Paolo Baroni per “La Stampa”
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C'è tanto Nord, dalle aree agricole del Mantovano e del Pavese in Lombardia, al Veneto (con una concentrazione altissima soprattutto nel Vicentino e nel Padovano) e poi tutta la Romagna e molte zone dell'Emilia e ancora il Monferrato e l'alto Cuneese in Piemonte: su 405 località dove lo sfruttamento del lavoro nei campi è più forte, «solo» 191 sono al Sud e nelle Isole, mentre ben 129 si trovano nell'Italia settentrionale.
Questa è la «Geografia del caporalato», come recita il titolo del primo «quaderno» realizzato dall'Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, presentato venerdì scorso alla Sapienza di Roma.
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La costruzione della mappa regione per regione, che in qualche modo sfata il mito del Mezzogiorno come epicentro dello sfruttamento sistematico della manodopera nei campi, è stata effettuata incrociando in maniera rigorosa e scientifica interviste on line raccolte dai sindacalisti della Flai che operano in tutto il territorio nazionale con le singole operazioni di Polizia giudiziaria e le denunce degli stessi lavoratori e del Terzo settore.
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In un Paese dove, stando alle ultime statistiche, quasi 4 dipendenti su 10 risultano irregolari, la regione dove il fenomeno del caporalato è più evidente è la Sicilia, con 53 aree segnalate, a seguire Veneto con 44, quindi Puglia (41), Lazio e Calabria con 39, e poi Emilia (38), Campania (28), Toscana (27), Piemonte (22) e Lombardia 21. In totale: nel Nord Ovest risultano 45 zone, 84 nel Nord Est, 82 al Centro, 123 al Sud e 71 nelle Isole.
«Sfruttamento, caporalato, lavoro irregolare e mancata applicazione dei contratti sono andati assumendo confini geografici sempre più ampi nel nostro Paese, annidandosi anche in comparti caratterizzati da produzioni d'eccellenza con alto margine di profitto e coinvolgendo un numero crescente di lavoratori italiani e stranieri - spiega il segretario generale della Flai Giovanni Mininni -.
Si è radicata così in noi la convinzione sempre più forte che l'azione di denuncia dovesse proseguire e che fosse necessario avviare un percorso volto ad accendere un riflettore su questo fenomeno, per conoscerlo più a fondo e per contribuire a creare gli strumenti adatti a contrastarlo, per tutelare i tanti lavoratori coinvolti ma anche per spezzare l'odioso dumping basato sullo sfruttamento del lavoro, che fa delle aziende regolari altrettante vittime di questo sistema».
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Secondo il prefetto di Reggio Emilia Iolanda Rolli, in passato commissario straordinario a Manfredonia con l'incarico della lotta al sommerso, «dietro al caporalato c'è criminalità e mafia, il caporalato è una lavatrice di soldi.
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Negli ultimi anni sono state portate alla luce situazioni problematiche che confermano come nel settore agricolo italiano lo sfruttamento lavorativo sia radicato e strutturale» e colpisca soprattutto i lavoratori stranieri (il cui numero è in fortissimo aumento) «che versano in condizioni di grave vulnerabilità sociale, costretti a spostarsi tra i diversi ghetti italiani», vivendo così «in luoghi di marginalità, privi di diritti e isolati dalla società».
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Per contrastare questo fenomeno, a parere del prefetto, «è necessario mettere a sistema tutte le azioni, ma bisogna partire dalla conoscenza: occorre conoscere il fenomeno campo per campo, ghetto per ghetto».
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Anche per queste ragioni la Flai ha deciso di mettere a disposizione delle istituzioni e della collettività i risultati delle proprie ricerche. «Il lavoro di condivisione delle informazioni è basilare per contrastare il fenomeno e però - denuncia Mininni - dobbiamo constatare, non senza rammarico, che a distanza di oltre cinque anni dall'entrata in vigore della legge 199 lo Stato non è ancora riuscito a far rete tra le banche dati dell'Ispettorato nazionale del lavoro, dell'Inps, di Agea, così come prescritto dalla legge.
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Una lacuna grave da parte delle istituzioni, a volte prigioniere di burocrazie troppo farraginose, che non permettono di trovare la giusta modalità per mettere in campo un'azione veloce ed efficace, mentre la criminalità si muove e prospera con enorme rapidità».
Secondo Mininni è infatti «fondamentale non abbassare la guardia, in particolare in questa difficile congiuntura economica determinata dalla pandemia, perché quest'ultima non diventi ulteriore elemento di giustificazione per perpetrare illeciti e sfruttare i lavoratori».