Giuseppe Liturri per “La Verità”
le big four delle consulenze
Sapete chi ha «aiutato» l'Italia a scrivere le riforme del mercato del lavoro, con fattura gentilmente pagata dalla Commissione? Il gigante internazionale della consulenza Ey. E chi ha collaborato col Belgio per la progettazione della riforma fiscale? L'altro gigante Pwc. Che però, secondo le rivelazioni dello scandalo Luxleaks, assieme alle altre «big four» ha anche fornito a 340 multinazionali gli strumenti (complessi schemi societari) per evitare il pagamento delle tasse. Stessa cosa è accaduta all'Estonia e alla Francia.
Nulla di illecito, ci mancherebbe. Ma il problema resta ed è enorme, al punto che martedì scorso ben 73 europarlamentari hanno scritto e firmato una ben dettagliata lettera alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e al vice presidente esecutivo Valdis Dombrovskis esprimendo preoccupazione circa le notizie rivelate dal sito Euractiv.com lo scorso 18 e 19 marzo e chiedendo ben dettagliate spiegazioni.
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Tutto nasce dal programma per il sostegno alle riforme strutturali, lanciato dalla Commissione nel 2017, con l'obiettivo di fornire assistenza tecnica agli Stati membri per la progettazione delle riforme strutturali.
A questo scopo, la Commissione metteva a disposizione sia risorse interne che esterne provenienti da organizzazioni internazionali e società private di consulenza. Si è passati in pochi anni da una «modesta» spesa di 22 milioni nel 2017 a 85 milioni nel 2020 (462 milioni complessivi nel periodo 2016-2019) e una spesa prevista nel prossimo settennio di 864 milioni.
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E la quota di questa spesa assorbita dalle «big four», inizialmente insignificante, nel 2019 è stata pari a quasi un terzo del totale. Il problema non è quello della congruità della spesa rispetto ai servizi forniti: nessuno mette in dubbio la professionalità di queste grandi firme della consulenza internazionale.
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C'è piuttosto un enorme problema di opportunità e di potenziale conflitto di interessi su materie particolarmente delicate come fisco, sanità e lavoro. Tutti i lavori prima elencati comportano l'emissione di importanti raccomandazioni relative alle scelte politiche.
MARIO DRAGHI MCKINSEY
Nonostante il portavoce della Commissione abbia puntualizzato che i consulenti non sono responsabili di scelte politiche, i dubbi non sono fugati. Non si tratta solo di fare lavori di ricerca o comparazione di alternative, ma si termina spesso con specifiche prescrizioni che non possono essere affatto neutrali, ma necessariamente portano con sé l'appartenenza a ben determinate scuole di pensiero.
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La scienza, soprattutto quella economica, non è mai neutrale e le conclusioni a cui giunge sono sempre il risultato di ipotesi e metodi di analisi caratterizzati da elevata discrezionalità. La questione è talmente importante che, oltre all'attenzione dei parlamentari, aveva già coinvolto l'ombudsman europeo Emily O'Reilly - che aveva puntato i riflettori su un contratto di consulenza a Black Rock - e la Corte dei Conti della Ue che dovrebbe anche pubblicare un rapporto all'inizio del prossimo anno.
Il presidente del gruppo dei Verdi all'Europarlamento, Philippe Lambert, non ha avuto peli sulla lingua nell'identificare i rischi: «Non si tratta di dipendenti che ragionano su basi scientifiche in modo indipendente, ma la gran parte sono laureati nelle business school, la cui formazione è stata guidata dall'unico credo neo liberista, che si è rivelato essere sbagliato».
PWC
Accanto al problema del sottile confine esistente tra consulenza e prescrizioni di politica economica, la cui violazione è altamente probabile, c'è il tema del conflitto di interessi. È noto che queste società di consulenza hanno anche tra i loro clienti le più grandi imprese private.
Ed è evidente che il patrimonio di conoscenze acquisito lavorando con i governi su temi di politica fiscale, del lavoro o di innovazione tecnologica è spendibile anche come know-how lavorando sul fronte privato.
PWC
Il caso di McKinsey, riportato nell'inchiesta, è emblematico. Se lavori per la Commissione, con un congruo onorario di 966.000 euro, per aiutare le Pmi a sfruttare i vantaggi dell'intelligenza artificiale, poi è molto più facile consulenza alle imprese sullo stesso argomento.
Proprio McKinsey ha incassato 5,5 milioni dalla Commissione a partire dal 2016. Se il quadro, non proprio tranquillizzante, è questo, allora i parlamentari chiedono che la Commissione «intraprenda interventi incisivi per evitare il rischio di un'indebita influenza delle società di consulenza nelle sue decisioni e nella progettazione delle riforme strutturali in settori delicate delle politiche pubbliche».
Inoltre chiedono di spiegare perché la quota di consulenze affidate all'esterno sia cresciuta così tanto negli ultimi anni con un dettagliato riepilogo delle spese effettuate dal 2016.
ursula von der leyen
Infine, invitano la Commissione a valutare la convenienza di pagare consulenze rispetto all'assunzione di personale e, per chiudere, chiedono che l'affidamento di questi lavori sia preceduto da un vaglio rigoroso per impedire il sorgere di conflitti di interessi.
Quando, qualche settimana fa, spiegavamo che il problema non erano i quattro spiccioli pagati dal Mef a McKinsey ma la evidente «impronta ideologica» lasciata da queste società sulla definizione delle famose riforme strutturali con cui si angoscia il nostro Paese da anni, non immaginavamo di avere delle conferme così tempestive.