Gianni Santucci per il “Corriere della Sera”
enzo anghinelli agguato via cadore milano
Hanno sparato cinque volte con una pistola calibro 9, la prima pallottola ha fatto esplodere il vetro, e quattro colpi sono passati a pochi centimetri dal «bersaglio», inquadrando comunque il finestrino della Ford station wagon in cui Enzo Anghinelli era seduto al volante. Solo uno di quei proiettili ha però spappolato lo zigomo della vittima, toccando il cervello (l' uomo è ricoverato in coma farmacologico e in condizioni stabili).
Se resterà forse il mistero su come quattro colpi sparati a mezzo metro di distanza siano andati a vuoto, dall' altra parte quella potenza di fuoco dà la certezza che venerdì mattina, poco prima delle 8 in zona Porta romana (semi centro residenziale di Milano), il broker di cocaina dovesse morire ammazzato. A 48 ore dall' agguato, soltanto la sua storia criminale di Anghinelli può rivelare la traccia da seguire per identificare chi ha deciso e realizzato quel (tentato) omicidio.
AGGUATO A ENZO ANGHINELLI
E allora sono fondamentali le date. La vittima esce dal carcere il 23 novembre del 2016 dopo aver scontato 11 anni per traffico di cocaina e, da quel momento fino agli ultimi mesi, cerca di rassicurare un po' tutti: «Ormai faccio una vita regolare». I poliziotti della Squadra mobile credono invece che in questi quasi tre anni Anghinelli si sia rimesso in affari di malavita e di droga, e all' interno di questa rete sia esplosa la controversia all' origine dell' agguato in via Cadore. Il primo scenario sta probabilmente dentro una triangolazione tra legami vecchi e nuovi (forse riattivati, riallacciati) con l' ambiente ultrà della curva del Milan.
Bisogna tornare indietro di quasi una quindicina d'anni: a metà del decennio Duemila «Enzino» Anghinelli è all'apice della sua «carriera», uno dei colonnelli di una rete di traffico di cocaina radicata nei quartieri di Milano Ovest, lavora con clan pugliesi e balcanici, tiene rapporti con nomi di livello della 'ndrangheta. Dunque, ha una reputazione: riconosciuta anche tra alcuni personaggi che sono a cavallo tra mondo ultrà e delinquenza organizzata. È amico di uno dei «governatori» della Curva Sud proprio negli anni in cui sta cambiando la guardia sugli spalti e si arriva al tentativo di estorsione al Milan (2006).
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Una storia di tifo criminale mai interrotta, culminata in un'indagine per traffico di marijuana che nel 2018 ha portato in carcere anche l'ultimo «capo» del gruppo. Se Anghinelli non è stato mai integrato tra gli ultrà, ha però frequentato il «Meazza» di Milano e oggi l'inchiesta sta cercando di verificare se l'affare criminale andato in malora, e che ha determinato la sua «condanna a morte», sia maturato attraverso le sue amicizie in osmosi tra malavita e sponda milanista di San Siro.
Il fatto che Anghinelli si fosse rimesso al «lavoro» ha tra l'altro anche una conferma investigativa, scritta in un'inchiesta della Guardia di finanza chiusa nel novembre scorso e che apre un secondo scenario. Nella notte del 5 maggio 2018 i carabinieri di Settimo milanese (proprio la zona dei clan a cui è sempre stato legato Anghinelli) arrestano l'autista di un Tir appena arrivato da Barcellona e un uomo albanese. I due sono nella zona industriale del paese alle porte di Milano e stanno spostando grossi pacchi tra il camion e un furgone.
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Provano a scappare ma vengono subito fermati. Sulla carta, come dichiarato dalle bolle di viaggio, stanno spostando un carico di lana di vetro: in realtà quella notte i carabinieri sequestrano 206 chili di marijuana e oltre 60 mila euro in contanti. Quel sequestro rientra nell'indagine della Finanza che a novembre si chiude con 13 arresti per traffico di droga tra la Spagna, Milano e la Slovenia. In quell'inchiesta Anghinelli è stato indagato. È la prova che dopo la detenzione ha provato a galleggiare in ambienti balordi vecchi o nuovi, probabilmente di livello inferiore rispetto a quelli del primo tempo della sua vita: ma dove comunque si possono accumulare debiti, crediti o feroci rancori che possano «giustificare» un' esecuzione.
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