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    CHI S'ASPETTA UN CAZZIATONE DI MATTARELLA AI PARTITI, NEL DISCORSO DI INSEDIAMENTO, RIMARRA' DELUSO - MARZIO BREDA: "CERTO, GIOVEDÌ POMERIGGIO A MONTECITORIO QUALCHE CRITICA LA FARÀ ECHEGGIARE. MA SENZA TONI MELODRAMMATICI, PREFERENDO SCIVOLARE SUL PIANO DELL'INCORAGGIAMENTO E DELLA RESPONSABILIZZAZIONE COSTRUTTIVA. MATTARELLA VORRÀ CONCENTRARSI MENO SULL'ATTUALITÀ E PIÙ SULLE PROSPETTIVE A MEDIO-LUNGO TERMINE DEL PAESE…"


     
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    sergio mattarella mattarella bis sergio mattarella mattarella bis

    Marzio Breda per il "Corriere della Sera"

     

    Il suo messaggio non sarà sintetizzabile nella formula «la mia rielezione è la vostra crisi», come disse - anche se non alla lettera - Giorgio Napolitano il 23 aprile 2013, denunciando l'impotenza del sistema politico. Avrà altri contenuti, perché non crede che stavolta ci sia bisogno di censurare con dure parole, dopo quelle liquidatorie già rimbalzate su social e media, quanto è andato in scena sotto gli occhi degli italiani la scorsa settimana in Parlamento. Altrimenti si sfiorerebbe il sadismo, cifra espressiva che non gli appartiene.

    la rielezione di mattarella sul guardian la rielezione di mattarella sul guardian

     

    Nel proprio discorso di reinsediamento, giovedì pomeriggio, Sergio Mattarella non dovrebbe dunque formulare un nuovo inventario di «ritardi, omissioni, chiusure, sordità, tatticismi, guasti e inconcludenze», come quello pronunciato dall'allora capo dello Stato, che si ritrovò oggetto di trenta surreali e lunghi applausi dopo quel punitivo j' accuse. Certo, giovedì pomeriggio a Montecitorio qualche critica il presidente la farà echeggiare. Ma secondo il proprio stile, che non contempla toni melodrammatici e che tende a non calcare troppo la mano sulla denuncia, preferendo semmai scivolare sul piano dell'incoraggiamento e della responsabilizzazione costruttiva.

     

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    Tanto più che in questo caso il Parlamento ha risolto, chiedendo due votazioni al giorno e imponendosi sulle leadership politiche - loro sì incartate come raramente si era visto - con il risultato di impedire un blocco istituzionale dato da tutti come probabile. Per chi ama cimentarsi nei paragoni, ci sono poi altri elementi di notevole diversità tra l'avvio del bis al Quirinale di Napolitano e quello che ora Mattarella si prepara a inaugurare. Il suo predecessore si trovava nelle fasi iniziali di una legislatura difficile, e perciò si sentiva legittimato a dettare un vero e proprio programma di governo.

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    Mentre il presidente appena riconfermato vorrà ragionare su un arco lungo, e infatti di qui al 2029, quando il suo incarico scadrà, avrà attraversato ben tre legislature. Ciò che lo spingerà a concentrarsi meno sull'attualità e più sulle prospettive a medio-lungo termine del Paese, proiettandosi così inevitabilmente su un futuro appunto non breve. Un'altra cosa che non dovremmo aspettarci, nel testo programmatico che sarà letto dall'appena confermato capo dello Stato davanti ai 1.009 grandi elettori prima del suo rientro al Colle, è una forte pressione sulle riforme.

     

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    La esercitò Napolitano, investendo addirittura un comitato di saggi del compito di studiarle e prepararne un profilo di fattibilità, ciò che indusse alcuni costituzionalisti a storcere il naso, perché le riforme, si sa, sono stretta competenza delle Camere. Questo tema Mattarella lo affrontò al momento della sua prima elezione, sette anni or sono, ma soltanto perché un processo riformatore era stato da tempo avviato e gli sembrava opportuno che fosse portato a termine (e tutti ricordiamo che quel percorso in effetti si completò con il tentativo di modifica costituzionale fatto approvare da Matteo Renzi e in seguito bocciato da un perentorio no al referendum).

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    Per il resto, il modo con cui ha interpretato il ruolo testimonia che Mattarella non si è mai permesso - al pari di Carlo Azeglio Ciampi, per esempio - di suggerire ad altri organi costituzionali che cosa dovessero fare, e come. Non lo ha fatto per la semplice ragione che non è compito suo, mentre invece gli compete «segnalare» le attese della gente.

     

    E indicare sulle cose concrete qualche linea di «alto indirizzo», di sicuro non delle scelte di merito. Indicazioni che valgono pure per il connesso tema dell'elezione diretta dei presidenti, questione tornata in auge proprio a causa di com' è stata condotta questa elezione, tra manovre, intrighi e veti incrociati.

     

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    Ne discutono ormai tutti e senza più considerarlo un tabù: opinione pubblica, giuristi e politici, specie del centrodestra. Mattarella ne è consapevole, anche se è difficile che se ne senta toccato. Da studioso della nostra Magna Charta sa che sarebbe un'impresa impervia affrontare tale problema, anche se i tempi paiono maturi a molta gente. Implicherebbe infatti un ripensamento profondo degli organi dello Stato e dei pesi e contrappesi che li regolano.

     

    Una partita che sconfina con certe azzardate e maliziose teorie secondo le quali già ora si starebbe realizzando una sorta di «presidenzialismo di fatto», con Mattarella al Quirinale e un suo avatar, cioè Draghi, a Palazzo Chigi. Meglio non parlarne neppure, sul Colle.

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