Francesco Semprini per “la Stampa”
MACRON HAFTAR
La telefonata di Donald Trump a Khalifa Haftar del 15 aprile scorso preoccupa gli interlocutori del Governo di accordo nazionale più nel medio termine che nel breve, perché rischia di internazionalizzare il conflitto con interventi diretti di attori stranieri, rendendolo cronico e deflagrante per lo stesso Paese nordafricano. Secondo fonti delle Nazioni Unite il colloquio tra il presidente Usa e l'uomo forte della Cirenaica, che nasce da canali sauditi con legami alla Casa Bianca e, probabilmente, da suggerimenti giunti direttamente dal collega egiziano al Sisi, «ha colto di sorpresa gli stessi americani, a partire dal dipartimento di Stato».
Sebbene l'amministrazione avesse dato luce gialla ad Haftar, previa garanzia del completamento dell' operazione «Diluvio di dignità» in 48 ore e l'entrata pacifica delle truppe della Cirenaica a Tripoli, il colloquio tra i leader di Washington e Bengasi, i cui contenuti per altro sono stati rivelati attraverso canali non ufficiali, «costituisce una complicazione poiché non in linea con la posizione degli Usa» scritta nelle dichiarazioni del Dipartimento di Stato.
KHALIFA HAFTAR
«Trump avrebbe potuto chiamare prima Fayez al-Sarraj presidente riconosciuto dall' Onu e poi Haftar. In secondo luogo accostare il contributo alla lotta contro il terrorismo e per la salvaguardia dei flussi di petrolio al riferimento alla democrazia stride col fatto che in questa guerra c' è un aggressore e un aggredito».
L' impressione, suggeriscono fonti del Palazzo di vetro, è che le parole di Trump abbiano fatto sentire Haftar «legittimato» ad avere mano libera, come confermerebbero il lancio di missili Grad su zone abitate di Tripoli, avvenuto il 16 aprile, giorno successivo al colloquio, così come l' uso di droni emiratini.
LIBIA - MILIZIE DI HAFTAR
«Sul terreno la telefonata non preoccupa tanto nel breve termine, sia perché non ci si attende una conferma di aperto sostegno degli Usa ad Haftar», sia perché il generale, sebbene dica di espugnare Tripoli entro il Ramadan, che inizierà il 5 maggio, deve fare i conti con difficoltà dovute al progressivo squilibrio delle forze in campo e alle linee di approvvigionamento drammaticamente lunghe. Se invece si ragiona sul medio termine, ovvero se questa guerra non avesse sviluppi risolutivi in tempi rapidi, «il conflitto rischia di trasformarsi da guerra per procura in guerra con interventi diretti in territorio.
E, indipendentemente da chi vincerà, questo porterebbe alla fine della Libia».
KHALIFA HAFTAR
In questo contesto, sullo scacchiere diplomatico, è interessante il tentativo francese di riposizionarsi su una linea più vicina quella europea. «Parigi sta capendo che allearsi con sauditi ed emiratini non è funzionale ai propri piani regionali perché si tratta di attori che potrebbero essere pronti a sacrificare la Libia stessa per i propri interessi», anzi farlo significherebbe per loro avere un concorrente in meno dal punto di vista energetico.
fayez al sarraj
La Francia invece, come l' Italia seppur in maniera speculare, vuole una Libia forte per motivi economici e di sicurezza. Occorre capire però quanto questo riallineamento di Parigi sia solo tattico, o quanto sia strategico e sostanziale.