi di liquidità dei nostri istituti.
Ciò detto, segnala Capital Economics, «un nuovo piano di Ltro potrebbe rivelarsi inutile se il rating dell’Italia venisse declassato a livello “spazzatura” perché allora i BTp non sarebbero più utilizzabili come garanzia (collaterale in gergo) per ottenere prestiti dalla Bce». Per il momento va detto che la prospettiva di un declassamento, le cui conseguenze sull’accesso ai mercati dell’Italia potrebbero essere disastrose, resta ad oggi piuttosto remota. Perché i BTp siano rifiutati dalla Bce come collaterale è necessario poi che tutte e quattro le agenzie a cui l’Eurotower fa riferimento (S&P, Moody’s, Fitch e Dbrs) assegnino un giudizio inferiore a “investment grade” ai nostri titoli di Stato.
ALBERTO BAGNAI
6 – FONDI ESTERI IN USCITA, RETAIL FREDDI E SENZA QE: CHI COMPRERÀ BTP NEL 2019?
Estratto dell’articolo di Andrea Franceschi per www.ilsole24ore.com
(…) Tirando le somme ciò che si è visto finora è che gli investitori istituzionali e la Bce hanno aumentato la loro esposizione in BTp compensando le vendite dei fondi esteri e la freddezza dei risparmiatori retail ma non in misura tale da impedire il significativo aumento dello spread. Il Tesoro in ogni caso non ha avuto difficoltà a rifinanziare il suo debito pubblico. Favorito in questo anche dal fatto che una fetta importante delle aste di quest’anno ha avuto luogo nei primi mesi dell’anno quando ancora lo spread non era salito.
La sfida sarà vedere se e a quali condizioni il Tesoro riuscirà a rifinanziare il suo debito nel 2019. Le emissioni previste sono nell’ordine dei 400 miliardi di euro. Escludendo i BoT ci sono da mettere in conto 260 miliardi di nuovi titoli da emettere a fronte di titoli in scadenza per 200 miliardi di euro.
«In termini assoluti - spiega Luca Cazzulani, strategist di Unicredit sul reddito fisso -non si tratta di un ammontare particolarmente elevato. Specie se si fa il confronto con quanto il Tesoro ha dovuto rifinanziare in passato. Il problema è che, per via dell’incertezza politica, oggi molti investitori istituzionali esteri sono riluttanti a mantenere la loro esposizione sull’Italia. Non bisogna dimenticare poi che nel 2019 verrà a mancare il supporto della Bce, che alla fine dell’anno smetterà di comprare titoli nell’ambito del Qe. Le aste del 2019 non saranno una passeggiata».
BANKITALIA 3
Secondo Carmine de Franco Capo della ricerca fondamentale di Ossiam (gruppo Natixis) l’evoluzione più probabile sarà un maggior contributo degli investitori istituzionali domestici «con l’effetto di rinsaldare quel legame tra banche e rischio sovrano che in questi anni si era cercato di attenuare».
Ma quanto potenzialmente potrà mettere sul piatto l’industria finanziaria nazionale? Stando ai dati Bankitalia l’esposizione in BTp delle cosiddette “main financial istitution” (ossia gli istituti di maggiori dimensioni) ha toccato il suo massimo storico a giugno 2013 toccando quota 426,2 miliardi di euro. Quella delle altre società finanziarie hanno raggiunto il loro picco a quota 472,1 miliardi a marzo 2016. Riportarsi su quei livelli significherebbe investire rispettivamente 32,4 e 24,7 miliardi di euro in più per un totale di 57,1 miliardi di euro. Un simile impegno da parte di banche e assicurazioni non è da dare per scontato. Non bisogna dimenticare che il rialzo dello spread ha conseguenze pesanti sul patrimonio di banche e assicurazioni. Mercoledì Tim Ryan, capo investimenti di Generali, prima compagnia di assicurazioni del Paese, ha fatto capire che l’esposizione in BTp del gruppo (pari a 64 miliardi di euro) è destinata a calare per via dell’impatto derivante dall’aumento dello spread sull’indice di solvibilità della compagnia (100 punti costano 12 punti di Solvency Ratio).
DRAGHI MERKEL
Secondo de Franco i fondi esteri non smetteranno di investire in BTp «anche perché i rendimenti sono estremamente allettanti». Ma cambierà il profilo di chi investe: «è probabile che assisteremo a un maggior attivismo dei fondi hedge, attratti dal ritorno di breve termine, e a un minor interesse da parte di assicurazioni, fondi pensione e fondi di fondi che, dal punto di vista del Tesoro, sono creditori preferibili dato che tendono a tenere i titoli fino alla loro naturale scadenza».
7 – DOOM LOOP, LA ZAVORRA DEI TITOLI DI STATO CHE AFFONDA LE BANCHE. COME SE NE ESCE?
Francesco Lenzi per “Econopoly – il Sole 24 Ore” (14 agosto 2018)
alberto bagnai matteo salvini
Oltre tremila punti, circa il 24%, è quanto ha perso l’indice di Borsa delle banche italiane dal 15 maggio scorso, da quando il rendimento dei titoli di Stato italiani ha iniziato la recente corsa verso l’alto. Il legame inverso tra il rendimento dei buoni del Tesoro ed il valore di Borsa delle banche italiane è qualcosa che è possibile rilevare ormai da diversi anni e che si sostanzia in ciò che è comunemente chiamato “doom-loop” (circolo vizioso) tra banche e titoli di debito pubblico. Un circolo vizioso nel quale all’aumentare del rendimento dei titoli di Stato diminuisce il valore di mercato delle banche che più ne hanno in portafoglio.
Un circolo vizioso che costituisce uno degli elementi alla base delle resistenze dei Paesi del nord di giungere ad una vera e concreta unione bancaria, con un’assicurazione europea sui depositi; perché prima che gli Stati riescano a condividere i rischi, occorre che le banche li riducano.
draghi merkel
Allo stesso modo però, molti Paesi periferici ritengono che la riduzione dei rischi possa avvenire solo attraverso dei meccanismi di condivisione che li tengano al riparo dagli eventi traumatici. Come nel problema dell’uovo e della gallina è difficile giungere ad una soluzione condivisa che stabilisca cosa deve nascere prima, se la condivisione dei rischi o la loro riduzione.
Lasciando alla politica europea il modo di risolvere il dilemma, vediamo però come questo circolo si è venuto a formare e come sia direttamente legato ad un importante pezzo mancante dell’Unione monetaria europea: un safe asset sovranazionale.
La normativa europea sui requisiti di capitale ha assegnato la possibilità alle banche di non accantonare capitale a fronte delle esposizioni che esse detengono verso i titoli di Stato del proprio Paese o degli altri Paesi membri. Considerare che i titoli di Stato di ogni singolo Paese potesse aver lo stesso rischio, e quindi lo stesso rendimento, era la finzione con cui l’Unione monetaria europea è cresciuta fino all’arrivo della grande recessione. Il fatto che non esistesse un safe asset sovranazionale sul quale investire, un titolo sicuro rappresentativo dell’Eurozona nel suo insieme, veniva percepito come un’assicurazione indiretta sui titoli di debito dei vari Stati.
PIAZZA AFFARI
Questa appunto è stata la finzione con cui si è andati avanti fino all’arrivo della grande recessione. La crisi del 2007/2008 ha arrestato i flussi di capitali dal nord europea, facendo emergere le fragilità dei settori bancari di alcuni Paesi periferici, facendo emergere la necessità di un loro salvataggio, ovviamente a carico dello Stato. Irlanda, Portogallo e soprattutto Grecia, i primi Paesi ad esserne colpiti. Si è così cominciato a dubitare della capacità fiscale di questi Paesi, anche perché l’entità del salvataggio era talmente ampia che fu necessario quello che venne chiamato l’aiuto degli altri Paesi membri.
Pressati da un’opinione pubblica alimentata a suon di fannulloni del Sud Europa e Stati spendaccioni, con l’intenzione di limitare l’impegno finanziario che in futuro gli altri Stati avrebbero dovuto offrire a quelli in “difficoltà”, in un memorabile vertice avvenuto nell’ottobre del 2010, l’allora presidente francese Sarkozy e la cancelliera tedesca Merkel dichiararono dinanzi alla stampa internazionale che i privati che hanno investito in titoli di Stato dei Paesi membri potevano in futuro esser chiamati a partecipare ai costi del salvataggio.
TRIA E MOSCOVICI
La finzione era finita, i titoli di Stato dei vari Paesi della zona euro non erano più rischiosi allo stesso modo.
Si riporta che l’allora presidente della Banca centrale europea (BCE) Jean-ClaudeTrichet ammonì la delegazione francese esclamando: “Voi state distruggendo l’euro”. Non aveva certo sbagliato di tanto la previsione, visto che, circa un anno e mezzo dopo, solo la dichiarazione del suo successore Mario Draghi di apertura incondizionata a fare tutto il necessario per salvare la zona euro riuscì ad evitare il collasso.
Il risultato del vertice di Deauville fu il contagio verso gli altri Paesi periferici più grandi: Spagna ed Italia. Andando a vedere i dati dei flussi finanziari con l’estero, tra novembre e dicembre 2010 escono dall’Italia investimenti esteri in titoli di Stato per circa 32 miliardi di euro e depositi esteri presso le banche italiane per circa 150 miliardi.
PIAZZA AFFARI BORSA MILANO
Complice la delicata situazione politica del 2011, gli effetti sui rendimenti dei titoli di Stato non tardarono a manifestarsi. La parola spread entrò a far parte delle aperture quotidiane dei telegiornali. Per tamponare la situazione la BCE impiegò una buona parte delle risorse del Security Market Programme (SMP) sui titoli pubblici di Italia e Spagna, ma l’intervento si dimostrò del tutto inadeguato. Però, sempre nel 2011, la BCE intervenne alzando due volte i tassi d’interesse, con una manovra che ancora in pochi riescono a giustificare.
Da novembre di quell’anno, con l’arrivo del nuovo presidente Draghi, la BCE lanciò un nuovo programma di finanziamento a lungo termine (3 anni), che permetteva alle banche dell’eurozona di rifinanziarsi senza limiti predeterminati presso la banca centrale, presentando adeguati (o anche non così adeguati) collaterali. In questo modo le banche potevano ottenere liquidità dalla BCE, acquistare titoli di Stato, da presentare poi alla stessa BCE per riottenere nuovamente liquidità. Si parlò a suo tempo di banche che preferivano acquistare titoli di Stato piuttosto che prestare all’economia reale, ma era in sostanza un comportamento abbastanza logico se si pensa a quanto capitale (nessuno) il possesso di titoli di Stato assorbe e alla necessità della BCE di favorire i deflussi di liquidità dai Paesi periferici con minori traumi possibili.
BCE FRANCOFORTE
Siamo così arrivati alla nascita del circolo vizioso. Il legame tra banche e titoli di Stato non nasce infatti per decisione divina, ma è il risultato di una serie di eventi che partono dalla volontà/necessità delle banche del nord Europa di non rifinanziare quelle della periferia e dalla decisione di metter fine alla finzione sulla stessa rischiosità dei Titoli di Stato.
La comprensione di questi eventi ci può aiutare ad ipotizzare quale possa essere la soluzione a questo circolo vizioso.
draghi euro
Una prima soluzione, quella immediata, è che si possa in qualche modo far dimenticare cosa è successo in questi anni. Far dimenticare il vertice di Deauville e l’idea che in futuro i possessori di titoli di Stato dei Paesi della zona euro possano incorrere in perdite. Questa soluzione, che magari sembra così impossibile, non è detto che non sia così concreta. I mercati, che così perfettamente prezzano il rischio, già adesso valutano con un minimo scarto il rendimento dei titoli di Stato irlandesi e francesi rispetto a quelli tedeschi, e con uno scarto assolutamente ridotto quelli di Spagna e Portogallo. Non è detto che eliminando credibilmente il rischio di un’uscita dell’Italia dall’euro questo scarto non si riduca considerevolmente anche per le nostre emissioni e che dall’estero ritornino a sottoscriverle in quantità importanti.
QUANTITATIVE EASING DRAGHI
Un’altra soluzione, più complicata, ma che garantirebbe la stabilità del sistema, consiste nel fornire uno strumento sovranazionale sicuro, un safe asset, che sostituisca, in modo permanente e senza traumi nei rendimenti, i titoli di stato dei singoli Paesi. Una soluzione complicata proprio per il grado di condivisione del rischio che necessita (si pensi ad esempio agli Eurobond e le polemiche che la loro discussione ha sempre comportato) e per la gradualità con la quale dovrebbe avvenire.
quantitative easing DOLLARO SIRINGA
Per il momento l’unico safe asset sovranazionale offerto in misura importante alle banche sono le riserve della banca centrale. Attraverso il programma di acquisti PSPP (il Quantitative easing) le banche nazionali hanno modo di cedere alle singole banche centrali nazionali i titoli pubblici in loro possesso e ridurre di conseguenza il doom loop. Una soluzione anch’essa temporanea, che dipende da quanto tempo la BCE deciderà di mantenere in circolazione l’ammontare di riserve create.
Le soluzioni verso le quali siamo indirizzati sono essenzialmente di tipo provvisorio. Soluzioni che risolvono solo temporaneamente il problema, ma che, se dovessero ripresentarsi le stesse condizioni del 2009, non eviterebbero il riattivarsi degli eventi. In un circolo vizioso che non è più solo tra banche e Stati, ma anche tra soluzioni temporanee e rischi di rottura della zona euro, nel quale i Paesi periferici, compresa ovviamente l’Italia, risulterebbero tra i più penalizzati.