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    CHI HA UCCISO MARIA GRAZIA CUTULI? - LA PROCURA CHIEDE LA CONDANNA A 30 ANNI PER DUE AFGHANI CON L’ACCUSA DI CONCORSO IN OMICIDIO DELLA GIORNALISTA AVVENUTO IL 19 NOVEMBRE 2001 - CHI HA ARMATO LA MANO DEGLI ASSASSINI? CHI SONO I MANDANTI?


     
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    MARIA GRAZIA CUTULI MARIA GRAZIA CUTULI

    (ANSA) - La condanna a 30 anni di reclusione è stata chiesta dal Pm Nadia Plastina per i due afgani sotto processo a Roma per l'omicidio dell'inviata del Corriere della Sera Maria Grazia Cutuli, compiuto in Afghanistan il 19 novembre 2001. Alla sbarra (e collegati in videoconferenza da un carcere del loro Paese d'origine) ci sono Mamur, figlio di Golfeiz e Zar Jan, figlio di Habib Khan, entrambi di etnia Pashtun.

     

    Mamur e Zan Jan sono stati già condannati in Afghanistan rispettivamente a 16 e 18 anni di reclusione. In Italia sono sotto processo per le accuse di concorso in rapina (per essersi impossessati, insieme con altri ancora non identificati, di una radio, un computer e una macchina fotografica appartenuti a Cutuli) e di concorso in omicidio. La sentenza sarà pronunciata il prossimo 29 novembre.

     

    MARIA GRAZIA CUTULI MARIA GRAZIA CUTULI

    "Siamo arrivati a ridosso del sedicesimo anno dai fatti - ha detto il Pm nella requisitoria - e ciò rende questo processo non facilmente comprensibile, ma sin dall'inizio c'è stata la volontà chiara dello Stato italiano di procedere e individuare gli autori di questo fatto delittuoso, ma anche di rinnovare il processo in Italia".

     

    Per il Pm, "i delitti per cui si procede sono stati qualificati come delitti politici, e la normativa consente di rinnovare questo processo in Italia". Gli elementi raccolti, per il rappresentante dell'accusa, hanno consentito di accertare che "è stato realizzato un piano organizzato per un bottino. È stata un'azione audace, clamorosa. Mamur ha confessato e ha tirato in ballo Zar Jan. Valutando tutti gli elementi che abbiamo, l'unica ricostruzione possibile è che i due sono i responsabili dei delitti loro contestati, oltre ogni ragionevole dubbio".

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