Jacopo Iacoboni per la Stampa
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Il generale del Cremlino, portavoce della Difesa e dei servizi segreti militari della Russia (il GRU), che nell’aprile di due anni fa minacciò La Stampa per una serie di inchieste sulla missione di “aiuti” russi sul Covid, Igor Konashenkov, è stato inserito l'8 aprile nella lista delle sanzioni totali dell’Unione europea, contro oligarchi russi e alti burocrati dell’apparato putiniano, che prevedono il congelamento immediato di tutti gli asset e il divieto di viaggio e ingresso su suolo europeo.
Konashenkov e il Cremlino, alla fine di una escalation di attacchi contro La Stampa tra il marzo e l’aprile del 2020 (cominciata da una lettera molto virulenta dell’ambasciatore a Roma Serghey Razov), emisero la loro sentenza: «Qui fodit foveam, incidet in eam (Chi scava la fossa, ci finisce dentro)».
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Il generale – che è uno dei quattro uomini intitolati per la Russia a parlare della guerra in Ucraina, assieme a Vladimir Putin, Serghey Shoigu, Valery Gerasimov - viene adesso sanzionato perché ritenuto un coordinatore di disinfo ops della Russia contro l’Europa. Nella direttiva dell’Ue si legge: «Nella sua posizione di primo portavoce del ministero della Difesa russo è responsabile di aver manipolato informazioni e diffuso disinformazione in merito alle azioni militari russe in Ucraina».
Konashenkov poi «ha promosso un atteggiamento positivo verso l'aggressione militare russa non provocata nei confronti dell'Ucraina, l'annessione della Crimea e le azioni dei separatisti nel Donbas, ha ritratto la situazione in Ucraina in modo parziale e diffuso disinformazione sulle attività ucraine e occidentali. Pertanto, è responsabile di sostenere o realizzare azioni o politiche che compromettono o minacciano l'integrità territoriale, la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina, o la stabilità o la sicurezza in Ucraina».
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Si tratta di un uomo con responsabilità molto rilevanti nella macchina bellica di Putin. Qui possiamo solo citare le sue ultime uscite. Spesso così rozze da essere immediatamente debunkate. Proprio ieri l’altro, in un briefing del Ministero della Difesa russo, ha accusato i servizi ucraini di aver pianificato una provocazione in un impianto chimico vicino a Kharkiv: «l'impianto Khimprom vicino a Kharkiv – ha fatto però rilevare Nexta tv, uno dei collettivi giornalistici migliori sulla guerra all’Ucraina - non esiste più da ben 10 anni». La rozzezza si sposa con proclami di enorme violenza. Il 29 marzo, cinque giorni dopo l’inizio dell’invasione russa, Konashenkov ordinò ai militari russi: «I capi del regime di Kiev e i loro tirapiedi» devono essere «rintracciati e inevitabilmente e adeguatamente puniti».
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Konashenkov è stato quello che ha detto che la strage di Bucha era stata una messinscena. E che ieri sosteneva che gli ucraini stanno organizzando una «analoga, cinica messa in scena» in uno scantinato a Irpin, «organizzata per far circolare ulteriormente il filmato attraverso i media occidentali». D’altra parte il generale (che fu inviato in Siria) non esitò a dire, nell’ordine: che i bombardamenti che rasero al suolo Aleppo erano una risposta all’uso di gas dei terroristi (è provato che i gas furono usati, a Ghouta, ma da Assad); che, a inizio marzo, lui ha le prove che Ucraina e Stati Uniti stanno sviluppando armi chimiche in Ucraina; e che «l'Occidente addestra uccelli migratori per diffondere virus in Russia».
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