Federico Rocca per “Vanity Fair”
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Trucràim non è il suo cognome. Ma Elisa De Marco – 33enne di origini torinesi, come l’accento denuncia nitidamente – da quel True Crime addizionato al nome di battesimo non si separa mai. Né per il suo canale YouTube da 650 mila iscritti, né per il suo profilo Instagram, né per il suo podcast che è riuscito a svettare in tutte le classifiche di streaming, superando da destra voci ben più popolari. Un successo clamoroso, acciuffato in un paio di anni, da quando nel 2020, in pieno lockdown, ha aperto un canale di video nel quale raccontava storie di nera dal suo appartamento di Shanghai.
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«Ci siamo trasferiti lì da Hong Kong per il lavoro di mio marito, che faceva il direttore commerciale per una catena d’abbigliamento. Una settimana dopo il nostro arrivo è scoppiato il covid. Per me era impossibile lavorare: già normalmente, lì, è complicato per i visti, si figuri durante la pandemia. Non sono una abituata a stare con le mani in mano: seguivo molti canali americani di storie criminali, ma quando volevo raccontare a mio marito le vicende che mi avevano colpito di più, lui non ne voleva sapere. Gli mettevano troppa ansia, diceva. Ho pensato: “Sai che c’è? Mi troverò un pubblico che voglia ascoltarle”. E così è stato. Mi è sempre piaciuto, fin da piccola, raccontare storie. Per me tutto può essere una storia».
Suo marito ora la ascolta?
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«Quando abbiamo capito che le cose potevano funzionare, siamo diventati partner in crime. Si è licenziato, ora si occupa del montaggio dei video e di marketing».
E non vivete più a Shanghai.
«Stiamo a Fuerteventura».
Niente male. Una vita in vacanza, praticamente.
«Sì, era quello l’obiettivo. Lavoriamo da casa, potevamo vivere dove volevamo e abbiamo scelto un posto al mare molto bello».
Fa un lavoro che le piace, ha successo, si autogestisce, vive in un posto da sogno.
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«È così».
E nonostante questo la gente non la odia.
«Sembrerebbe proprio di no».
È giovane – ma non giovanissima – ed è la dimostrazione del fatto che in qualsiasi momento ci si può inventare un lavoro e, soprattutto, reinventare una vita.
«Una situazione complicata mi ha permesso di capire che cosa mi piacesse davvero fare, mi ha lasciata libera di esplorare quello che poteva essere un mio talento, al quale non avevo mai pensato. La famosa difficoltà che diventa opportunità.
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Ma quando abbiamo cominciato, ci siamo buttati in quest’avventura dicendoci: “Come va va, godiamoci il momento senza troppe aspettative”». Parliamo da una decina di minuti; cresce, lenta ma inesorabile, la sensazione che il successo di Elisa True Crime sia clamoroso proprio perché, apparentemente, inspiegabile. Brillante, ma pacata, forse distaccata, tutt’altro che esuberante. Una ragazza incredibilmente normale.
Dunque si guadagna bene raccontando storie?
«Si può guadagnare bene, ci viviamo in due».
Come si definisce? Podcaster, youtuber, creator digitale, influencer?
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«Su Instagram ho scritto storyteller, è quello che faccio: racconto storie. Influencer? Bah… Influenzo le persone con quello che dico? In un certo senso sì, sento una responsabilità. Mi interessa diffondere consapevolezza».
In che senso?
«Cerco di trarre una morale dalle storie di cui mi occupo, faccio delle riflessioni, metto in guardia da certi atteggiamenti. Spesso riconosco gli stessi campanelli d’allarme in molti criminali che finiscono per compiere gesti atroci. Chi mi ascolta immagazzina queste informazioni e diventa più “vigile”. Ricevo spesso messaggi di ragazze che grazie a me riescono a riconoscere una relazione tossica nella quale sono finite, e a uscirne. Faccio quello che faccio per questo motivo».
Una specie di missione?
«Anche».
Nella prima stagione del suo podcast, ha raccontato storie di donne, vittime o carnefici. Che idea si è fatta delle donne killer?
«Ha il valore di una generalizzazione – e quindi pochissimo – ma credo che di solito i killer uomini siano più impulsivi, agiscano di pancia. Le donne sono più calcolatrici, forse più fredde».
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Le donne sono più complicate degli uomini?
«Sono più ponderate, potremmo dire».
Che cosa la affascina di queste storie?
«Il loro risvolto psicologico, la mente dei carnefici. Provo sempre a capire che cosa possa scattare, a un certo punto, nelle loro teste. Ma non lo si capisce mai davvero».
Carlo Lucarelli, Franca Leosini, l’immenso Corrado Augias di Telefono giallo… Ha dei modelli di riferimento?
«Loro sono dei miti, hanno una capacità affabulatoria straordinaria. Il mio modo di parlare è più terra terra».
Che cosa la rende diversa dagli altri?
«Credo il propormi come l’amica che ti racconta una storia, in modo semplice, dalla sua cameretta. YouTube in questo aiuta, rispetto alla tv. Mi interessa accorciare le distanze».
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Che cosa prova nello stare in vetta alle classifiche?
«Incredulità: gliel’ho detto, non ho mai grandi aspettative. I miei genitori mi mandavano gli screenshot di Spotify».
Adesso qualche aspettativa può farsela.
«Sto lavorando per la seconda stagione del podcast, nella quale tratterò più casi italiani. Per il canale YouTube vorrei collaborare ancora di più con le famiglie delle vittime».
La tv le piacerebbe?
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«Non lo so, sono felice di ciò che sto facendo».
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