Mario Ajello per "il Messaggero"
letta stallone rocky
Enrico Letta si sente forte. E gioca all'attacco. Stronca i referendum («Diremo no a quello contro la legge Severino e contro la custodia cautelare, e sugli altri farà le leggi il Parlamento»), annuncia (a dispetto di Calenda) che «con M5S il rapporto durerà» e sfida Salvini e Meloni: «Non lasceremo l'Italia in mano a loro due, nel 2023 vinciamo noi».
Fa il duro l'Enrico, ed è già in piena campagna elettorale. Le politiche del prossimo anno sono il colpo grosso di cui ha parlato nella direzione di ieri. I 5 stelle saranno nella coalizione progressista.
«Continueremo nell'alleanza con M5S. C'è un rapporto politico, cementato durante l'emergenza Covid, che dura e durerà». Letta ha detto la stessa cosa a Conte, ieri, quando i due leader si sono sentiti al telefono.
enrico letta
Ovvero, caro Giuseppe non ti lasceremo: «E Calenda se ne farà una ragione. Ho di lui massima stima e considerazione, e capirà che la sua politica non potrà che essere in alleanza con noi». Questo sarà tutto da vedere.
LA PAX INTERNA
Intanto, Letta si muove come segretario dem forte di un consenso interno, ossia di una pax tra le correnti, che nessuno dei suoi predecessori ha potuto vantare. E vuole sfruttare questa condizione.
«Al momento di fare le candidature guarderò ognuno negli occhi. Se vedo in una persona lo sguardo della tigre, la metto in campo. A chi mostra invece soltanto l'istinto di sopravvivenza e la voglia di pareggiare, io da allenatore di questo squadra lo metto in panchina».
sylvester stallone rocky iv
Si atteggia a re della giungla l'Enrico. Ma è lo stesso che viene descritto, da chi lo conosce bene, preoccupato per la tenuta dei 5 stelle. Che alle comunali potrebbero precipitare al 5 per cento a livello nazionale e rendersi superflui o quasi, tranne forse che a Genova (dove già è stata stretta l'alleanza rossogialla) e a Palermo, e a quel punto la leadership di Conte (ammesso che superi nel frattempo il verdetto dei giudici) sfumerebbe ben prima del 2023.
«Io non capisco perché tanto accanimento dei media verso Conte - è quel che dice spesso ai suoi il segretario - quando si tratta invece di un politico responsabile e tutt' altro che estremista».
GIUSEPPE CONTE CON ENRICO LETTA
Ma se Conte non dovesse reggere, per il Pd e soprattutto per i suoi possibili alleati compreso Calenda l'alleanza verrebbe più facile con un movimento eventualmente guidato da Di Maio, il quale è ormai un politico normalizzato e consapevole che le battaglie identitarie - taglio del numero e degli stipendi dei parlamentari e reddito di cittadinanza - ormai ci sono e non resta che fare riforme compatibili con tutti gli altri.
sylvester stallone rocky iv
Insomma Letta dialoga con Conte finché c'è Conte ma dopo di lui - così ragionavano riservatamente ieri al Nazareno molti dem - il rapporto con i 5 stelle potrebbe diventare più fluido e più potabile anche per Calenda, Renzi e pezzi di centro essenziali per battere Salvini e Meloni.
E' al 2023 che va sempre a parare il suo discorso di Letta. Con delle tappe intermedie però. «Alle comunali di questa primavera faremo le alleanze più larghe possibili»: ovvero da Calenda a Conte, se si riesce. Poi le regionali di autunno in Sicilia e per tirare la volata al Pd - ecco l'annuncio del segretario - «la festa nazionale dell'Unità questa estate la faremo a Palermo».
GLI EVENTI
I passi di avvicinamento alla sperata vittoria del 2023 - con questa legge elettorale o un'altra: «Pronti a sederci al tavolo con il centrodestra» per il proporzionale - per ora sono due: i Sassoli Camp, ossia 10 appuntamenti tematici contemporaneamente in 10 parti d'Italia dove sintetizzare le idee che stanno emergendo dalle Agorà democratiche, e successivamente la Festa nazionale delle Agorà democratiche dove sarà messo a punto il programma elettorale. Dopo di che vinca il migliore e i migliori siamo noi, è il ruggito di Enrico la Tigre.
2 - LETTA AVVERTE I SUOI "STOP ALLE DIVISIONI UN PARI NON BASTA"
Carlo Bertini per "la Stampa"
enrico letta
«Io sarò l'allenatore della squadra e chi non avrà gli occhi di tigre resterà in panchina», spara il colpo Enrico Letta, prima che gli smartphone vengano invasi dal precipitare della crisi Ucraina. Sferza così chi «si acconcerebbe ad un pareggio», quelli che vorrebbero Draghi ancora a capo di un altro governo di larghe intese.
Usando una sequenza da amanti del cinema muscolare, quella in cui Apollo Creed dice a Rocky Balboa che stavolta ha perso perché non è «arrabbiato» e che deve ritrovare «quegli occhi di tigre» per vincere. Metafora che buca lo schermo sonnolento della Direzione Pd e accende le antenne dei 120 e passa riuniti da remoto per fare il punto dopo la parentesi Colle.
STALLONE OCCHI DELLA TIGRE
Un avvertimento a sorpresa sulle future candidature quello di Letta: a chi non digerisce l'asse con i 5stelle, come l'ex capogruppo Andrea Marcucci; e a chi caldeggia, come gli stessi renziani dem e Carlo Calenda, grandi intese dopo il 2023: con quelle, spiega il leader ai suoi, non si potrebbe mai approvare il ddl Zan, lo ius soli, il fine vita, il salario minimo, un fisco progressivo.
«Una democrazia sana funziona sull'alternanza centrodestra-centrosinistra». E se nelle parole del segretario qualcuno potrebbe leggere una bacchettata pure a Goffredo Bettini che invoca una Lega de-sovranizzata, lo stratega dem chiarisce che «spingere perché a destra emergano processi di evoluzione democratica, non significa per carità voler fare un governo con la Lega, ma solo avere un partito più affidabile ed europeista».
simona malpezzi enrico letta debora serracchiani
Basta con litania del Pd diviso Le correnti comunque sono avvisate, «serve un messaggio vincente e non sporcato dal rumore di fondo delle polemiche interne continue». Insomma, basta con la litania «di un Pd diviso». Lo dice mentre conferma l'asse con M5s, «c'è e ci sarà», facendo capire che non accetta veti verso nessuno: «Abbiamo l'ambizione di vincere e non di sopravvivere per acconciarsi al governo domani. E se vedrò occhi di chi vuole vincere lo metterò in campo, se vedrò voglia di pareggiare, meglio stare in panchina un giro».
andrea marcucci.
Franceschini capisce al volo Ecco qui, tutti serviti i malpancisti e quelli che vogliono votare solo per rinnovare i gruppi parlamentari e ottenere un posto a tavola. Ma c'è un ancora di salvezza, visto che nel suo Pd «chi ha fatto bene il suo lavoro per la squadra è stato valorizzato a prescindere dalle provenienze». Dunque niente pregiudizi. Come al solito, il primo a cogliere il messaggio al volo è l'ex «fratello-coltello» (cosiddetto per la celebre svolta pro Renzi ai tempi di Letta premier) Dario Franceschini, ministro della Cultura: che lancia un tweet per garantire al segretario che la sua forza sarà avere alle spalle «un partito unito».
Tradotto, la corrente Areadem è pronta a schierarsi con il leader, data pure l'analogia di posizionamento politico: un forte ancoraggio con i grillini e dialogo aperto con i centristi ma senza vassallaggi.
Cinque referendum, due no
carlo calenda a l'aria che tira
E in un summit di prospettiva, ecco la linea sui referendum di primavera. «Nessun cedimento al finto garantismo, non facciamoci trascinare in una guerra tra politica e magistrati», è il pensiero di Letta. Che conferma i due no sulla giustizia, sull'abolizione della legge Severino e delle misure cautelari per la reiterazione del reato. «Se le cose non cambieranno di qui ai referendum, io proporrò al partito di votare no, perché l'abrogazione porterebbe molti più danni rispetto ai piccoli benefici».
LETTA RENZI
Una posizione che soddisfa l'anima dem più allineata con i grillini: che voteranno cinque «no», mentre Letta annuncia che sugli altri tre referendum sulla giustizia voterà «sì». Un bilanciamento che piace anche all'anima liberal, come dimostrano le parole di Andrea Romano, della corrente che fa capo a Lorenzo Guerini, Base Riformista. Sostenitore, in buona compagnia, di una nuova legge proporzionale, così come la sinistra di Orfini e Verducci. Un tema sfiorato dal leader solo per far sapere che è pronto a sedersi al tavolo con le altre forze.
Mentre più in primo piano è la battaglia sociale. Oltre allo ius soli e al ddl Zan, Letta mette al centro della campagna di primavera i temi più sentiti dalla gente, le priorità del Pd: delega fiscale, concorrenza e appalti. «Perché la crescita - fa notare il suo vice Peppe Provenzano - da sola non risolve la questione sociale, il cui epicentro è il lavoro, quindi va fatta una battaglia per il salario minimo. Sapendo che l'inseguimento al centro è stato tra le ragioni della nostra sconfitta storica del 2018». Qualunque riferimento a Matteo Renzi è voluto...
ENRICO LETTA enrico letta.