Maria Vittoria Giannotti per la Stampa
ciclismo
L' ombra del doping torna ad allungarsi sul mondo del ciclismo dilettantistico. A scoprire un giro di sostanze proibite, somministrate ad atleti spesso giovanissimi, è stata un' inchiesta della Procura di Lucca: sei persone, tra cui i vertici della Altopack Eppela, uno dei principali team sportivi dilettantistici italiani, sono finite ai domiciliari, mentre gli indagati sono in tutto diciassette.
Le indagini sono partite nel maggio scorso, all' indomani della morte di Linas Rumsas: il giovane campione, di origine lituana, 21 anni e figlio d' arte, era stato trovato morto nella sua abitazione, apparentemente stroncato da un malore. Mesi di pedinamenti e intercettazioni della squadra mobile hanno fatto emergere un' organizzazione ben collaudata che provvedeva a procurare e somministrare abitualmente i farmaci proibiti: Epo in microdosi, ma anche antidolorifici a base di oppiacei e ormoni della crescita.
DOPING LABORATORIO
Secondo gli inquirenti, era Luca Franceschi, proprietario del team lucchese, ad ingaggiare gli atleti più dotati, incoraggiandoli poi a prendere sostanze dopanti per correre di più. A occuparsi delle modalità di somministrazione era invece Elso Frediani, il direttore sportivo della squadra, ma poi, una volta che questi si era allontanato, il ruolo di consulente era poi passato a Michele Viola, ex corridore e preparatore atletico del team. L' inchiesta ha coinvolto anche un farmacista che riforniva gli atleti senza la necessaria ricetta medica. Le somministrazioni avvenivano a casa dei genitori del proprietario: è qui che gli sportivi si davano appuntamento immediatamente dopo le gare per assumere i farmaci in via endovena ed essere più "forti" nelle competizioni successive.
Un video girato dagli investigatori mostra come le sostanze venivano nascoste nel frigorifero di casa.
CICLISMO
Le intercettazioni sono eloquenti e svelano come il ricorso al doping fosse diffuso nella squadra: «Se lo fai nella pancia, il problema è che se si aggancia a una pallina di grasso, che resta devi farla in vena sotto il braccio lì non c' è grasso, puoi farne anche quattro intere», spiegava un corridore a un compagno. A essere coinvolto anche un avvocato penalista con l' hobby delle due ruote: pur non essendo difensore di nessuno degli indagati, aveva fornito consigli per eludere le indagini. Ma lui stesso, davanti alla rivelazione che il doping veniva somministrato ai giovanissimi, da lui definiti «bimbetti» si sarebbe scandalizzato.
DOPING
Nel corso delle perquisizioni, sono stati trovati farmaci e siringhe. Perquisita anche l' abitazione di Raimondas Rumsas, ex campione di livello internazionale e padre del giovane ciclista deceduto: lo scorso gennaio il fratello maggiore, anche egli promessa del ciclismo, è stato trovato positivo al doping e denunciato per frode sportiva e sospeso dalle competizioni agonistiche per quattro anni.
L' ombra del doping torna ad allungarsi sul mondo del ciclismo dilettantistico. A scoprire un giro di sostanze proibite, somministrate ad atleti spesso giovanissimi, è stata un' inchiesta della Procura di Lucca: sei persone, tra cui i vertici della Altopack Eppela, uno dei principali team sportivi dilettantistici italiani, sono finite ai domiciliari, mentre gli indagati sono in tutto diciassette.
Le indagini sono partite nel maggio scorso, all' indomani della morte di Linas Rumsas: il giovane campione, di origine lituana, 21 anni e figlio d' arte, era stato trovato morto nella sua abitazione, apparentemente stroncato da un malore. Mesi di pedinamenti e intercettazioni della squadra mobile hanno fatto emergere un' organizzazione ben collaudata che provvedeva a procurare e somministrare abitualmente i farmaci proibiti: Epo in microdosi, ma anche antidolorifici a base di oppiacei e ormoni della crescita.
DOPING
Secondo gli inquirenti, era Luca Franceschi, proprietario del team lucchese, ad ingaggiare gli atleti più dotati, incoraggiandoli poi a prendere sostanze dopanti per correre di più. A occuparsi delle modalità di somministrazione era invece Elso Frediani, il direttore sportivo della squadra, ma poi, una volta che questi si era allontanato, il ruolo di consulente era poi passato a Michele Viola, ex corridore e preparatore atletico del team. L' inchiesta ha coinvolto anche un farmacista che riforniva gli atleti senza la necessaria ricetta medica. Le somministrazioni avvenivano a casa dei genitori del proprietario: è qui che gli sportivi si davano appuntamento immediatamente dopo le gare per assumere i farmaci in via endovena ed essere più "forti" nelle competizioni successive. Un video girato dagli investigatori mostra come le sostanze venivano nascoste nel frigorifero di casa.
Le intercettazioni sono eloquenti e svelano come il ricorso al doping fosse diffuso nella squadra: «Se lo fai nella pancia, il problema è che se si aggancia a una pallina di grasso, che resta devi farla in vena sotto il braccio lì non c' è grasso, puoi farne anche quattro intere», spiegava un corridore a un compagno. A essere coinvolto anche un avvocato penalista con l' hobby delle due ruote: pur non essendo difensore di nessuno degli indagati, aveva fornito consigli per eludere le indagini. Ma lui stesso, davanti alla rivelazione che il doping veniva somministrato ai giovanissimi, da lui definiti «bimbetti» si sarebbe scandalizzato.
ciclismo
Nel corso delle perquisizioni, sono stati trovati farmaci e siringhe. Perquisita anche l' abitazione di Raimondas Rumsas, ex campione di livello internazionale e padre del giovane ciclista deceduto: lo scorso gennaio il fratello maggiore, anche egli promessa del ciclismo, è stato trovato positivo al doping e denunciato per frode sportiva e sospeso dalle competizioni agonistiche per quattro anni.
2. IL DOPING DILAGA FRA I RAGAZZINI
Matteo Indice per la Stampa
DOPING
L' Italia è un Paese di «atleti medicalizzati», per dirla con l' ultimo dossier sulla diffusione del doping fra amatori e giovanissimi, le branche meno controllabili. Significa che tra i praticanti della domenica, anche chi non osa superare l' asticella della legge imbottendosi di veleni, difficilmente rinuncia all' aiutino sottoforma di farmaco o super-integratore: lo fa il 75% degli sportivi controllati dalla Commissione di vigilanza istituita al ministero della Salute, che lavora con il Coni e i carabinieri del Nas.
Non solo. Gli studi dell' ultimo biennio certificano come il 2017 abbia segnato una ripresa degli esiti «positivi» nei test compiuti dopo competizioni dilettantistiche; un' occhiata speciale va data alle nuove discipline che mescolano atletica e body-building (powerlifting, beachtrail, crossfit) e il Lazio s' impone come «laboratorio» del doping grezzo prodotto in farmacia su richieste mediche «irripetibili».
CICLISMO
Qui avviene infatti il 25% delle «preparazioni galeniche a base di agenti anabolizzanti», che i farmacisti possono legittimamente smerciare in presenza d' una prescrizione (quanto cristallina non lo possono sapere) comunicando poi numeri al ministero stesso. «Ormai - spiega Carlo Tranquilli, che è stato medico della Nazionale di calcio Under 21 e membro del pool ministeriale anti-doping - la difesa dei settori all' apparenza meno esposti dovrebbe essere una priorità e non si può passare solo dalla repressione. Devono cambiare mentalità allenatori, genitori, coloro che potrebbero infondere il concetto di meritocrazia in campo o in pista.
Doparsi per ansia da prestazione e non per soldi come fa un professionista, è peggio».
A metà luglio aveva definito «crimine contro l' umanità» la somministrazione di anabolizzanti a un ciclista quattordicenne, svelata da un controllo a sorpresa.
Vanno fissati alcuni paletti.
DOPING - CICLISMO DILETTANTI
I professionisti e in generale chi partecipa a competizioni strutturate, ai massimi livelli delle proprie federazioni, sono monitorati dalla Nado, organizzazione nazionale antidoping emanazione diretta dell' agenzia mondiale Wada. Nado ha eseguito nel 2016 (ultimo dato disponibile) 7790 controlli, con «esiti avversi» riscontrati nell' 1,3% dei casi: il record degli accertamenti (2304, 0,2% positivi) è avvenuto nel calcio, 1014 (1,47% positivi) hanno riguardato il ciclismo.
E però sono poco emblematici di quanto i farmaci proibiti abbiano contagiato coloro che non fanno sport per lavoro o quasi. Ecco allora che per orientarsi nel mare magnum dei comuni mortali bisogna rifarsi alle statistiche dell' Istituto superiore di Sanità, che fornisce il supporto scientifico alla commissione ministeriale, in pratica il vero servizio pubblico anti-doping.
DOPING
Primo elemento: nel 2014 erano stati eseguiti 1427 rilievi su competizioni amatoriali o giovanili, nel 2016 «solo» 806, mentre la proiezione sul primo semestre 2017 indica un lieve incremento. I costi di un esame variano fra i 500 e i 1000 euro, ed è un freno importante. Il consuntivo ci racconta che due anni fa il 2,8% degli atleti, dilettanti e in alcuni casi baby, è risultato positivo, mentre nei primi sei mesi dello scorso anno si è saliti al 3,3% (quasi l' 1% ha meno di 19 anni, l' età media di chi sgarra s' attesta sui 35). È un' incidenza più che doppia rispetto ai professionisti o super-agonisti monitorati dalla Nado, ancorché su un campione inferiore.
Restano gettonati gli antinfiammatori steroidei, gli anabolizzanti che accelerano lo sviluppo muscolare e i cosiddetti «agenti mascheranti», che consentono di perdere peso o di nascondere la presenza di altre sostanze. Ciclismo e culturismo le discipline a rischio fra quelle individuali, il rugby fra gli sport di squadra.
rumsas
Ma chi lucra sul doping per amatori? «Piccoli gruppi - spiega una qualificata fonte dell' Arma - organizzazioni orizzontali e parcellizzate, non c' è alcuna filiera come nel narcotraffico. Perciò se nel caso dei professionisti l' investigazione si concentra sugli atleti poiché rischiano di falsare competizioni per il grande pubblico, sui dilettanti vale il ragionamento opposto: non si può pensare d' intervenire drasticamente a valle, con escalation di blitz e lo spauracchio di punizioni, sistemi ottimi per dissuadere chi dallo sport trae il proprio sostentamento. Risultati migliori si ottengono stroncando le piccole reti di pusher locali, le connivenze estemporanee con medici e farmacisti. Anche se a volte capita, dopo una contestazione, di sentirsi dire da un ragazzo di trent' anni che si è dopato per battere il suo amico». La strada resta abbastanza lunga.
3. LA NONNA CHE FACEVA LA SPESA
Marco Bonarrigo per il Corriere della Sera
DOPING
Non le cannule delle flebo, non i flaconcini di Epo, non il testosterone, non l' arsenale di farmaci nascosti nei frigoriferi. Le immagini della polizia che raccontano meglio di ogni altra cosa l' agghiacciante doping dell' Altopack-Eppela sono quelle rubate davanti alla casa della 70enne Maria Luisa Luciani, madre di Luca Franceschi, titolare del team, che aspetta trepidante fuori dall' uscio che le venga consegnata la spesa.
Nei due sacchetti che la signora prende e porta in casa - filmata dagli investigatori - ci sono carne e frutta, insulina e ormoni.
CICLISMO
Quello di Lucca è un affare di famiglia, la grande famiglia allargata del doping. Narciso Franceschi, 75 anni, marito di Luciana e padre di Luca, da giovane era noto come «scalatore operaio». Ciclista modesto, mai passato professionista, ha riversato la sua enorme passione prima nel negozio di biciclette e poi trasformando la casetta fuori Lucca in succursale della squadra.
«Dopo pranzo e senza dare troppo nell' occhio - spiega il commissario Silvia Cascino - i ragazzi uscivano due alla volta a piedi dall' appartamento dove vivevano e andavano dai Franceschi per restarci due o tre ore». Caffè e dolcetto? No, flebo e ormoni in quantità industriale, con la personale assistenza dei due nonnetti e la supervisione dei direttori sportivi.
Per non destare sospetti, i coniugi facevano stoccare i rifiuti (flebo, cannule, cateteri, confezioni di farmaci) in cassonetti lontani da casa. E se serviva una fornitura alle corse? Ci pensava la compagna di Franceschi, corriere insospettabile e sconosciuta nell' ambiente…
SISTEMA-DOPING