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    "HO 300 UOMINI IN CARCERE"; “STO ADDESTRANDO I MIEI RAGAZZI AD ATTACCHI KAMIKAZE” – CHI È IL 39ENNE BARIS BOYUN, BOSS CURDO DELLA MALA TURCA, ARRESTATO A VITERBO – È SOPRANNOMINATO “FRATELLO MAGGIORE” PER LA SUA RETE CRIMINALE, MA PER I GIUDICI IL SUO GRUPPO HA FINALITA' TERRORISTICHE – BOYUN È STATO AL CENTRO DI UNO SCAZZO TRA ROMA E ANKARA: ERDOGAN AVEVA CHIESTO ALLA MELONI L’ESTRADIZIONE, NEGATA A CAUSA DELLE CONDIZIONI DELLE CARCERI TURCHE PER I CURDI – NEL MIRINO DEL CRIMINALE, CHE GIRA CON UNA PISTOLA D'ORO, ANCHE LO CHEF SALT BAE


     
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    1 - PRESO BOYUN, IL BOSS DELLA MALA TURCA CHE HA FATTO LITIGARE ANKARA E ROMA

    Estratto dell’articolo di Alessio Campana, Giuseppe Scarpa per “La Repubblica”

     

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    Un esercito composto da una cinquantina di poliziotti, in testa i reparti speciali con il volto coperto, in assetto e armati sino ai denti, è calato all’improvviso su Bagnaia, una tranquilla frazione di Viterbo. Un’irruzione condotta all’alba per arrestare uno dei più potenti malavitosi turchi, Baris Boyun, 39 anni, il “Fratello maggiore”.

     

    Un soprannome coniato per la rete di welfare criminale che aveva costruito in patria e che restituisce l’idea della forza economica di cui disponeva: copriva ogni genere di spesa per 300 suoi uomini finiti in carcere tra Istanbul e Ankara.[…] A Viterbo, dopo un’indagine della procura di Milano, è stato portato in prigione insieme allo zoccolo duro della sua formazione: 17 turchi arrestati in diverse città d’Italia con accuse pesantissime, prima tra tutte la banda armata.

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    Il “Fratello maggiore” era a capo di una banda che per finanziarsi agiva su quattro piani: traffico di droga, di armi e di migranti e omicidi. Un business milionario che correva lungo l’asse Europa-Turchia.

     

    Per divenire dominante in patria Boyun non ha esitato a fare scorrere il sangue di gruppi turchi rivali. Sullo sfondo la comune origine curda di molti degli affiliati: l’azione della banda di Boyun tuttavia non era di matrice politica ma puramente criminale. […]

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    L’inchiesta italiana ha evitato che il 21 marzo si consumasse una strage in una fabbrica nella città di Terkirdag: Ankara infatti era stata avvisata di un imminente attacco da parte dei sicari di Boyun al suo acerrimo nemico, Saral Burhanettin, altro criminale di rango. Il “Fratello maggiore” voleva uccidere Burhanettin perché lo riteneva responsabile di un tentativo di omicidio a suo danno, il 18 marzo, mentre si ritrovava ai domiciliari a Crotone.

     

    Anche il famosissimo ristoratore turco Salt Bae era finito nel mirino di Boyun in quanto amico di Burhanettin: un atto intimidatorio andato in scena a Besiktas sempre a marzo.

    Attorno alla figura di Boyun nei mesi scorsi è nata tra Roma e Ankara una tensione diplomatica di non poco conto per la sua mancata estradizione. Per decisione della Corte di appello di Bologna prima, e, il 14 giugno 2023, per conferma della Cassazione. Una decisione motivata dalle condizioni delle carceri turche e dall’origine curda del criminale.

     

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    Boyun era stato arrestato in Italia poiché scoperto in possesso di una pistola oltre che a Milano anche a Rimini. I turchi ne avevano chiesto il trasferimento. Anche il presidente Erdogan in un bilaterale con la premier Giorgia Meloni, a gennaio ne aveva sollecitato la consegna. Una mancata estradizione che ha provocato la reazione dei servizi segreti di Ankara: il Mit (Millî Istihbarat Teskilâti), infatti, ha attivato una rete di spionaggio in Italia reclutando i traduttori turchi che collaborano con le procure italiane per avere informazioni sulle inchieste in corso.

     

    Una mossa sleale scoperta dai nostri apparati, come anticipato da Repubblica un mese fa, che hanno avvisato tutte le forze dell’ordine del Paese di un potenziale rischio per la sicurezza nazionale. Adesso Boyun è in carcere a Milano e, per ora, dovrebbe rimanerci. Senza essere trasferito ad Ankara.

     

    2 - IL KILLER DALLA PISTOLA D’ORO CHE SI SPACCIAVA PER TERRORISTA “PRONTI AD ATTACCHI KAMIKAZE”

    Estratto dell’articolo di Gabriella Colarusso, Massimo Pisa per “La Repubblica”

     

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    Il vezzo era la BB, l’arma personalizzata, una pistola ricoperta d’oro da regalare ai soci più fidati. «C’è la fabbrica. Ho il mio produttore d’armi personale. Non li vendo questi, li do ai miei ragazzi». E di soldati pronti a tutto, la banda di Baris Boyun ne vantava parecchi, a piede libero o meno: «Ho 300 uomini in carcere».

     

    […] Se davvero stava «addestrando i miei ragazzi nelle azioni da Fedayn, attacchi kamikaze» e l’escalation di attentati — uno in Turchia è stato bloccato in fase di avanzata preparazione da questi diciotto arresti — aveva un risvolto politico: «Tutto lo Stato parlerà di noi una volta finito».

     

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    O se invece c’è da credere a chi ha osservato l’intera traiettoria criminale di Boyun, come il giornalista investigativo turco Timur Soykan, autore del libro The Wall , che all’indomani della strage di Loutsa dello scorso 11 settembre (sei gli uomini di Baris sterminati) commentò: “È una storia di globalizzazione della mafia locale turca, l’ultimo anello di una guerra tra bande in Europa”.

     

    Fonti della comunità curda, interpellate da Repubblica , hanno negato un passato o un presente militante del leader della “Banda dei Dalton”. E i dubbi sono venuti agli stessi investigatori dopo l’udienza per l’estrazione in corte d’Appello a Bologna, l’11 aprile 2023, in cui Boyun dovette giustificare la sua scarsa conoscenza del curdo con «lo stress per essere stato in carcere ».

     

    ERDOGAN MELONI ERDOGAN MELONI

    Eppure i proclami del 39enne trafficante hanno impressionato i magistrati del dipartimento Antiterrorismo della Procura milanese — la pm Bruna Albertini e l’aggiunto Eugenio Fusco — e il gip Roberto Crepaldi che ha riconosciuto nell’ordinanza cautelare le finalità terroristiche della banda armata. Colpiti dalla foga con cui il capo incitava da Crotone il commando che avrebbe dovuto assaltare con bombe e bazooka la fabbrica Kurtoglu di proprietà di Saral Burhanettin, a Tekirdag sul Bosforo:

     

    «Siete pronti ragazzi? Buona fortuna in battaglia! Radete al suolo quella fabbrica! Su, passate, leoni!» . Solo l’intervento della polizia turca, avvisata per tempo dalla Questura di Como, aveva sventato la strage arrestando tutti, ma non gli ardori di Boyun, pronto a nuovi assalti: «Tutta la Turchia ne parlerà», profetizzava. Sfidando il potere: «Lo Stato ha finito tutti i capi mafiosi curdi, mentre ha protetto quelli turchi». […]

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    “La finalità del gruppo”, scrive il gip, “non si limita ad una lotta tra clan per il controllo del territorio e delle dinamiche criminali, ma assume natura propriamente terroristica”, con l’obiettivo di “spezzare il legame esistente, sempre nell’ottica di Boyun, tra queste (le bande rivali, ndr ) e lo Stato, orientando i comportamenti delle istituzioni e sostituendosi, evidentemente, a quei legami”.

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